Nel caso
di specie, la Corte di Appello di Torino aveva confermato la sentenza con la
quale il Tribunale del capoluogo piemontese aveva condannato l’azienda a
corrispondere ai lavoratori l’importo dovuto a titolo di compenso forfettario
per l’eventuale lavoro straordinario.
Avverso
questa sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che
la impugnata pronuncia avrebbe ignorato e superato i dati documentali in atti,
errando così nell'interpretazione del contratto, relativamente alla clausola sul compenso
forfetario per lavoro straordinario.
Detta
clausola, che prescindeva dall'effettiva prestazione e dalla relativa autorizzazione,
stabiliva una modalità di pagamento dello straordinario alternativa
rispetto a quella ordinaria.
In
sostanza, secondo il datore di lavoro,
in caso di straordinario prestato in misura inferiore rispetto a quello stimato
nella forfettizzazione, non per questo il
maggiore importo erogato si trasformerebbe in un miglioramento retributivo. A
suo dire, infatti, la possibilità di
pagare lo straordinario effettivo oppure di compensarlo forfetariamente, attribuirebbe a suo carico un'obbligazione facoltativa, atteso che la
scelta tra le due modalità di adempimento spetterebbe allo stesso debitore.
L’azienda
aveva quindi sostenuto di aver fatto uso legittimo di tale facoltà, comunicando
ai dipendenti che, a far data da un determinato momento, avrebbe pagato
soltanto le ore di lavoro effettivamente prestate.
La
ricorrente, dunque, aveva negato che si potesse fare uso della valutazione del
comportamento complessivo delle parti per dedurne elementi utili alla tesi del
superminimo, trattandosi di una valutazione ex
post, mentre, piuttosto, sarebbe stato necessario valutare ex ante se l'entità dello straordinario
forfetizzato fosse congrua rispetto alle reali esigenze aziendali.
Oltre a
quanto sin qui riportato, il datore di lavoro aveva poi lamentato che non
potesse rilevare il fatto che il forfait potesse essere corrisposto in misura
notevolmente diversa tra dipendenti con pari
retribuzione complessiva ed anzianità aziendale. Trattandosi di una erogazione
prevista per prestazione straordinaria, anche se ipotetica, non troverebbe
applicazione il principio della irriducibilità della retribuzione.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le suddette doglianze.
A
proposito della censura con la quale l’azienda aveva contestato l’affermazione
contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il compenso forfetario in
discussione avrebbe dovuto essere imputato a "superminimo" e non a
"lavoro straordinario", deducendo che una simile ricostruzione
avrebbe ignorato i dati documentali, gli
ermellini hanno ricordato che l'interpretazione dei contratti, e, più
ampiamente, quella dei rapporti negoziali, compete al giudice del merito, e, pertanto, non è suscettibile di riesame in sede di legittimità.
Nello
specifico, i dati documentali che sarebbero stati ignorati, erano costituiti dalle lettere attributive, inviate ai
dipendenti interessati e da loro sottoscritte, nelle quali erano stati comunicati i miglioramenti
retributivi, con la specifica che, questi, sarebbero stati corrisposti a titolo
di compenso forfetario per eventuale lavoro straordinario.
La Corte
territoriale, però, aveva motivato congruamente le ragioni per le quali aveva
concluso che quella voce retributiva, in
realtà, costituisse un superminimo.
In
particolare, il giudice dell’appello aveva spiegato in dettaglio che:
-
in base alle
norme della contrattazione collettiva, ai caporeparto, quali erano appunto gli
attuali controricorrenti, non era dovuto alcun compenso speciale salvo per i
servizi di notte o nei giorni festivi;
-
che, di conseguenza, la ditta non aveva alcun
obbligo di corrispondere un compenso specifico per le prestazioni rese al di
fuori dell'orario di lavoro, ma non in orario notturno, né in giorno festivo;
-
che le prestazioni straordinarie rese in
erario notturno, o in giorno festivo, erano state sempre retribuite a parte, al
di fuori della posta retributiva in discussione;
-
che la
circostanza, allegata dalla ditta, secondo cui il compenso forfetario sarebbe
stato introdotto per incentivare il cosiddetto straordinario
"ordinario", non emergeva dalle lettere che lo avevano istituito.
Sempre in
relazione alla clausola contrattuale in argomento, la Corte territoriale aveva
argomentato, inoltre, che il significato effettivo di detta pattuizione poteva
essere ricercato anche avvalendosi di elementi extratestuali, ed, innanzitutto,
attraverso il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore
all'istituzione del compenso forfetario.
A questo
proposito, aveva rilevato in fatto, che, a parità di anzianità e di
retribuzione complessiva, i compensi forfetari riconosciuti ai diversi
interessati differivano in misura considerevole nelle misure, deducendone che
non erano correlati all'entità presumibile della prestazione straordinaria
resa, ma riferiti ad altri aspetti del rapporto.
Si tratta
di argomentazioni concrete, e che, dunque, non appaiono scalfite dalle
argomentazioni di segno contrario avanzate della società ricorrente, fondate
sull’assunto secondo il quale, dal testo letterale delle lettere di
attribuzione, discenderebbe che il compenso forfetario veniva riconosciuto per
l'eventuale lavoro straordinario.
Tuttavia,
la Cassazione ha chiarito che, in realtà, il criterio letterale non è assoluto,
né assorbente.
Secondo
la ricorrente l’interprete avrebbe dovuto ricercare la volontà negoziale sulla
base delle espressioni utilizzate nel testo e , conseguentemente, non avrebbe
potuto cercare un significato diverso da quello letterale. Di diverso avvisto, però, è stata la Suprema
Corte, osservando che questo criterio può valere soltanto per i casi in cui il
testo letterale sia sufficientemente chiaro, e non consenta dubbi sul suo
significato e sulla effettiva volontà delle parti.
In
particolare, gli ermellini hanno ricordato che gli istituti cui ricondurre i
termini dell'accordo negoziale debbono essere individuati dal giudice del
merito, che non è vincolato dai termini utilizzati dalle parti, poiché questi
ultimi possono risultare errati, non
necessariamente per consapevole volontà di occultare l’effettivo contenuto del
contratto ma anche per improprietà di linguaggio o per semplice inesattezza.
D'altra
parte, il criterio utilizzato dal giudice del merito per l’interpretazione del contratto, facendo
riferimento al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore
all'istituzione del compenso forfetario, non è certo arbitrario o improprio, ma
è del tutto lecito, in quanto previsto espressamente dall’art.1362 c.c., che, al comma 2, precisa
che "per determinare la comune intenzione
delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche
posteriore alla conclusione del contratto".
Tornando
al caso di specie, la Cassazione ha osservato come il rapporto di lavoro dei
controricorrenti fosse già in corso da
tempo allorché la società, nel 2000, aveva cessato l'erogazione dei compensi
forfetari e quando un rapporto negoziale
a tempo indeterminato si prolunga per un lasso di tempo rilevante il suo
contenuto non è più costituito soltanto dalle pattuizioni originarie, ma anche
da quelle successive, nonché, più ampiamente, da tutte le modificazioni
avvenute, anche in via orale ed anche per fatti concludenti, durante il corso
del rapporto stesso.
In questa
prospettiva, pertanto, può accadere che un'attribuzione patrimoniale, che
nell'equilibrio originario delle posizioni delle parti assolveva ad una
determinata funzione, assuma col tempo e con il modificarsi delle circostanze
una funzione diversa, in sostanza, che muti, in tutto o in parte, la ragione
dell'attribuzione e che, come nel caso di specie, una attribuzione patrimoniale
originariamente disposta per il compenso forfetario dello straordinario, si
trasformi, nel corso degli anni, in
superminimo.
In base
alle suddette considerazioni, non rileva
che nel 1973 il compenso forfetario
potesse essere rapportato alla prevedibile prestazione di lavoro straordinario
non notturno nel festivo da parte del singolo capo reparto, perché non risulta,
che questo eventuale punto di equilibrio tra la prestazione e la causale
allegata sia rimasto invariato anche nel corso successivo del rapporto e che,
in particolare, siano rimasti invariati nel tempo quel determinato orario e
quelle determinate modalità di organizzazione del lavoro, in funzione dei quali
avrebbe potuto essere presunto, appunto, che venisse effettuata una prestazione
straordinaria mediamente corrispondente al compenso forfetario previsto.
Piuttosto,
a detta della Cassazione, era necessario accertare se questo rapporto
sussistesse in concreto con riferimento al momento in cui l’erogazione è stata
sospesa, perché in precedenza l'emolumento veniva corrisposto, e le richieste
si potevano riferire soltanto al periodo successivo alla revoca.
A questo
proposito, il giudice del merito aveva correttamente compiuto questa indagine,
avendo, per l’appunto, accertato come in
quel momento quella erogazione costituisse un superminimo e non un compenso
forfetizzato per prestazioni straordinarie.
Queste,
in sostanza, le ragioni in base alle quali la Cassazione ha disposto il rigetto
del ricorso.
Valerio
Pollastrini
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