Nel
caso di specie, un dipendente aveva
proposto appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Vasto aveva
rigettato il suo ricorso volto a sentir dichiarare l'illegittimità del
licenziamento disciplinare irrogatogli dalla società datrice di lavoro.
In
particolare, il lavoratore aveva lamentato l'erroneità della decisione,
allorché aveva ritenuto che la sua condotta integrasse le ipotesi, previste
dall'art.72 del CCNL del settore del vetro, di insubordinazione, consistente in
una "grave infrazione alla
disciplina ed alla diligenza del lavoro", e in "azioni delittuose ai termini di legge"
con ricorso a vie di fatto, per effetto di una erronea rappresentazione
dell'episodio in questione.
Secondo
il dipendente, inoltre, il primo giudice non avrebbe considerato la
sproporzione tra l’infrazione disciplinare e la sanzione irrogata, mai
preceduta da richiami di sorta in 15 anni di servizio, dovendo invece considerarsi
come egli risultasse anche afflitto da sindrome depressiva, nonché da una
situazione di disagio a livello personale, e che detta condotta non avrebbe
arrecato alcun pregiudizio alla società.
Tuttavia,
anche la Corte di Appello di L'Aquila aveva rigettato la domanda proposta dal
dipendente, il quale, avverso questa pronuncia, aveva quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando, in primo
luogo, che il comportamento addebitatogli potesse inquadrarsi nella fattispecie
dell'insubordinazione. D'altra parte, a suo dire, il contratto collettivo di
settore individuerebbe a tale proposito una fattispecie complessa, ossia il
diverbio litigioso seguito dalle vie di fatto.
Secondo
il ricorrente, la ricostruzione della condotta contestatagli porterebbe, invece,
ad escludere che nella specie fossero ravvisabili "vie di fatto", ossia percosse. Infatti, le sole ingiurie e
minacce non potrebbero integrare gli estremi della suddetta fattispecie
contrattuale.
Il
dipendente aveva poi censurato la Corte del merito anche per aver ritenuto che il diverbio litigioso e la
discussione sulle mansioni, impropriamente qualificati come insubordinazione,
avessero leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario posto alla base del
rapporto con il datore di lavoro.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le suddette doglianze, precisando
come, nella specie, il giudice dell’appello, con motivazione ampiamente
sufficiente e nient'affatto contraddittoria, avesse correttamente valutato i
fatti di causa.
Nel
corso dell’istruttoria, infatti, era emerso che il ricorrente, in occasione del
cambio di turno:
-
si era rifiutato di ottemperare alle disposizioni
impartitegli dal conduttore di linea;
-
aveva
contestato vivacemente tali disposizioni, sino a costringere all'intervento il
responsabile dello stabilimento;
-
in
presenza di quest'ultimo, che gli aveva chiesto spiegazioni, e di altri, il
lavoratore, anziché enunciare i motivi del rifiuto, aveva aggredito verbalmente,
proferendo delle minacce, il conduttore di linea, attraverso frasi quali "ti spacco il...", "ti ammazzo", "vieni fuori se hai il coraggio";
-
a
tali frasi aveva fatto seguire "vie
di fatto", alzando le mani sul conduttore di linea e spingendolo.
I
fatti appena richiamati - secondo la Corte territoriale - risultavano
sussumibili nella fattispecie di cui all'art.72 del CCNL del Vetro, che, sotto
la rubrica "licenziamento per
punizione", prevede che "nel
provvedimento di licenziamento senza preavviso incorre il lavoratore che
commetta infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro, che provochi
all'Azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con
lo svolgimento di lavoro, azioni delittuose a termini di legge" e, a
titolo esemplificativo, considera sia l'insubordinazione verso superiori, sia
il diverbio litigioso seguito da vie di fatto e/o rissa nello stabilimento.
Lo
stesso giudice dell’appello, pertanto, aveva ricondotto il comportamento posto
in essere dal ricorrente nella
fattispecie sia dell'insubordinazione, sia del diverbio litigioso seguito da
vie di fatto.
Ciò
chiarito, gli ermellini hanno ricordato come, anche la proporzionalità della
sanzione espulsiva rispetto agli addebiti contestati, fosse stata adeguatamente
motivata dalla Corte di Appello, cosa, del resto, già compiuta dal primo
giudice (1).
In
sostanza, tutte le valutazioni di merito, in quanto assistite da sufficiente e
non contraddittoria motivazione, risultano non censurabili in sede di
legittimità.
Conseguentemente,
la Cassazione ha concluso rigettando il ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
-
cfr., peraltro, Cass., Sentenza n.12806 del 6 giugno 2014 secondo cui la
sanzione espulsiva è proporzionata alla gravità dell'addebito anche in presenza
di un unico episodio di insubordinazione;
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