Il
caso di specie è quello che ha visto una lavoratrice convenire in giudizio l’azienda
per sentir dichiarare la sussistenza fra
le parti di un rapporto di lavoro subordinato.
La
questione è giunta all’attenzione degli ermellini dopo che, sia il Tribunale
del promo grado che, successivamente, la Corte di Appello avevano accolto le
pretese della donna.
In
particolare, il giudice dell’appello aveva osservato che, sulla scorta degli
elementi probatori acquisiti, risultava accertato:
-
che alla lavoratrice era richiesta la presenza
continua in azienda, nel rispetto dell’orario di apertura dell'ufficio;
-
che le sue mansioni erano caratterizzate da
semplicità ed esecutività, assolutamente incompatibili con la prestazione di
un’opera professionale;
-
che la ricorrente aveva operato sotto la
direzione ed il coordinamento dell’amministratore della società;
-
che per tutto il periodo controverso la donna
aveva ricevuto un compenso fisso e mensilizzato, per un primo periodo "al
nero" e, successivamente, dietro presentazione di fattura per collaborazione
professionale di consulenza;
-
che
la lavoratrice era stata da subito inserita nella, pur embrionale, struttura operativa
della neocostituita società.
Ciò
rilevato, la Corte territoriale aveva sottolineato come, nel caso di specie,
ricorressero tutti gli indici rivelatori della subordinazione elaborati dalla
giurisprudenza.
Nel
concreto atteggiarsi del rapporto, inoltre, anche la volontà contrattuale delle
parti appariva chiaramente volta alla costituzione di un rapporto di lavoro
subordinato, che era stato formalizzato come tale solo dopo oltre tre anni e
mezzo, durante i quali il rapporto si era dapprima svolto "al nero"
e, poi, era stato "mascherato" da un rapporto di prestazione d'opera
professionale implausibile, tenuto conto della giovane età della lavoratrice, della
sua mancanza di esperienza e della natura meramente esecutiva delle mansioni
affidatele.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha ricordato che, secondo il condiviso
orientamento della giurisprudenza, l'esistenza del vincolo della subordinazione
va concretamente apprezzata dal giudice del merito, avendo riguardo della
specificità dell'incarico conferito al lavoratore e delle modalità della sua
attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, risulta censurabile
soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti applicabili al caso
concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, e come tale incensurabile
in tale sede, la valutazione delle risultanze processuali che abbiano indotto
il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o
nell’altro schema contrattuale (1).
In
proposito gli ermellini hanno precisato che, come diffusamente esposto nello
storico di lite, la Corte territoriale aveva fatto corretta applicazione dei
criteri utilizzabili per il riconoscimento della natura subordinata del
rapporta dedotto in causa, rilevando l’eterodirezione della prestazione
lavorativa, l’avvenuto inserimento della prestatrice nell'organizzazione
aziendale e la contemporanea sussistenza dei cosiddetti indici sussidiari,
quali la continuità della prestazione lavorativa, il rispetto dell’orario e la
riscossione di un compenso fisso e mensilizzato.
Valerio
Pollastrini
1)
-
cfr, ex plurimis, Cass., Sentenza n.4036/2000; Cass., Sentenza n.4171/2006;
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