Con ricorso,
ritualmente depositato, una lavoratrice aveva esposto:
- di
essere stata selezionata come appartenente a categoria protetta per un corso di
tirocinio di sei mesi presso un Ospedale
di Roma, come addetta, rispettivamente, alle pulizie, al rifacimento dei letti
e al servizio dei pasti ai malati;
- di
essere stata assunta, al termine del tirocinio, come ausiliario specializzato
con contratto a tempo indeterminato, comprensivo del patto di prova di sei
mesi;
- che l’azienda
ospedaliera aveva risolto il rapporto di lavoro per mancato superamento della
prova.
Ciò
premesso, aveva convenuto in giudizio l’azienda per sentir accertare l’illegittimità
del recesso, con le conseguenze previste dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, oltre accessori.
La Corte
di Appello di Roma aveva confermato, però, la pronuncia con la quale il Tribunale del primo grado aveva rigettato la
domanda della ricorrente.
Nel
pervenire a tale conclusione la Corte territoriale aveva osservato che la donna,
nel rispetto della convenzione con la Provincia di Roma, era stata ammessa al
tirocinio con la qualifica di ausiliario specializzato e che i suoi tutori
esterni, destinati al controllo del regolare svolgimento del tirocinio, non
avevano formulato alcun rilievo sul suo operato, pertanto, detto rapporto doveva considerarsi regolare sia sotto il
profilo della costituzione che riguardo al rispetto della normativa in
materia.
La stessa
Corte aveva poi aggiunto che, in seguito, la lavoratrice aveva stipulato un
contratto a tempo indeterminato, nel quale era stata validamente inserita la clausola del patto di prova della durata di sei mesi e che
la datrice di lavoro aveva posto fine
alla prova senza indicarne i motivi, che, tuttavia, non erano stati richiesti
dalla ricorrente.
Investita
della questione, la Cassazione ha ricordato che, secondo il costante
orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di
patto di prova legittimamente stipulato con uno dei soggetti protetti, assunti
in base alla normativa sul collocamento obbligatorio, il recesso dell’imprenditore
durante tale periodo è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento
individuale per quanto riguarda l’onere dell’adozione della forma scritta e non
richiede, pertanto, una formale comunicazione delle ragioni del recesso.
In
sostanza, in simili casi la manifestazione di volontà del datore di lavoro, in
quanto riferita all’esperimento in corso, si qualifica come valutazione
negativa della prova e comporta, senza necessità di ulteriori indicazioni, la
definitiva e vincolante identificazione della ragione che giustifica
l’esercizio del potere di recesso.
Per tale
ragione, gli ermellini hanno confermato quanto disposto nell’impugnata
sentenza.
Valerio
Pollastrini
Nessun commento:
Posta un commento