Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Salerno aveva riformato, dichiarando la
prescrizione della violazione contestata relativa al mese di luglio 2006 e
rideterminando la pena originariamente inflitta, la decisione con la quale il Tribunale
del primo grado aveva riconosciuto un datore di lavoro responsabile del reato (1) di omesso
versamento all'Inps delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle
retribuzioni dei dipendenti nei periodi dal febbraio 2007 e all'aprile 2007,
dichiarando estinto il reato per intervenuto versamento nei termini
relativamente ai fatti commessi nel periodo compreso tra il mese di gennaio
2008 ed il mese di marzo 2008.
Avverso
tale pronuncia, l’imprenditore aveva proposto
ricorso per Cassazione, deducendo la nullità della notifica di
accertamento della violazione da parte dell'INPS, perché effettuata a mezzo del
servizio postale senza il rispetto delle prescritte formalità, in palese
violazione dell'art.40, comma 3, del D.P.R. n.655/82, in relazione all'art.1135
cod. civ.
A
detta del ricorrente, a tale irregolarità non avrebbe potuto sopperire la
notifica del decreto di citazione a giudizio, in quanto privo delle indicazioni
necessarie per poter procedere al versamento di quanto dovuto e, per tale
ragione, il termine per effettuare il pagamento non sarebbe ancora decorso, con
la conseguenza che avrebbe dovuto ritenersi tempestivo il versamento effettuato
il 4 luglio 2013.
Il
ricorrente, inoltre, aveva contestato l’affermazione contenuta nell’impugnata
sentenza, secondo la quale egli non si sarebbe attivato per essere rimesso in
termini al fine di effettuare il pagamento, nonostante la mancanza delle
necessarie informazioni sul decreto di citazione. Pagamento che, peraltro, era
stato comunque effettuato.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure predette.
In
merito alla doglianza relativa alla comunicazione dell'avviso di accertamento
della violazione da parte dell'Inps, gli ermellini hanno ricordato quanto già osservato in altre pronunce (2), e cioè che l'art. 2, comma 1-bis, secondo periodo, della
Legge n.638/1983 (3), modificando i
termini e l'operatività della causa di non punibilità già prevista dalla
normativa previgente, abbia introdotto, prima dell'invio della comunicazione
della notizia di reato, la possibilità di definire il contenzioso in sede
amministrativa, nel termine concesso a tale scopo al datore di lavoro, mediante
la contestazione o notifica dell’accertamento della violazione, che non
costituisce una condizione di procedibilità del reato, cosicché può ben
ritenersi che il Pubblico Ministero eserciti ritualmente l'azione penale per il
reato in questione anche se non si sia perfezionato il procedimento per la
definizione in sede amministrativa, così come esercita l'azione penale per i
fatti costituenti reato di cui sia venuto a conoscenza aliunde rispetto ai meccanismi di informazione previsti dagli artt.347
e 331 cod. proc. pen.
Da
ciò discende che la possibilità per il
datore di lavoro di evitare l'applicazione della sanzione penale attraverso il
procedimento definitorio appena descritto resta connessa all'adempimento dell'obbligo
imposto all'Ente Previdenziale di
rendergli noto, nelle forme previste dalla norma, l'accertamento delle
violazioni e le modalità ed i termini per eliminare il contenzioso in sede
penale, con la conseguenza che l'esercizio di tale facoltà può essere precluso
solo dalla scadenza del termine di tre mesi previsto, a decorrere dalla
contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento delle violazioni,
oppure da un atto equipollente che ne contenga tutte le informazioni in modo da
assicurare concretamente l'accesso a tale causa di non punibilità.
Sul
punto, la Suprema Corte ha aggiunto che, sulla base di tale meccanismo, sull'Ente
Previdenziale grava l'obbligo di assicurare la regolarità della contestazione o
della notifica dell'accertamento delle violazioni e, in caso di inadempimento, di attendere il decorso
del termine di tre mesi prima di trasmettere la notizia di reato al Pubblico
Ministero, il quale, a sua volta, dovrà poi accertare che all'indagato sia
stato concretamente reso possibile esercitare la facoltà di fruire della causa
di non punibilità, rendendo eventualmente edotto l'Ente Previdenziale in caso
di esito negativo della verifica, cosicché possa adempiersi all’obbligo di
contestazione o di notifica dell’accertamento delle violazioni imposto dalla
norma.
Analoghi
obblighi di verifica gravano, inoltre, sul giudice di entrambi i gradi di
merito, cui spetta di accogliere, in caso di esito negativo, una eventuale
richiesta di rinvio da parte dell'imputato, allo scopo di consentigli di
provvedere al versamento delle ritenute, tenendo conto che la legge già prevede
la sospensione del decorso della prescrizione per il periodo di tre mesi
concesso al datore di lavoro per il versamento, il che giustifica un rinvio del
dibattimento anche in assenza di una espressa previsione normativa.
Ciò
premesso, la Cassazione ha ricordato che l’effettiva possibilità di esercizio
della facoltà per l'imputato di effettuare il versamento omesso presuppone che
l'avviso dell'accertamento inviato dall'Ente contenga l'indicazione, rispettivamente, del
periodo cui si riferisce la violazione ed il relativo importo, della sede dell'Istituto
presso il quale deve essere effettuato il pagamento entro il termine di tre
mesi concesso dalla legge, nonché dell'avviso che detto pagamento consente di
fruire della causa di non punibilità, il che richiede, nell'ambito della
verifica cui sono chiamati il giudice o il Pubblico Ministero, che, in caso di
omessa notifica dell'accertamento, l'imputato sia stato raggiunto in sede
giudiziaria da un atto di contenuto equipollente all'avviso dell'Ente Previdenziale
e come tale viene individuato il decreto di citazione a giudizio, a condizione, però, che esso contenga gli
elementi essenziali del predetto avviso, con la conseguenza che, ai fini del
verificarsi della causa di non punibilità, va ritenuto tempestivo il versamento
delle ritenute previdenziali effettuato dall'imputato nel corso del giudizio,
quando risulti che lo stesso non abbia ricevuto dall'Ente la contestazione o la notifica dell’accertamento
delle violazioni o non sia stato raggiunto, nel corso del procedimento penale,
da un atto che contenga gli elementi essenziali dell'avviso di accertamento.
Infine, trovandosi il procedimento in sede di legittimità, senza che l'imputato
sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità, deve disporsi
l'annullamento della sentenza con rinvio al fine di consentirgli di fruire
della facoltà concessa dalla legge.
Del
resto, nella sentenza n.12267/2013 la Suprema Corte aveva già avuto modo
di ricordare come ulteriori contributi
interpretativi fossero stati offerti da altre pronunce della Cassazione in
merito alla prova dell'avvenuta comunicazione dell'accertamento dell'omesso
versamento delle ritenute previdenziali da parte dell'Inps, allorché si era
osservato che detta comunicazione è a forma libera e non richiede particolari
formalità (4), con la
conseguenza che può ritenersi valida anche la spedizione a mezzo raccomandata.
Sempre
la giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha ulteriormente stabilito come la
presenza della corretta indicazione del destinatario della contestazione di
accertamento della violazione degli obblighi contributivi e dell'indirizzo ove
effettuare il recapito sulla lettera raccomandata, mediante la quale viene
eseguita la comunicazione, permetta di escludere che possa assumere rilievo
l'impossibilità di risalire all'identità dell'effettivo consegnatario in
mancanza di concreti e specifici dati obiettivi che consentano di ipotizzare
che la comunicazione non sia stata portata alla sua conoscenza senza sua colpa (5), precisando,
altresì, come debba presumersi che il soggetto che sottoscrive l'avviso di
ricevimento sia comunque persona abilitata alla ricezione per conto del
destinatario del plico, che viene peraltro consegnato dall'ufficiale postale
secondo precise formalità (6).
In
sostanza, la libertà di forma che caratterizza la comunicazione suddetta esclude
che la stessa debba presentare i
requisiti della notificazione e, pertanto, il ricorrente aveva errato nel
ritenere invalida la comunicazione a lui diretta per difetto delle formalità
previste per la notificazione, perché, come si è detto, detta comunicazione
poteva avvenire anche a mezzo spedizione mediante raccomandata.
Chiarito
questo primo aspetto, gli ermellini hanno affrontato la censura con la quale il
ricorrente aveva lamentato che non
sarebbero state osservate le formalità relative all’indicazione,
rispettivamente, della data dell'avvenuto deposito del plico presso l'ufficio
postale, che l'atto non sarebbe stato ritirato entro i termini di legge, della
data dell'avvenuta compiuta giacenza, della sottoscrizione dell'agente posta e,
infine, della data della restituzione dell'atto al mittente.
Quelle
appena espresse sono, tuttavia,
formalità non previste, neppure dall'art.40 del D.P.R. n.655 del 29
maggio 1982, il quale si limita a
prevedere che «gli oggetti di
corrispondenza che non abbiano potuto essere distribuiti e non siano stati
chiesti in restituzione dai mittenti sono tenuti per un periodo di quindici
giorni negli uffici di destinazione, fatta eccezione per le stampe non fermo
posta, per le quali il periodo è limitato a dieci giorni, e per le
raccomandate, per le quali il periodo di giacenza è di trenta giorni. Deve
essere dato avviso della giacenza di oggetti raccomandati od assicurati, che
non abbiano potuto essere distribuiti, ai destinatari ed ai mittenti, se
identificabili».
Per
la corrispondenza raccomandata, nella sostanza, sono previsti soltanto un
periodo di giacenza prima della restituzione al mittente e l'avviso della
giacenza che, come è noto, consente il ritiro del plico presso l'ufficio
postale.
A
questo proposito, i giudici del gravame avevano accertato che la compiuta
giacenza risultava debitamente attestata dall'ufficiale postale sulla cartolina
relativa alla raccomandata in questione, cosicché la comunicazione era stata
ritenuta come regolarmente effettuata.
Si
tratta di una decisione che la Cassazione ha ritenuto fondata, poiché, in ogni
caso, la spedizione mediante raccomandata offre sufficienti garanzie circa il recapito al destinatario, in ragione,
rispettivamente, della certificazione della spedizione del plico, della
consegna esclusiva al destinatario o a un suo delegato, nonché della
possibilità di ritiro presso l’ufficio postale in caso di assenza.
Nel
rigettare il ricorso, la Cassazione ha poi concluso affermando il principio secondo il quale, in tema di omesso versamento
delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la comunicazione della
contestazione dell'accertamento della violazione è a forma libera, cosicché
anche il mancato ritiro e la «compiuta giacenza» possono essere oggetto di
valutazione per quanto riguarda la prova dell'avvenuta comunicazione
dell’accertamento dell’omesso versamento.
Valerio
Pollastrini
1)
–
fattispecie di reato prevista dall’art.81, comma 2, cod. pen. e dall’art.2
della Legge n.638/1983;
2)
–
Cass., Sentenza n.19457 dell’8 aprile 2014; Cass., Sentenza n.259724/2014; Cass.,
Sentenza n.12567 del 19 febbraio 2013;
3)
-
introdotto dall’art.1 del D.Lgs. n.211/1994;
4)
–
Cass., Sentenza n.30566 del 19 luglio
2011; Cass., Sentenza n.26054 del 14 febbraio 2007; Cass., Sentenza n.9518 del 22 febbraio 2005;
5)
–
Cass., Sentenza n.2859 del 17 ottobre 2013; Cass., Sentenza n.3024 del 14/ luglio
2011;
6)
–
Cass., Sentenza n.19457/2014;
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