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lunedì 26 gennaio 2015

Configurazione del mobbing

Nella sentenza n.1258 del 23 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha escluso che la condizione di disagio patita dal dipendente, scaturita da una sua condotta poco collaborativa, possa configurare un’ipotesi di mobbing.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Ancona aveva confermato la decisione con cui il Tribunale di Fermo aveva respinto la domanda proposta da una lavoratrice per conseguire il risarcimento dei danni subiti per effetto della pluralità di condotte, assunte come illecite ed unitariamente qualificate come "mobbing", poste in essere dall’Amministrazione del Comune di Santa Vittoria in Matenano.

In particolare, la Corte territoriale aveva escluso, rispetto alla condizione di disagio ambientale avvertita dalla donna ed accertata come sostanzialmente sussistente, la responsabilità dell’Ente, in quanto detta condizione di disagio era stata addebitata in via generale a tutti i soggetti coinvolti nel rapporto e, nello specifico, a chiunque si trovasse in posizione di preminenza nei suoi confronti, senza, altresì,  specificarne la motivazione, così da non consentire di escluderne un diverso e giustificato fondamento motivazionale che, a detta del giudice dell’appello, sembrava piuttosto conseguire da una indisponibilità della lavoratrice a collaborare nello svolgimento di compiti accessori.

Avverso questa sentenza, la dipendente aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando come la Corte territoriale, ritenute sussistenti le condotte dalla stessa imputate all’Ente datore, avrebbe illegittimamente ritenuto la necessità della prova dell’elemento psicologico della condotta, accollandone alla medesima l’onere.

Investiti della questione, gli ermellini hanno ritenuto infondata la censura predetta, precisando, in proposito, come la ricorrente avesse palesemente confuso l’accertamento del fatto materiale con quello della sua illiceità, di cui la componente psicologica costituisce un elemento essenziale e della cui prova risulta certamente onerato l’attore.

A tale  riguardo, inoltre, la Suprema Corte ha ricordato l’orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della configurabilità del mobbing, devono ravvisarsi, da parte del datore di lavoro, comportamenti, anche protratti nel tempo, rivelatori in modo inequivoco di un’esplicita volontà di  emarginare il dipendente, il quale, pertanto, deve dedurre e provare la ricorrenza di una pluralità di condotte, anche di diversa natura, tutte dirette (oggettivamente) alla sua espulsione dal contesto aziendale, o, comunque, connotate da un alto tasso di prevaricazione, nonché sorrette (soggettivamente) da un intento persecutorio e tra loro intrinsecamente collegate dall’unico fine intenzionale di isolarlo (1).

Ciò premesso, la Cassazione ha concluso confermando la validità del procedimento logico in base al quale la Corte del merito aveva escluso che l’Ente convenuto avesse posto in essere simili condotte ai danni della donna.

Valerio Pollastrini

 
1)      - v. da ultimo Cass., Sentenza n.17698 del 6 agosto 2014; Cass., Sentenza n.18836 del 7 agosto 2013;

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