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domenica 11 gennaio 2015

Risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito

Nell’Ordinanza n.24 del 7 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha ricordato che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Il caso di specie è scaturito dalla domanda con la quale una lavoratrice aveva chiesto che fosse dichiarato nullo il termine apposto al suo contratto  a tempo determinato, con le conseguenze risarcitorie previste dal Collegato Lavoro (1).

Dopo che la Corte di Appello, ribaltando la decisione del Tribunale del primo grado, aveva accolto il ricorso della dipendente, la società datrice di lavoro aveva adito la Cassazione, sostenendo che il ritardo con cui la donna aveva agito in giudizio dovesse essere interpretato come una sua manifestazione di rinuncia alla  prosecuzione del rapporto.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata una simile censura.

Come già affermato dalla Suprema Corte in altre analoghe fattispecie (2), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (3).

La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, "è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso" (4).

A questo proposito, gli ermellini hanno sottolineato che, per dirsi perfezionata una risoluzione per mutuo consenso, è necessaria la presenza di comportamenti e di circostanze di fatto idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine all’estinzione del rapporto, non essendo all'uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività delle prestazioni (5).

Tornando al caso di specie, la Cassazione ha dunque ribadito che il ritardo con cui la lavoratrice aveva agito in giudizio per far valere l’illegittimità del termine apposto al contratto  intercorso non costituiva una inequivoca manifestazione di rinuncia alla sua prosecuzione o comunque di una volontà diretta alla modifica del rapporto.

Valerio Pollastrini

1)      - art.32 della Legge n.183/2010;
2)      - v, ex plurimis, Cass., Sentenza n.6161/2010; Cass.,Sentenza n.8292/2012; cfr. pure Cass. ord., Sentenze nn.2423 e 8669 del 2013, nonché Cass., Sentenze nn.7455, 7456 e 7817 del 2014;
3)      - v. da ultimo Cass., Sentenza n.1780/2014; Cass., Sentenze n.5887/2011, n.16932/2011, nonché Cass., Sentenze n.26935/2008, n.20390/2007, n.23554/2004;
4)      - v. Cass., Sentenza n.23057 del 15 novembre 2010; Cass., Sentenza n.5887 dell’11 marzo 2011;
5)      - cfr. Cass., Sentenza n.14209/2013; Cass., Sentenza n.13891/2004;  Cass., Sentenza n.15264/2007;

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