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lunedì 26 gennaio 2015

Insubordinazione, aggressione e minacce: legittimo il licenziamento disciplinare

Nella sentenza n.1246 del 23 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che l'insubordinazione ed il diverbio litigioso seguito da vie di fatto costituiscono delle condotte passibili di licenziamento.

Nel caso di specie, un dipendente  aveva proposto appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Vasto aveva rigettato il suo ricorso volto a sentir dichiarare l'illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli dalla società datrice di lavoro.

In particolare, il lavoratore aveva lamentato l'erroneità della decisione, allorché aveva ritenuto che la sua condotta integrasse le ipotesi, previste dall'art.72 del CCNL del settore del vetro, di insubordinazione, consistente in una "grave infrazione alla disciplina ed alla diligenza del lavoro", e in "azioni delittuose ai termini di legge" con ricorso a vie di fatto, per effetto di una erronea rappresentazione dell'episodio in questione.

Secondo il dipendente, inoltre, il primo giudice non avrebbe considerato la sproporzione tra l’infrazione disciplinare e la sanzione irrogata, mai preceduta da richiami di sorta in 15 anni di servizio, dovendo invece considerarsi come egli risultasse anche afflitto da sindrome depressiva, nonché da una situazione di disagio a livello personale, e che detta condotta non avrebbe arrecato alcun pregiudizio alla società.

Tuttavia, anche la Corte di Appello di L'Aquila aveva rigettato la domanda proposta dal dipendente, il quale, avverso questa pronuncia, aveva quindi proposto  ricorso per Cassazione, contestando, in primo luogo, che il comportamento addebitatogli potesse inquadrarsi nella fattispecie dell'insubordinazione. D'altra parte, a suo dire, il contratto collettivo di settore individuerebbe a tale proposito una fattispecie complessa, ossia il diverbio litigioso seguito dalle vie di fatto.

Secondo il ricorrente, la ricostruzione della condotta contestatagli porterebbe, invece, ad escludere che nella specie fossero ravvisabili "vie di fatto", ossia percosse. Infatti, le sole ingiurie e minacce non potrebbero integrare gli estremi della suddetta fattispecie contrattuale.

Il dipendente aveva poi censurato la Corte del merito anche per aver  ritenuto che il diverbio litigioso e la discussione sulle mansioni, impropriamente qualificati come insubordinazione, avessero leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto con il datore di lavoro.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le suddette doglianze, precisando come, nella specie, il giudice dell’appello, con motivazione ampiamente sufficiente e nient'affatto contraddittoria, avesse correttamente valutato i fatti di causa.

Nel corso dell’istruttoria, infatti, era emerso che il ricorrente, in occasione del cambio di turno:

-          si era rifiutato di ottemperare alle disposizioni impartitegli dal conduttore di linea;

-         aveva contestato vivacemente tali disposizioni, sino a costringere all'intervento il responsabile dello stabilimento;

-         in presenza di quest'ultimo, che gli aveva chiesto spiegazioni, e di altri, il lavoratore, anziché enunciare i motivi del rifiuto, aveva aggredito verbalmente, proferendo delle minacce, il conduttore di linea, attraverso frasi quali "ti spacco il...", "ti ammazzo", "vieni fuori se hai il coraggio";

-         a tali frasi aveva fatto seguire "vie di fatto", alzando le mani sul conduttore di linea e spingendolo.

I fatti appena richiamati - secondo la Corte territoriale - risultavano sussumibili nella fattispecie di cui all'art.72 del CCNL del Vetro, che, sotto la rubrica "licenziamento per punizione", prevede che "nel provvedimento di licenziamento senza preavviso incorre il lavoratore che commetta infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro, che provochi all'Azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento di lavoro, azioni delittuose a termini di legge" e, a titolo esemplificativo, considera sia l'insubordinazione verso superiori, sia il diverbio litigioso seguito da vie di fatto e/o rissa nello stabilimento.

Lo stesso giudice dell’appello, pertanto, aveva ricondotto il comportamento posto in essere dal ricorrente  nella fattispecie sia dell'insubordinazione, sia del diverbio litigioso seguito da vie di fatto.

Ciò chiarito, gli ermellini hanno ricordato come, anche la proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto agli addebiti contestati, fosse stata adeguatamente motivata dalla Corte di Appello, cosa, del resto, già compiuta dal primo giudice (1).

In sostanza, tutte le valutazioni di merito, in quanto assistite da sufficiente e non contraddittoria motivazione, risultano non censurabili in sede di legittimità.

Conseguentemente, la Cassazione ha concluso rigettando il ricorso.

Valerio Pollastrini

 
1)      - cfr., peraltro, Cass., Sentenza n.12806 del 6 giugno 2014 secondo cui la sanzione espulsiva è proporzionata alla gravità dell'addebito anche in presenza di un unico episodio di insubordinazione;

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