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martedì 17 febbraio 2015

Offendere i superiori giustifica il licenziamento?

Nella sentenza n.2692 dello scorso 11 febbraio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che le offese proferite dal dipendente ai danni del superiore gerarchico non fossero sufficienti a giustificarne il licenziamento per insubordinazione.

Nel caso di specie, il dipendente era stato licenziato per le parole offensive rivolte al superiore che lo aveva richiamato all'ordine.

Impugnato il recesso, il lavoratore aveva convenuto  in giudizio l’azienda, lamentando l'errata qualificazione dell'illecito disciplinare che, a suo dire, avrebbe configurato una colpa  lieve e che, dunque, sarebbe stato insufficiente a giustificarne il licenziamento.

Per rafforzare la propria tesi, il dipendente aveva precisato come, nell’episodio in questione, non si fosse rifiutato di adempiere ad una prestazione lavorativa, aggiungendo, inoltre, che nel contratto collettivo di categoria la sanzione espulsiva risultava connessa esclusivamente in relazione a gravi reati accertati con sentenza definitiva.

Investita della questione, la Cassazione ha confermato l’illegittimità del recesso sancita al termine dei giudizi di merito, osservando come le parole profferite dal ricorrente fossero scaturite,  di fatto,  da un turbamento psichico transitorio.

Nella pronuncia in commento, gli ermellini hanno ribadito, inoltre, che la norma contrattuale richiamata dal dipendente equipara l’insubordinazione grave, giustificativa del licenziamento, ai reati accertati in sede penale, quali il furto ed il danneggiamento. Conseguentemente,  la condotta posta ad oggetto della contestazione disciplinare, certamente illecita, non poteva legittimare l’irrogazione della massima sanzione espulsiva.

Valerio Pollastrini

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