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martedì 17 febbraio 2015

Omessa denuncia delle violazioni del collega: legittimo il licenziamento

Nella sentenza n.2552 del 10 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente che aveva omesso  di denunciare le gravi violazioni compiute dal collega.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Firenze, riformando la sentenza del Tribunale di Livorno, aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato il 14 marzo 2006 al responsabile dell’ufficio commerciale dell’Azienda Trasporti Livornese.

Nello specifico, la società aveva imputato al ricorrente sia la mancata denuncia degli ammanchi da tempo manifestatisi nella raccolta del denaro proveniente dai parcometri gestiti dall’azienda, sia di un episodio, avvenuto il 15 novembre 2005, relativo al furto di denaro perpetrato dal collega incaricato della manutenzione e del prelievo del denaro dai parcometri ed al quale aveva personalmente assistito

Nel motivare la propria decisione, la Corte territoriale aveva rilevato come, all’epoca dei fatti, la raccolta del denaro dai parcometri fosse sotto la responsabilità dell’ufficio commerciale cui era preposto il lavoratore e che, pertanto, anche il citato episodio del 15 novembre 2005 rientrasse tra le sue responsabilità.

Nel corso dell’istruttoria era emerso, inoltre, che il ricorrente aveva riferito degli ammanchi soltanto con la relazione del 23 dicembre 2005, dichiarando, non di sua iniziativa ma su richiesta della direzione aziendale, che, già dalla fine dell’estate 2005, avesse maturato   la convinzione che detti ammanchi non fossero riconducibili a guasti tecnici.

La Corte di Appello aveva rilevato, altresì, che nel corso del colloquio con l’amministratore delegato, il dipendente non aveva riferito l’episodio del 15 novembre a cui aveva assistito, durante il quale l’incasso del parcometro era stato fatto confluire in un sacchetto di plastica ivi collocato, omissione perpetrata anche nella relazione del mese di dicembre e nella lettera aggiuntiva inviata al datore di lavoro.

Ciò premesso, la Corte del merito aveva osservato come,  una volta colto sul fatto, attraverso la mancata denuncia del collega, il lavoratore si fosse sostituito, di fatto, alla direzione aziendale nel decidere sul da farsi.

Volendo riepilogare, il giudice dell’appello aveva ritenuto sussistente la giusta causa di recesso dopo aver accertato le seguenti mancanze poste in essere dal ricorrente: 

-         l’adozione di misure non concordate quanto inefficaci al fine di evitare il ripetersi delle sottrazioni;

-         l’aver taciuto di aver visto il collega armeggiare con il parcometro, nonostante i sospetti e l’ingente ammontare degli ammanchi;

-          l’intenzione di coprire l’episodio attribuendo gli ammanchi ai guasti, peraltro da tempo risolti, così impedendo all’azienda di recuperare il maltolto.

Le richiamate condotte, inoltre,  configuravano l’ipotesi sanzionata con la destituzione dall’art.45, punto 4, del R.D. n148/1931, costituendo  comportamenti che avevano contribuito a far sì che altri si appropriassero di somme dell’azienda, o a consentire scientemente ad altri di defraudare l’azienda dei suoi averi, diritti o interessi.

Sempre la Corte del merito, infine, aveva sottolineato che il ricorrente avesse dato prova di estrema leggerezza nel valutare la portata delle proprie responsabilità anche nel coprire per molto tempo il principale indiziato degli ammanchi, sostituendo le proprie personali valutazioni a quelle della direzione, condotta aggravata dal lungo silenzio serbato sull’episodio al quale aveva assistito ed in relazione al quale aveva chiesto il silenzio anche ad un altro dipendente, impedendo così all’azienda di conseguire una completa cognizione dell’accaduto.

La validità dell’impianto motivazionale elaborato dalla Corte di Appello ha trovato piena conferma dalla Cassazione che, investita della questione, ha ricordato che “in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità(1).

Sulla base di questa premessa, gli ermellini hanno quindi chiarito come, nella specie, la Corte territoriale avesse valutato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali erano stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, e, dall’altro, la proporzionalità fra i fatti e la sanzione inflitta, considerando, altresì, la qualifica posseduta dal ricorrente, quale responsabile dell’ufficio commerciale e preposto  alla raccolta del denaro dai parcometri.

Valerio Pollastrini

1)      - cfr. Cass., Sentenza n.7948/2011;

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