Nel
caso di specie, il Tribunale di Bergamo accogliendo la domanda con la quale una dipendente aveva
chiesto il diritto ad ottenere la corresponsione del trattamento di maternità,
aveva condannato la datrice di lavoro a pagarle le retribuzioni dovute fino al termine
dell'astensione per puerperio, data in cui la lavoratrice si era dimessa.
Successivamente,
la Corte di Appello di Milano aveva rigettato l’impugnazione proposta dall’azienda
e, ricordata la ratio dei molteplici provvedimenti legislativi a tutela della
lavoratrice madre, aveva ritenuto non rilevante la prova chiesta in ordine alla
avvenuta (contestata) comunicazione alla datrice di lavoro della dipendente
dello stato di gravidanza, essendo pertinente solo il fatto storico della
gravidanza stessa, in coerenza con le direttive sovranazionali e la
giurisprudenza della Corte di giustizia.
La
Corte territoriale, inoltre, in virtù
del divieto di licenziamento irrogato in
costanza del periodo di astensione, aveva ritenuto nulle le presunte dimissioni,
che la lavoratrice aveva sostenuto di aver firmato in bianco all'atto di
assunzione, in quanto, in ogni caso, non erano state convalidate secondo la
procedura prevista.
Avverso
questa sentenza, la datrice di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione,
dolendosi della circostanza che, nel corso del giudizio di Appello, non fosse
stata disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'INPS,
quale soggetto effettivamente tenuto
alla prestazione.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto fondata la predetta censura, accolta
alla stregua dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo la
quale "La domanda del lavoratore
dipendente volta al riconoscimento dell’ indennità di malattia deve proporsi
non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche nei riguardi dell'INPS,
sussistendo nella specie una ipotesi di litisconsorzio necessario ex art.102
cod. proc. civ. Infatti, ai sensi dell'inderogabile disciplina sancita
dall'art.1 del D.L. n.663 del 1979 (convertito nella legge n. 33 del 1980)
l'INPS è l'unico soggetto obbligato ad erogare le indennità di malattia e
maternità ex art.74 della legge n.833 del 1978, mentre il datore di lavoro è
tenuto ad anticiparle, salvo conguaglio con i contributi e le altre somme
dovute all'Istituto, con la precisazione che l'obbligo di anticipazione del
datore di lavoro in tanto esiste in quanto la prestazione sia effettivamente
dovuta dall'Istituto previdenziale" (1).
Ciò
premesso, la Suprema Corte ha escluso che si possa distinguere tra indennità di
malattia e indennità di maternità, essendo il meccanismo di sola anticipazione
da parte del datore di lavoro (rimanendo tenuto l'Istituto) il medesimo.
Conseguentemente,
gli ermellini hanno cassato la sentenza impugnata, rinviando la decisione alla
Corte di Appello milanese.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.669/2001; cfr. anche Cass., Sentenza n.6190/2000;
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