Nel
caso di specie, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa al termine
di un periodo di distacco presso un’altra azienda, nella quale era stato demandato a svolgere l’attività di
gestione di patrimoni mobiliari affidati dai risparmiatori alla distaccante
società datrice di lavoro.
In
particolare, il dipendente era stato licenziato per aver ripetutamente violato
le disposizioni della società distaccataria in tema di trattamento dei dati
riservati, con conseguente lesione degli obblighi di fedeltà.
Impugnato
il recesso, l’uomo aveva convenuto in giudizio il datore di lavoro. Tuttavia,
sia il Tribunale del primo grado che la Corte di Appello di Milano ne avevano
rigettato il ricorso.
Nella
premessa, la Corte territoriale aveva riferito che al termine del distacco, su
segnalazione della distaccataria, la società datrice di lavoro aveva immediatamente
contestato al ricorrente l'indebita diffusione presso terzi del materiale della
effettiva utilizzatrice delle sue
prestazioni, mediante utilizzo, non consentito, della posta elettronica
aziendale, con violazione degli obblighi di obbedienza, riservatezza e fedeltà.
Tra
le motivazioni del recesso, inoltre, il datore di lavoro aveva incluso anche il
rischio di dover risarcire eventuali danni alla società distaccataria, a cui
risultava esposto a seguito della condotta del dipendente.
La
Corte del merito aveva poi escluso che la
sentenza passata in giudicato, con la quale il Tribunale di Milano aveva
respinto il ricorso proposto dalla società distaccataria al fine di ottenere dal
lavoratore il risarcimento del danno, potesse assumere rilevanza nella valutazione della legittimità
del licenziamento.
A
questo proposito, infatti, il giudice dell’appello aveva rilevato che la società datrice di lavoro non aveva
preso parte a tale giudizio e che, in
ogni caso, gli stessi fatti, oggetto di quella causa, erano suscettibili di una
diversa valutazione da parte del datore di lavoro, il quale avrebbe dovuto
proseguire il rapporto con il dipendente confidando nella sua correttezza, atteso
l’intenso vincolo fiduciario richiesto nel settore bancario.
Dopo
aver valutato le formali e generiche giustificazioni rese dal lavoratore, la
Corte territoriale aveva quindi ritenuto che gli addebiti mossigli fossero più che sufficienti a motivare il suo licenziamento
per giusta causa.
Avverso
questa sentenza il dipendente aveva proposto ricorso per Cassazione, censurando
l’affermazione della Corte del merito secondo la quale il precedente giudicato
intercorso con l’impresa distaccataria non poteva assumere rilevanza nel caso
di specie.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondata la predetta censura, confermando
la decisione con cui la Corte
territoriale aveva escluso che sui fatti di cui è causa si fosse formato un
giudicato opponibile al datore di lavoro.
Con
altro motivo di ricorso, il lavoratore aveva poi contestato l’affermazione contenuta nell’impugnata
sentenza in relazione al carattere confidenziale e segreto dei dati inviati mediante
posta elettronica ad una società terza.
Anche
questa doglianza, tuttavia, è stata ritenuta infondata dagli ermellini, che, in
proposito, hanno sottolineato come la Corte di Appello, al termine dell’istruttoria,
valutate appieno le deposizioni testimoniali e la documentazione agli atti,
aveva concluso per la sussistenza di un’indebita trasmissione all’esterno di
dati riservati mediante l’utilizzo della posta elettronica aziendale ed in
presenza di un esplicito divieto di utilizzo di detto strumento per trasmettere
a soggetti esterni alla società "documenti
riservati o comunque documenti aziendali", formulando un giudizio immune da vizi.
Per
tutte le suddette considerazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, con conseguente condanna del
lavoratore al pagamento delle spese processuali, liquidate in 100,00 € per esborsi, 4.500,00 € per compensi professionali, oltre
IVA, CP e 15% per spese generali a favore di ciascuna delle società resistenti.
Valerio
Pollastrini
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