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lunedì 26 gennaio 2015

Infortunio mortale: responsabilità del datore di lavoro

Nella sentenza n.3272 del 23 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha ricordato che, in caso di infortunio mortale del dipendente, l’eventuale concorso di colpa di altro soggetto non elide la responsabilità penale del datore di lavoro.

Nel caso di specie, sia al legale rappresentante di una ditta di costruzioni  che al coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione era stato imputato di non avere impedito ad un lavoratore autonomo di manovrare l'autopompa per il getto del calcestruzzo in vicinanza di una linea elettrica ad alto voltaggio in funzionamento, così procurando la morte per folgorazione di un operaio intento all'opera di sversamento del calcestruzzo.

Dopo che i giudizi del merito si erano conclusi con la condanna degli imputati, i due avevano proposto ricorso per Cassazione, sostenendo, tra l’altro,  che  l'evento suddetto sarebbe dovuto essere  addebitato, in via esclusiva, al menzionato lavoratore autonomo, la cui inadeguata condotta non  sarebbero stati in grado di prevedere.

Investita della questione, la Cassazione ha premesso che l’oggetto dell’imputazione risultava costituito  dalla mancata applicazione “della procedura prevista nel piano di sicurezza e di coordinamento, così come integrato dal piano operativo della sicurezza, in relazione alle operazioni di getto di calcestruzzo nella parete di contenimento posta al di sotto della linea elettrica area alimentata a 8.400 volt, al fine di mantenere la distanza minima di sicurezza di metri cinque tra il braccio dell'autopompa e i conduttori elettrici”.

Dall’istruttoria, inoltre, era emerso che quella stessa mattina il primo getto era stato effettuato, nella piena ed evidente consapevolezza del rischio, sotto la direzione di uno dei ricorrenti, il quale aveva impartito le disposizioni ritenute necessarie al richiamato lavoratore autonomo. Senza contare che entrambi i ricorrenti avevano già avuto modo di sperimentare concretamente la pericolosità del sito, in quanto, appena qualche giorno prima, un altro operaio  era stato coinvolto in un analogo incidente, dal quale era uscito miracolosamente incolume, e che la gravità della situazione aveva imposto riunioni tra alcuni esponenti della società, nell'interesse della quale operava il soggetto che aveva materialmente eseguito la sciagurata manovra, senza che si fosse acceduto alle misure preventive risolutive, costituite dalla richiesta di disattivazione temporanea della linea o dell'uso di congegni di autolimitazione del braccio dell'autobetoniera o di altri efficaci ed effettive cautele.

Si tratta di un addebito penale che, per gli ermellini, non può certo dirsi di natura oggettiva. I due ricorrenti, infatti, erano stati condannati non già per il mero fatto di ricoprire le qualifiche di cui si è detto, ma perché, ciascuno di loro, per colpa, era venuto meno ai doveri di prevenzione antinfortunistica derivanti dal ruolo rispettivamente ricoperto.

In merito alla pretesa responsabilità esclusiva del lavoratore autonomo, la Cassazione ha poi ricordato come, in materia di sicurezza, il garante debba assicurare il bene dell'integrità fisica e della vita del garantito, il quale da solo, per una pluralità di ragioni, non sarebbe in grado di tutelarsi pienamente.

Pertanto, l’eventuale concorso (invero frequente) della colpa di altro soggetto, la cui attività o anche sola presenza risulta legittimamente inserita nel processo lavorativo, non elide affatto la penale responsabilità di chi rivesta la funzione di garante, salvo l'emergere di condotte che, per la loro anomalia, bizzarria o abnormità, non siano tali da indurre questi ad una precipua preventiva percezione del rischio.

Tornando al caso di specie, la Suprema Corte, non ravvisando i caratteri dell'anomalia o dell'abnormità nella condotta del lavoratore autonomo, tali da recidere il nesso di causalità, aveva ritenuto infondata la tesi sostenuta dagli imputati.

Sul punto, gli ermellini hanno richiamato anche la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti (1).

Del resto, sempre a questo proposito,  la Cassazione aveva già avuto modo di affermare che “in materia di normativa antinfortunistica, l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell’impresa, prestino la loro opera in via autonoma(2).

Se, infatti, è indiscutibile che il lavoratore autonomo ha l’obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell’ambiente  ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza, nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro (3).

Parimenti, sulla base della dinamica ricostruita nel corso dell’istruttoria, doveva escludersi che la stessa vittima avesse potuto, anche in misura minimale, aver concorso all’incidente.

Queste, in sostanza, le condizioni in base alle quali la Cassazione ha rigettato il ricorso.

Valerio Pollastrini

 
1)      – Cass., Sentenza n.23292 del 28 aprile 2011; Cass., Sentenza n.35204 del 12 maggio 2011; Cass., Sentenza n.7267 del  10 novembre 2009; Cass., Sentenza n.15009 del  17 febbraio 2009; Cass., Sentenza n.25532 del  23 maggio 2007; Cass., Sentenza n.25502 del 19 aprile 2007; Cass., Sentenza n.21587 del 23 marzo 2007; Cass., Sentenza n.47146 del  29 settembre 2005; Cass., Sentenza n.38850 del  23 giugno 2005;
2)      - v. di recente, Cass., Sentenza 25 maggio 2007-3 ottobre 2007;
3)      - v. artt.4 e seguenti del D.P.R. n.547 del 27 aprile 1955; il D.Lgs. n.626 del  19 settembre 1994; l’art.2087 c.c.;

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