Il
caso di specie è quello che ha riguardato un lavoratore adibito alle attività
di gestione, deposito, affidamento del credito, intermediazione bancaria,
nonché al trasporto e alla consegna di
posta, posta pregiata, assegni e carte di credito, licenziato in seguito alla
sentenza penale che lo aveva condannato per i reati di usura ed estorsione.
In
riforma della decisione emessa dal Tribunale del primo grado, la Corte di Appello
di Napoli aveva ritenuto illegittimo il recesso.
Nello
specifico, la Corte territoriale aveva osservato che, avuto riguardo alle circostanze concrete, i
reati suddetti non potessero interrompere il vincolo fiduciario necessariamente
intercorrente fra datore e prestatore di lavoro.
A
detta del giudicante, i rilievi avanzati dall’azienda, in merito alla continua
disponibilità di posta pregiata da parte del lavoratore ed al discredito
sofferto a causa della condanna penale
di questi, apparivano formulati in modo generico.
In
particolare, la Corte di Appello aveva escluso l'incidenza dei fatti realizzati
dal dipendente in ambito extralavorativo, attese la durata ultraventennale del
rapporto, la mancanza di precedenti disciplinari e l'ambito ben delimitato in
cui i reati erano stati commessi.
Contro
questa sentenza, la società aveva proposto
ricorso per Cassazione, lamentando che la Corte del merito avesse
ignorato l'idoneità dei fatti, accertati definitivamente dal giudice penale a
carico del dipendente, a ledere il legame fiduciario necessariamente
intercorrente tra datore e prestatore di lavoro, specie considerando "la natura dell'attività svolta e la
potenziale destabilizzazione dell'ambiente lavorativo”.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto fondata detta doglianza.
Nella
premessa di carattere generale, gli ermellini hanno ricordato che anche una
condotta illecita estranea all'esercizio delle mansioni del lavoratore
subordinato può assumere un rilievo disciplinare, poiché il dipendente è assoggettato non solo
all'obbligo di rendere la prestazione, bensì anche agli obblighi accessori di
comportamento extralavorativo, tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali
del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura ed in diversa forma,
lega le parti di un rapporto di durata.
Una
simile condotta illecita, però, comporta la sanzione espulsiva soltanto se
presenti caratteri di gravità che debbono essere apprezzati, tra l'altro, in
relazione alla natura dell'attività svolta dall'impresa.
Sul
punto, la Suprema Corte ha proseguito sottolineando che, se, per le aziende
svolgenti un'attività puramente
privatistica, alcuni comportamenti illeciti posti in essere dal lavoratore possono essere considerati non di gravità tale
da giustificarne l'espulsione, al contrario,
possono ledere irreparabilmente il legame fiduciario ed il connesso requisito
di affidabilità tipico di un rapporto di
lavoro costituito per l'espletamento di un servizio pubblico, ancorché in
regime giuridico privatistico.
E'
infatti noto che l'attività dello Stato o degli Enti Pubblici, intesa a
soddisfare pubblici interessi, può essere svolta attraverso attività
costituenti diretta manifestazione dell'autorità della pubblica
amministrazione, che si trova in posizione di supremazia nell'interesse
generale della collettività, oppure attraverso un'attività privatistica, caratterizzata
dalla posizione di parità del soggetto che opera per la soddisfazione
dell'interesse pubblico e soggetti collaboratori ovvero fruitori del servizio.
Quest'attività
privatistica può essere svolta, come avviene spesso per il servizio postale,
mediante la costituzione di società con capitale prevalentemente o totalmente
pubblico.
Tuttavia,
l'impegno di capitale pubblico e la pubblicità del fine perseguito, che
sottomettono l'attività svolta ai principi di imparzialità e di buon andamento
di cui agli artt.3 e 97 della Costituzione, non sono senza riflesso nei doveri
gravanti sui lavoratori dipendenti, che debbono assicurare affidabilità, nei
confronti del datore di lavoro e dell'utenza, anche nella condotta
extralavorativa.
Al
termine di questa premessa, la Cassazione, tornando sul caso di specie, ha precisato
che la condanna definitiva per usura ed estorsione ostasse al proseguimento del
rapporto di lavoro con l'agente postale e che, pertanto, il giudice d'appello
aveva errato nell’esprimersi in senso contrario, così obliterando la
peculiarità del lavoro reso in regime privatistico ma per l’espletamento di un
servizio pubblico.
Valerio
Pollastrini
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