Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Firenze, riformando la sentenza del
Tribunale di Livorno, aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato il
14 marzo 2006 al responsabile dell’ufficio commerciale dell’Azienda Trasporti
Livornese.
Nello
specifico, la società aveva imputato al ricorrente sia la mancata denuncia degli
ammanchi da tempo manifestatisi nella raccolta del denaro proveniente dai
parcometri gestiti dall’azienda, sia di un episodio, avvenuto il 15 novembre 2005,
relativo al furto di denaro perpetrato dal collega incaricato della
manutenzione e del prelievo del denaro dai parcometri ed al quale aveva
personalmente assistito
Nel
motivare la propria decisione, la Corte territoriale aveva rilevato come,
all’epoca dei fatti, la raccolta del denaro dai parcometri fosse sotto la
responsabilità dell’ufficio commerciale cui era preposto il lavoratore e che,
pertanto, anche il citato episodio del 15 novembre 2005 rientrasse tra le sue
responsabilità.
Nel
corso dell’istruttoria era emerso, inoltre, che il ricorrente aveva riferito
degli ammanchi soltanto con la relazione del 23 dicembre 2005, dichiarando, non
di sua iniziativa ma su richiesta della direzione aziendale, che, già dalla
fine dell’estate 2005, avesse maturato la convinzione che detti ammanchi non fossero
riconducibili a guasti tecnici.
La
Corte di Appello aveva rilevato, altresì, che nel corso del colloquio con
l’amministratore delegato, il dipendente non aveva riferito l’episodio del 15
novembre a cui aveva assistito, durante il quale l’incasso del parcometro era stato
fatto confluire in un sacchetto di plastica ivi collocato, omissione perpetrata
anche nella relazione del mese di dicembre e nella lettera aggiuntiva inviata
al datore di lavoro.
Ciò
premesso, la Corte del merito aveva osservato come, una volta colto sul fatto, attraverso la
mancata denuncia del collega, il lavoratore si fosse sostituito, di fatto, alla direzione aziendale nel decidere sul da
farsi.
Volendo
riepilogare, il giudice dell’appello aveva ritenuto sussistente la giusta causa
di recesso dopo aver accertato le seguenti mancanze poste in essere dal
ricorrente:
-
l’adozione
di misure non concordate quanto inefficaci al fine di evitare il ripetersi
delle sottrazioni;
-
l’aver
taciuto di aver visto il collega armeggiare con il parcometro, nonostante i
sospetti e l’ingente ammontare degli ammanchi;
-
l’intenzione di coprire l’episodio attribuendo
gli ammanchi ai guasti, peraltro da tempo risolti, così impedendo all’azienda
di recuperare il maltolto.
Le
richiamate condotte, inoltre, configuravano l’ipotesi sanzionata con la
destituzione dall’art.45, punto 4, del R.D. n148/1931, costituendo comportamenti che avevano contribuito a far
sì che altri si appropriassero di somme dell’azienda, o a consentire scientemente
ad altri di defraudare l’azienda dei suoi averi, diritti o interessi.
Sempre
la Corte del merito, infine, aveva sottolineato che il ricorrente avesse dato
prova di estrema leggerezza nel valutare la portata delle proprie
responsabilità anche nel coprire per molto tempo il principale indiziato degli
ammanchi, sostituendo le proprie personali valutazioni a quelle della direzione,
condotta aggravata dal lungo silenzio serbato sull’episodio al quale aveva
assistito ed in relazione al quale aveva chiesto il silenzio anche ad un altro
dipendente, impedendo così all’azienda di conseguire una completa cognizione
dell’accaduto.
La
validità dell’impianto motivazionale elaborato dalla Corte di Appello ha
trovato piena conferma dalla Cassazione che, investita della questione, ha
ricordato che “in tema di verifica
giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di
proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia
nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e
dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal
giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con
motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di
legittimità” (1).
Sulla
base di questa premessa, gli ermellini hanno quindi chiarito come, nella specie,
la Corte territoriale avesse valutato la gravità dei fatti addebitati al
lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle
circostanze nelle quali erano stati commessi ed all’intensità dell’elemento
intenzionale, e, dall’altro, la proporzionalità fra i fatti e la sanzione
inflitta, considerando, altresì, la qualifica posseduta dal ricorrente, quale responsabile
dell’ufficio commerciale e preposto alla
raccolta del denaro dai parcometri.
Valerio
Pollastrini
1)
-
cfr. Cass., Sentenza n.7948/2011;
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