Il
caso di specie, è quello che ha avuto ad oggetto il licenziamento disciplinare
irrogato ad un lavoratore in malattia che si era sottratto alle fasce orarie di
reperibilità preposte al controllo del medico e che, nelle more della sua
impossibilità a svolgere la prestazione, aveva permesso alla moglie di
utilizzare l’auto aziendale.
La
Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, aveva escluso
la sussistenza di una giusta causa di recesso, ritenendo configurato, invece, il meno grave giustificato motivo soggettivo,
a ragione del quale, il datore di lavoro avrebbe dovuto corrispondere al
dipendente estromesso l’indennità di mancato preavviso.
In
particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che la sottrazione del
lavoratore agli obblighi di reperibilità, ostativa ai controlli della società sul suo stato di malattia, e l’abnorme
utilizzazione, sia pure da parte del coniuge, dell’autovettura in benefit per lunghe percorrenze in periodi di
sospensione del rapporto del marito, fossero ben qualificabili alla stregua di
una giusta causa di recesso.
Tuttavia,
in ragione della ravvisata ripetuta indulgenza datoriale, il giudice dell’appello
aveva convertito la fattispecie del licenziamento in quella più lieve del giustificato motivo soggettivo, nonostante
una simile condotta possa configurare, in generale, una giusta causa di recesso.
Si
tratta di un impianto motivazionale che, così come ricostruito dalla Corte del
merito, è stato confermato appieno anche dalla Cassazione.
Valerio
Pollastrini
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