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domenica 11 gennaio 2015

Va risarcito il dirigente pubblico demansionato per ritorsione

Nella sentenza n.56 dell’8 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento del danno in favore di un dirigente alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, adibito, per motivi ritorsivi, ad altra mansione di minor rilievo.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Caltanissetta aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale del primo grado che aveva condannato il Comune di San Cataldo a corrispondere un risarcimento di  100.000,00 € al dipendente  a cui aveva revocato l'incarico di dirigente dei servizi finanziari.

In particolare, la Corte territoriale aveva esposto che:

-          con delibera del 28 marzo 2000, il Comune aveva dichiarato l’uomo vincitore del concorso e gli aveva assegnato la qualifica dirigenziale come capo ripartizione dei servizi finanziari;

-         che, con successiva disposizione del 20 luglio 2001, lo aveva assegnato ai servizi demografici come dirigente, per affermata "rotazione degli incarichi";

-         che il lavoratore aveva impugnato tale trasferimento, sostenendo che l'assegnazione ad altro incarico trovava il suo reale fondamento nei contrasti insorti con la giunta municipale, a seguito di una serie di pareri contabili negativi da egli espressi.

Ciò premesso, la Corte del merito aveva confermato l'illegittimità dell'assegnazione ad un ufficio di minore rilevanza, in quanto palesemente, ricordando come la stampa locale avesse dato ampio risalto alla notizia dell'avvenuta e ripetuta imposizione di pareri negativi su delibere di spesa della giunta comunale da parte del lavoratore, a proposito del quale, il sindaco,  in una nota specifica, aveva espressamente affermato che avesse esorbitato dai suoi poteri di ragioniere capo esercitando un vero e proprio veto di carattere politico.

La Corte, inoltre, aveva preso atto  di come il Tribunale avesse valutato anche il pervicace rifiuto opposto dal Comune all'esecuzione degli ordini giudiziali di reintegra emessi nella fase cautelare, ulteriore segnale delle finalità effettivamente perseguite con il trasferimento del lavoratore, e , pertanto, tale provvedimento, emesso sotto le apparenti esigenze organizzative, celava, in realtà, l'interno di rimuovere da un incarico nevralgico un dirigente scomodo, considerato anche il carattere oscuro della disposizione di servizio circa le esigenze che avrebbero giustificato la rotazione degli incarichi dirigenziali, non ulteriormente specificata neppure nel corso del giudizio.

Il giudice dell’appello aveva affermato, altresì,  che, a seguito della procedura concorsuale, tra le parti  era stato raggiunto un valido accordo, con il quale era stato conferito l'incarico dirigenziale senza previsione di un termine di durata e che, dunque, tale termine non poteva essere inferiore ai due anni, come previsto dalla normativa di riferimento. Di conseguenza, il contratto intercorso tra le parti doveva sottostare alle regole generali del codice civile e, dunque,  non poteva essere sciolto che per mutuo consenso, non sussistendo neppure i presupposti per la revoca anticipata prevista dal comma 1 dell’articolo 109 del D.Lgs. n.267/2000 (1).

Quanto al risarcimento, la Corte territoriale aveva rilevato:

-          che l’illegittima negazione o impedimento allo svolgimento delle mansioni costituiva illecito contrattuale che obbligava al ristoro del danno subito;

-         che con il ricorso il lavoratore aveva chiesto il risarcimento dei danni, da determinarsi in via equitativa, compresi sia i danni patrimoniali, sia quelli non patrimoniali;

-         che con riferimento al danno patrimoniale era emersa la prova della diminuzione del reddito a seguito del mutamento dell'incarico;

-         che, con riferimento al danno non patrimoniale,  la lesione doveva essere individuata nelle finalità perseguite dalla revoca del l'incarico, nel clamore suscitato dalle critiche rivolte dal sindaco al dirigente, nell’ampia diffusione data a livello locale al provvedimento di assegnazione ad altro incarico con conseguente forte discredito professionale, tanto che il dirigente si era posto in pensione fuggendo da una condizione lavorativa e personale avvilente;

-         che tali circostanze evidenziavano una lesione massima dell’immagine professionale.

Avverso questa sentenza, l’Amministrazione comunale aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che non sarebbe stato affatto provato che il reparto servizi demografici, delegazioni regionali ed economato, cui era stato adibito il lavoratore, fosse di minore rilevanza rispetto ai servizi finanziari e sostenendo, dunque,  che non sarebbe stato configurato un demansionamento.

Secondo il ricorrente, inoltre,  l'articolo 2103 c.c. non sarebbe applicabile al caso di specie, non sussistendo alcun diritto al mantenimento dell'incarico specifico ricoperto, ma unicamente il diritto al mantenimento delle funzioni dirigenziali.

A ciò il Comune aveva aggiunto che, anche a voler ritenere sussistente  un demansionamento, il lavoratore avrebbe dovuto provare il pregiudizio ed il nesso di causalità con l’inadempimento e che, nella specie, il dipendente nessun allegazione avrebbe riferito circa le conseguenze negative.

Parimenti, nessuna prova sarebbe stata fornita in merito al carattere punitivo del trasferimento ad altro ufficio, ritenuto accertato in base al discutibile valore giuridico degli articoli di stampa o dell’interrogatorio del ricorrente.

Con il secondo motivo il ricorrente aveva censurato la sentenza nella parte in cui avrebbe fornito una motivazione del tutto insufficiente circa l’affermata insussistenza delle esigenze organizzative di rotazione degli incarichi dirigenziali, osservando che la relativa disposizione di servizio riguardava la totalità dei dirigenti in una logica di complessiva ristrutturazione degli uffici e dei servizi.

In sostanza, secondo l’Amministrazione, le delibere adottate dal Comune sarebbero del tutto legittime, restando i pareri negativi del lavoratore del tutto ingiustificati.

Con il terzo motivo, il ricorrente aveva negato che, nella specie, vi fosse stata una   revoca dell'incarico, bensì una semplice rotazione per sopravvenute esigenze dell'Amministrazione, frutto dei poteri organizzativi attribuiti al sindaco dalla norma di cui all'articolo 6, comma 7, della Legge n.127/1997, che disciplina gli incarichi dirigenziali.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le suddette censure.

In premessa, gli ermellini hanno rilevato che, quanto all'assegnazione del lavoratore ad ufficio di minor rilievo, riconosciuta sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello, nonché al carattere ritorsivo di detta assegnazione,  trattasi di un accertamento in fatto svolto dai giudici di merito e, dunque, non censurabile in Cassazione, risultando la motivazione della sentenza impugnata   congrua e priva di contraddizioni.

La Corte di Appello, infatti, aveva correttamente valutato  il comportamento delle parti e gli elementi probatori acquisisti, con giudizio immune da vizi che, investendo una questione di merito, sfuggono al sindacato della Cassazione.

I giudici di merito, dopo aver ricordato che, con determinazione dirigenziale del 2001, all’esito di una procedura concorsuale di cui il lavoratore era rimasto vincitore era stata assegnata  la qualifica dirigenziale e posto a capo della ripartizione dei servizi finanziari, e che, con successiva disposizione, il Comune aveva assegnato lo stesso alla ripartizione dei servizi demografici, ufficio di minore rilevanza, come confermato dalla stessa previsione del Comune di un compenso inferiore, avevano affermato, in primo luogo, che il Comune non aveva provato le ragioni organizzative o eventuali manchevolezze del dirigente che ne avevano impedito la permanenza, dopo appena un anno, presso l’ufficio al quale era stato inizialmente assegnato.

Al riguardo, la Corte ha rilevato, oltre al carattere "criptico" delle richiamate disposizioni, che il Comune non aveva specificato quale fosse stato "l’ambito di ristrutturazione degli uffici e dei servizi" in cui era stato inserito il provvedimento, le "mutate ed accresciute esigenze" per far fronte alle quali era stato necessario spostare il dipendente dall’incarico dirigenziale e che avevano imposto di "intervenire sollecitamente".

Come, invece, evidenziato dalla Corte di Appello, l'assegnazione al nuovo incarico di minor rilievo aveva assunto il chiaro carattere ritorsivo, attesi la vasta eco di stampa verificatasi in occasione del trasferimento, l’ampio risalto  della notizia dell’avvenuta e ripetuta apposizione da parte del dirigente di pareri negativi sulle delibere di spesa della giunta comunale, la nota del sindaco con cui si accusava il lavoratore di aver esorbitato dai suoi poteri di ragioniere capo, il pervicace rifiuto opposto dal Comune ad eseguire gli ordini giudiziali di reintegra, anch’esso valutabile quale segnale dell’intento di rimuovere da un incarico nevralgico un dirigente scomodo, tanto da indurlo ad un anticipato pensionamento.

La Corte territoriale aveva quindi sottolineato che la unilaterale modifica delle funzioni, in assenza dei presupposti della revoca anticipata degli incarichi dirigenziali di cui all’art109, comma 1, del D.Lgs n.267/2000, comunque in assenza di prova di ragioni organizzative comportanti l’assegnazione ad ufficio di minor rilievo e avente un evidente carattere ritorsivo, doveva considerarsi illecita.

Nel riepilogare la questione, gli ermellini hanno osservato come il caso  verta nella  nella diversa ipotesi di un’assegnazione di lavoratore ad officio diverso "per ritorsione", vietata anche nell’ambito del pubblico impiego. Ipotesi   ritenuta sussistente  dalla Corte di Appello, la quale aveva ritenuto che il lavoratone avesse subito, nel periodo relativo alla sua adibizione all'ufficio demografico, un inammissibile atto punitivo.

La diversa rilevanza dei due uffici trova conferma dalla previsione contenuta nel regolamento comunale di "una scala di valutazione delle  posizioni dirigenziali", con relativa attribuzione a ciascuna di esse di un punteggio, e, nell’ambito di tale valutazione, una diversa modulazione dei compensi, con la previsione di un minor compenso per il dirigente dei servizi demografici.

Se ne desume che, pur nel contesto di un’unica qualifica dirigenziale, la regolamentazione amministrativa conserva un’articolazione gerarchica dei compiti e delle responsabilità, cui corrisponde una graduazione dei compensi.

Ne consegue che il provvedimento di assegnazione del lavoratore ad una diversa posizione dirigenziale, con corrispondente diminuzione della retribuzione, integra una lesione della posizione acquisita, la cui ridefinizione è ammissibile solo in ragione di una motivata diversa attribuzione dell’Ente nei confronti del suo dipendente.

Negando il demansionamento, il Comune si era limitato a riprodurre le delibere emesse, sostenendo di aver predisposto una mera rotazione di incarichi, senza, tuttavia, provvedere a contestare i passaggi motivazionali della sentenza.

Quanto poi alla liquidazione del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, la Corte ha rilevato, con riferimento al primo, la minore entità dell’indennità di posizione percepita e, al riguardo, ha sottolineato che lo stesso Comune, riconoscendo una minore indennità di posizione ai servizi demografici, aveva attribuito una minore "caratura ad un servizio meno importante risolvendosi ciò in un trattamento deteriore".

A proposito del secondo, invece, ha sottolineato l’aspetto fondamentale della lesione della sfera non patrimoniale nelle fuorvianti finalità perseguite dal provvedimento di revoca dell'incarico presso i servizi finanziari, concretatosi in un demansionamento del lavoratore, nel clamore suscitato dalle critiche rivoltegli dal sindaco, nell’ampia diffusione data, a livello locale, al provvedimento di assegnazione ad altro incarico e nel conseguente forte discredito professionale.

Sulla base di tali elementi, la Suprema Corte ha ribadito la lesione massima dell’immagine professionale del dirigente, dal momento che  era stato ingiustamente rimosso dalla funzione apicale rispondente alla sua qualifica di ragioniere capo, per essere assegnato a settore di minor rilievo.

In conclusione, la Cassazione ha confermato la validità delle motivazioni rese dal giudice dell’appello, allorché aveva affermato che "in caso di revoca illegittima di un incarico dirigenziale da parte del datore di lavoro pubblico, costituiscono profili rilevanti, ai fini del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, le ragioni dell'illegittimità del provvedimento di revoca, le caratteristiche, la durata e la gravità dell'attuato demansionamento, la frustrazione di ragionevoli aspettative di progressione e le eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore di lavoro e comprovanti l'avvenuta lesione dell’interesse relazionale" (2).

Per le considerazioni che precedono, il ricorso è stato dunque rigettato.

Valerio Pollastrini

 
1)      - Testo Unico degli Enti Locali;
2)      .- cfr Cass., Sentenza n.687/2014 e n.28274/2008;

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