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mercoledì 28 gennaio 2015

Falso lavoratore autonomo: determinazione delle sanzioni civili

Nella sentenza n.1476 del 27 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che, ai fini della determinazione le sanzioni civili, l’ipotesi dell’instaurazione di un rapporto di lavoro  autonomo, successivamente disconosciuto giudizialmente e convertito in rapporto subordinato, è esclusa dalla fattispecie di evasione contributiva, rientrando in quella  più lieve della omissione.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Trieste aveva confermato, riunendo i giudizi, le tre sentenze di primo grado che avevano respinto le opposizioni proposte da un’impresa di costruzioni avverso le cartelle esattoriali alla stessa notificate  per il pagamento, a favore dell’Inps, dei contributi previdenziali e relative sanzioni civili in conseguenza di un rapporto di lavoro subordinato che era stato denunciato come autonomo.

La Corte del merito, premesso che l’impugnazione della società aveva riguardato solo l’ammontare delle sanzioni civili applicate dall’Inps per il mancato pagamento dei contributi relativi al rapporto anzidetto, aveva ritenuto:

a)     che fossero dovute, ratione temporis, le sanzioni nella misura di cui alla Legge n.662/96, trattandosi di un credito esistente alla data del 30 settembre 2000, accertato dall’Inps con verbale del maggio 2000;

b)     che ricorreva un’ipotesi di evasione contributiva e non già di omissione contributiva, posto che questa presuppone che il datore di lavoro, pur avendo provveduto alla denuncia del rapporto, abbia omesso il pagamento dei contributi, mentre nella specie il rapporto subordinato non era stato denunziato, ma era stato accertato a seguito di una ispezione e successivamente per via giudiziale.

Avverso questa sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione e, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art.116, comma 18, della Legge n.388/2000, aveva dedotto che tale disposizione, nel sancire che, per i crediti in essere ed accertati al 30 settembre 2000, le sanzioni sono dovute nella misura e secondo le modalità fissate dai commi 217 e seguenti dell’art.1 della Legge n.662/96 e che il maggior importo versato, pari alla differenza tra quanto dovuto ai sensi dei predetti commi e quanto calcolato in base all’applicazione della Legge n.388/2000, costituisce un credito contributivo nei confronti dell’Ente Previdenziale che potrà essere posto a conguaglio ratealmente nell’arco di un anno, costituirebbe una norma di favore per il contribuente di immediata applicabilità.

A questo proposito, la ricorrente aveva aggiunto, che la questione non riguarderebbe   un effetto retroattivo della norma,bensì la sussistenza di un regime sanzionatorio più favorevole, che si applicherebbe a tutti i casi non esauriti, ivi compresi quelli precedenti per i quali sia sorta una controversia innanzi all’autorità giudiziaria.

L’azienda, inoltre, aveva sostenuto che, nella specie, ricorrerebbe una ipotesi di omissione contributiva e non già di evasione contributiva.

Quest’ultima infatti presuppone, a norma dell’art.116, comma 8, della Legge n.388/2000, che il datore di lavoro occulti il rapporto di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, evenienza questa nella specie non ricorrente, essendo stata la natura subordinata del rapporto accertata in via giudiziale.

La ricorrente aveva poi sostenuto che, quand’anche si ritenesse applicabile nella fattispecie in esame l’art.1, comma 217, della Legge n.662/96, in ogni caso, ricorrerebbe una ipotesi di omissione e non già di evasione contributiva, atteso che la società, ritenendo autonomo il rapporto di lavoro in contestazione, aveva denunciato il rapporto, provvedendo al versamento dei contributi alla Cassa Geometri, circostanza questa che escluderebbe l’evasione.

L’azienda, infine, aveva censurato  la Corte del merito perché avrebbe omesso di spiegare in base a quali elementi di fatto avesse ritenuto che la società avesse voluto occultare la natura subordinata del rapporto. Peraltro, la ricorrente aveva ricordato come  l’INPS, nella Circolare n.74/2003, avesse chiarito che la simulazione di un rapporto di lavoro subordinato, ipotesi che si verifica in presenza di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o rapporti di natura autonoma successivamente individuati come subordinati, configuri, ai fini sanzionatori, un’omissione contributiva.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto fondate le doglianze predette, ricordando come la stessa Corte di legittimità avesse più volte affermato che, in tema di sanzioni civili per omissioni contributive, la Legge n.388/2000, in deroga al principio tempus regit actum, abbia sancito la generalizzata applicazione del sistema sanzionatorio previsto dalla Legge n.662/1996, a tutte le omissioni contributive, in qualunque tempo poste in essere, purché esistenti ed accertate alla data del 30 settembre 2000, contemperando la voluntas legis, da un lato, l’esigenza di applicare con effetto retroattivo la nuova disciplina più favorevole e, dall’altro, di evitare di interferire sulle attività di cartolarizzazione e di iscrizione a ruolo, già effettuate sulla base della disciplina precedente, mantenendo ferme le penalità di cui alla legge n.662 citata, ma riconoscendo alle aziende sanzionate in modo più consistente, un credito contributivo allo scopo di alleggerirne l'impatto (1).

Al riguardo, infatti, gli ermellini hanno rammentato che il legislatore - consapevole che una modifica "in corsa" sui meccanismi di calcolo delle sanzioni avrebbe comportato la necessità per gli enti previdenziali di effettuare complessi procedimenti di correzione - ha evitato di interferire sulla attività di cartolarizzazione e di iscrizione a ruolo, già effettuati sulla base della disciplina precedente, disponendo che a tutte le omissioni, esistenti ed accertate a quella data, si applicano le sanzioni di cui alla Legge n.662/1996, ma riconoscendo poi, alle aziende che pagano queste più consistenti sanzioni, un credito contributivo.

Ed infatti, il maggiore importo versato, pari alla differenza fra quanto dovuto ai sensi dell’art.1, comma 217, della Legge anzidetta e quanto calcolato in base all'applicazione dei commi da 8 a 17 dell’art.116 della Legge n.388/2000, costituisce un credito contributivo nei confronti dell'Ente Previdenziale, che potrà essere posto a conguaglio ratealmente nell'arco di un anno, tenendo conto delle scadenze temporali, previste per il pagamento dei contributi e premi assicurativi correnti, secondo le modalità operative fissate dall’Istituto.

Sul punto, inoltre, la Suprema Corte ha aggiunto che la possibilità di conguaglio costituisce un mero risvolto pratico successivo al pagamento delle sanzioni secondo il sistema delineato dalla Legge n.662/1996, che resta obbligatorio, giacché, solo a seguito di detto pagamento si potrà operare la compensazione (ratealmente nell'arco di un anno) tra la maggiore sanzione, già pagata, ed i contributi correnti da pagare.

Al termine di questa premessa, la Cassazione, osservando come la questione al vaglio riguardi le sanzioni esistenti ed accertate alla data del 30 settembre 2000, ha conseguentemente accolto la doglianza formulata sul punto dalla ricorrente.

Affrontando, poi, le altre censure aziendali, gli ermellini hanno ricordato che l'art.1, comma 217, della Legge n.662/1996 - applicabile nella specie ratione temporis -, testualmente recita:"I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti, nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una somma aggiuntiva, in ragione d'anno, pari, in caso di evasione connessa a registrazioni o denuncie obbligatorie omesse o non conformi al vero, oltre alla somma aggiuntiva di cui alla lettera a), al pagamento di una sanzione, una tantum, da graduare secondo criteri fissati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, in relazione alla entità dell'evasione e al comportamento complessivo del contribuente...".

Sulla materia è intervenuto successivamente l'art.116, comma 8, della Legge n.388 del 23 dicembre 2000,  che ha così disposto:"I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti:

a)     nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari...;

b)     in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari...".

Con la nuova disciplina, pertanto, il legislatore ha precisato che, ai fini della realizzazione della fattispecie della evasione contributiva, le registrazioni o le denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero devono avere il fine specifico di non versare i contributi o premi, occultando così il rapporto di lavoro in essere o le retribuzioni erogate.

A tale riguardo, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato (2) il seguente principio di diritto: "In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, la mancata presentazione del modello DM/10 (recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare) configura la fattispecie della evasione - e non già della semplice omissione - contributiva, ricadente nella previsione della lettera b) dell'art.1, comma 217, della Legge n.662/1996, che commina una sanzione "una tantum" il cui pagamento (alla stregua della modifica apportata al predetto comma dall'art.59 della Legge n.449/1997) può essere evitato effettuando la denuncia della situazione debitoria spontaneamente (prima, cioè, di contestazioni o richieste da parte dell'ente) e comunque entro sei mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi, purché il versamento degli stessi sia poi effettuato entro trenta giorni dalla denuncia (cd. ravvedimento operoso), senza che, in subiecta materia, spieghi influenza l’entrata in vigore dell'art.116, commi 8 ss., della Legge n.388/2000 (configurante la fattispecie dell'evasione contributiva in termini diversi e più favorevoli al datore di lavoro), attesante la indiscutibile inapplicabilità alle vicende precedenti alla sua entrata in vigore".

Sempre secondo l’indirizzo fornito dalle Sezioni Unite,  la fattispecie dell’omissione contributiva, in sostanza, deve ritenersi limitata all’ipotesi del (solo) mancato pagamento da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la mancanza di uno solo degli altri, necessari adempimenti - in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti d’istituto dell’Ente Previdenziale - è sufficiente ad integrare gli estremi dell’evasione. Con la conseguenza che nelle ipotesi in cui le denunce obbligatorie non siano state presentate è integrata la fattispecie legale sanzionabile, anche qualora i dipendenti risultino registrati nei libri matricola.

Tanto premesso, il Collegio ha precisato che la fattispecie in esame presenta aspetti diversi da quelli esaminati dalle Sezioni Unite.

Nel caso di specie, infatti, non risulta affatto che il datore di lavoro abbia omesso registrazioni o denunce obbligatorie ovvero che queste fossero non conformi al vero (3).

Risulta viceversa che la società ricorrente avesse stipulato con il lavoratore un contratto  qualificato dalle parti quale autonomo, rapporto denunziato, come evidenziato dalla sentenza impugnata, alla Cassa Geometri, alla quale erano stati versati i relativi contributi.

Il successivo accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto, pertanto, non vale ad integrare la fattispecie della evasione contributiva, poiché, da un lato, dagli elementi acquisiti al processo non risulta che vi fosse da parte della società la volontà o il deliberato proposito di occultare il rapporto di lavoro, dall’altro, il datore di lavoro aveva regolarmente denunziato il rapporto di lavoro quale autonomo, ancorché allo stesso sia stata poi attribuita per via giudiziale una qualificazione giuridica diversa da quella convenuta dalle parti.

Del resto, ritenere che nell’ipotesi di erronea qualificazione del rapporto conseguente ad incertezze sulla sua natura ricorra l’ipotesi di evasione contributiva, significherebbe attribuire alla disciplina di cui alla Legge n.662/1996 un significato che essa non solo non ha, ma che nemmeno è desumibile dal tenore delle relative disposizioni, le quali fanno riferimento a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero.

In relazione all’ipotesi dianzi indicata, ne deriva, dunque,  che l’Istituto ha diritto di richiedere alla società ricorrente le sanzioni civili ai sensi dell’art.1, comma 217, lettera a), della Legge n.662/96 e non già in base alla lettera b) dello stesso articolo.

Sulla base delle considerazioni sopra riportante, pertanto, la Suprema Corte ha  cassato con rinvio la sentenza impugnata, formulando il seguente  principio di diritto: “Nel vigore della Legge n.662/1996, in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, il datore di lavoro che abbia denunziato il rapporto di lavoro quale autonomo, così come qualificato dalle parti, ed abbia provveduto al versamento dei contributi al relativo ente previdenziale, deve pagare, in caso di obbligo contributivo successivamente riconosciuto in sede amministrativa o giudiziale, le sanzioni civili per omissione ai sensi dell’art.1, comma 217, lettera a), della suddetta Legge e non già per evasione contributiva”.

Il giudice del riesame, indicato in dispositivo, nel riesaminare la causa, dovrà attenersi ai principi sopra indicati, provvedendo anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

Valerio Pollastrini

 
1)      - Cass., Sentenza n.2385 del 5 febbraio 2007; Cass., Sentenza n.22001 del 1° settembre 2008; Cass., Sentenza n.22414 del 22 ottobre 2009;
2)      - Cass. SS.UU., Sentenza n.4808 del 7 marzo 2005;
3)      - come stabilito dall’art.1, comma 217, della Legge n.662/96;

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