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domenica 18 gennaio 2015

Omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali – Forma libera per la contestazione dell’Inps

Nella sentenza n.968 del 13 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la comunicazione della contestazione dell'accertamento della violazione è a forma libera, cosicché anche il mancato ritiro e la «compiuta giacenza» ne dimostrano l’avvenuta notifica.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Salerno aveva riformato, dichiarando la prescrizione della violazione contestata relativa al mese di luglio 2006 e rideterminando la pena originariamente inflitta, la decisione con la quale il Tribunale del primo grado aveva riconosciuto un datore di lavoro responsabile del reato (1) di omesso versamento all'Inps delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti nei periodi dal febbraio 2007 e all'aprile 2007, dichiarando estinto il reato per intervenuto versamento nei termini relativamente ai fatti commessi nel periodo compreso tra il mese di gennaio 2008 ed il mese di marzo 2008.

Avverso tale pronuncia, l’imprenditore aveva proposto  ricorso per Cassazione, deducendo la nullità della notifica di accertamento della violazione da parte dell'INPS, perché effettuata a mezzo del servizio postale senza il rispetto delle prescritte formalità, in palese violazione dell'art.40, comma 3, del D.P.R. n.655/82, in relazione all'art.1135 cod. civ.

A detta del ricorrente, a tale irregolarità non avrebbe potuto sopperire la notifica del decreto di citazione a giudizio, in quanto privo delle indicazioni necessarie per poter procedere al versamento di quanto dovuto e, per tale ragione, il termine per effettuare il pagamento non sarebbe ancora decorso, con la conseguenza che avrebbe dovuto ritenersi tempestivo il versamento effettuato il 4 luglio 2013.

Il ricorrente, inoltre, aveva contestato l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza, secondo la quale egli non si sarebbe attivato per essere rimesso in termini al fine di effettuare il pagamento, nonostante la mancanza delle necessarie informazioni sul decreto di citazione. Pagamento che, peraltro, era stato comunque effettuato.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure predette.

In merito alla doglianza relativa alla comunicazione dell'avviso di accertamento della violazione da parte dell'Inps, gli ermellini hanno ricordato  quanto già osservato in altre pronunce (2), e cioè che  l'art. 2, comma 1-bis, secondo periodo, della Legge n.638/1983 (3), modificando i termini e l'operatività della causa di non punibilità già prevista dalla normativa previgente, abbia introdotto, prima dell'invio della comunicazione della notizia di reato, la possibilità di definire il contenzioso in sede amministrativa, nel termine concesso a tale scopo al datore di lavoro, mediante la contestazione o notifica dell’accertamento della violazione, che non costituisce una condizione di procedibilità del reato, cosicché può ben ritenersi che il Pubblico Ministero eserciti ritualmente l'azione penale per il reato in questione anche se non si sia perfezionato il procedimento per la definizione in sede amministrativa, così come esercita l'azione penale per i fatti costituenti reato di cui sia venuto a conoscenza aliunde rispetto ai meccanismi di informazione previsti dagli artt.347 e 331 cod. proc. pen.

Da ciò discende che  la possibilità per il datore di lavoro di evitare l'applicazione della sanzione penale attraverso il procedimento definitorio appena descritto resta connessa all'adempimento dell'obbligo imposto all'Ente Previdenziale  di rendergli noto, nelle forme previste dalla norma, l'accertamento delle violazioni e le modalità ed i termini per eliminare il contenzioso in sede penale, con la conseguenza che l'esercizio di tale facoltà può essere precluso solo dalla scadenza del termine di tre mesi previsto, a decorrere dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento delle violazioni, oppure da un atto equipollente che ne contenga tutte le informazioni in modo da assicurare concretamente l'accesso a tale causa di non punibilità.

Sul punto, la Suprema Corte ha aggiunto che, sulla base di tale meccanismo, sull'Ente Previdenziale grava l'obbligo di assicurare la regolarità della contestazione o della notifica dell'accertamento delle violazioni e,  in caso di inadempimento, di attendere il decorso del termine di tre mesi prima di trasmettere la notizia di reato al Pubblico Ministero, il quale, a sua volta, dovrà poi accertare che all'indagato sia stato concretamente reso possibile esercitare la facoltà di fruire della causa di non punibilità, rendendo eventualmente edotto l'Ente Previdenziale in caso di esito negativo della verifica, cosicché possa adempiersi all’obbligo di contestazione o di notifica dell’accertamento delle violazioni imposto dalla norma.

Analoghi obblighi di verifica gravano, inoltre, sul giudice di entrambi i gradi di merito, cui spetta di accogliere, in caso di esito negativo, una eventuale richiesta di rinvio da parte dell'imputato, allo scopo di consentigli di provvedere al versamento delle ritenute, tenendo conto che la legge già prevede la sospensione del decorso della prescrizione per il periodo di tre mesi concesso al datore di lavoro per il versamento, il che giustifica un rinvio del dibattimento anche in assenza di una espressa previsione normativa.

Ciò premesso, la Cassazione ha ricordato che l’effettiva possibilità di esercizio della facoltà per l'imputato di effettuare il versamento omesso presuppone che l'avviso dell'accertamento inviato dall'Ente  contenga l'indicazione, rispettivamente, del periodo cui si riferisce la violazione ed il relativo importo, della sede dell'Istituto presso il quale deve essere effettuato il pagamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge, nonché dell'avviso che detto pagamento consente di fruire della causa di non punibilità, il che richiede, nell'ambito della verifica cui sono chiamati il giudice o il Pubblico Ministero, che, in caso di omessa notifica dell'accertamento, l'imputato sia stato raggiunto in sede giudiziaria da un atto di contenuto equipollente all'avviso dell'Ente Previdenziale e come tale viene individuato il decreto di citazione a giudizio,  a condizione, però, che esso contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, con la conseguenza che, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, va ritenuto tempestivo il versamento delle ritenute previdenziali effettuato dall'imputato nel corso del giudizio, quando risulti che lo stesso non abbia ricevuto dall'Ente  la contestazione o la notifica dell’accertamento delle violazioni o non sia stato raggiunto, nel corso del procedimento penale, da un atto che contenga gli elementi essenziali dell'avviso di accertamento. Infine, trovandosi il procedimento in sede di legittimità, senza che l'imputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità, deve disporsi l'annullamento della sentenza con rinvio al fine di consentirgli di fruire della facoltà concessa dalla legge.

Del resto, nella sentenza n.12267/2013 la Suprema Corte aveva già avuto modo di  ricordare come ulteriori contributi interpretativi fossero stati offerti da altre pronunce della Cassazione in merito alla prova dell'avvenuta comunicazione dell'accertamento dell'omesso versamento delle ritenute previdenziali da parte dell'Inps, allorché si era osservato che detta comunicazione è a forma libera e non richiede particolari formalità (4), con la conseguenza che può ritenersi valida anche la spedizione a mezzo raccomandata.

Sempre la giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha ulteriormente stabilito come la presenza della corretta indicazione del destinatario della contestazione di accertamento della violazione degli obblighi contributivi e dell'indirizzo ove effettuare il recapito sulla lettera raccomandata, mediante la quale viene eseguita la comunicazione, permetta di escludere che possa assumere rilievo l'impossibilità di risalire all'identità dell'effettivo consegnatario in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi che consentano di ipotizzare che la comunicazione non sia stata portata alla sua conoscenza senza sua colpa (5), precisando, altresì, come debba presumersi che il soggetto che sottoscrive l'avviso di ricevimento sia comunque persona abilitata alla ricezione per conto del destinatario del plico, che viene peraltro consegnato dall'ufficiale postale secondo precise formalità (6).

In sostanza, la libertà di forma che caratterizza la comunicazione suddetta esclude  che la stessa debba presentare i requisiti della notificazione e, pertanto, il ricorrente aveva errato nel ritenere invalida la comunicazione a lui diretta per difetto delle formalità previste per la notificazione, perché, come si è detto, detta comunicazione poteva avvenire anche a mezzo spedizione mediante raccomandata.

Chiarito questo primo aspetto, gli ermellini hanno affrontato la censura con la quale il ricorrente aveva lamentato  che non sarebbero state osservate le formalità relative all’indicazione, rispettivamente, della data dell'avvenuto deposito del plico presso l'ufficio postale, che l'atto non sarebbe stato ritirato entro i termini di legge, della data dell'avvenuta compiuta giacenza, della sottoscrizione dell'agente posta e, infine, della data della restituzione dell'atto al mittente.

Quelle appena espresse sono, tuttavia,  formalità non previste, neppure dall'art.40 del D.P.R. n.655 del 29 maggio 1982,  il quale si limita a prevedere che «gli oggetti di corrispondenza che non abbiano potuto essere distribuiti e non siano stati chiesti in restituzione dai mittenti sono tenuti per un periodo di quindici giorni negli uffici di destinazione, fatta eccezione per le stampe non fermo posta, per le quali il periodo è limitato a dieci giorni, e per le raccomandate, per le quali il periodo di giacenza è di trenta giorni. Deve essere dato avviso della giacenza di oggetti raccomandati od assicurati, che non abbiano potuto essere distribuiti, ai destinatari ed ai mittenti, se identificabili».

Per la corrispondenza raccomandata, nella sostanza, sono previsti soltanto un periodo di giacenza prima della restituzione al mittente e l'avviso della giacenza che, come è noto, consente il ritiro del plico presso l'ufficio postale.

A questo proposito, i giudici del gravame avevano accertato che la compiuta giacenza risultava debitamente attestata dall'ufficiale postale sulla cartolina relativa alla raccomandata in questione, cosicché la comunicazione era stata ritenuta come regolarmente effettuata.

Si tratta di una decisione che la Cassazione ha ritenuto fondata, poiché, in ogni caso, la spedizione mediante raccomandata offre sufficienti garanzie  circa il recapito al destinatario, in ragione, rispettivamente, della certificazione della spedizione del plico, della consegna esclusiva al destinatario o a un suo delegato, nonché della possibilità di ritiro presso l’ufficio postale in caso di assenza.

Nel rigettare il ricorso, la Cassazione ha poi concluso affermando il principio  secondo il quale, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la comunicazione della contestazione dell'accertamento della violazione è a forma libera, cosicché anche il mancato ritiro e la «compiuta giacenza» possono essere oggetto di valutazione per quanto riguarda la prova dell'avvenuta comunicazione dell’accertamento dell’omesso versamento.

Valerio Pollastrini

 
1)      – fattispecie di reato prevista dall’art.81, comma 2, cod. pen. e dall’art.2 della Legge n.638/1983;
2)      – Cass., Sentenza n.19457 dell’8 aprile 2014; Cass., Sentenza n.259724/2014; Cass., Sentenza n.12567 del 19 febbraio 2013;
3)      - introdotto dall’art.1 del D.Lgs. n.211/1994;
4)      – Cass., Sentenza  n.30566 del 19 luglio 2011; Cass., Sentenza n.26054 del 14 febbraio 2007; Cass., Sentenza  n.9518 del 22 febbraio 2005;
5)      – Cass., Sentenza n.2859 del 17 ottobre 2013; Cass., Sentenza n.3024 del 14/ luglio 2011;
6)      – Cass., Sentenza n.19457/2014;

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