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venerdì 19 dicembre 2014

Reperibilità del lavoratore nei giorni festivi – Non sussiste il diritto al riposo compensativo

Nella sentenza n.26723 del 18 dicembre 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che la sola reperibilità, garantita dal dipendente nel giorno destinato al riposo settimanale, comporta unicamente il diritto ad un trattamento economico aggiuntivo, mentre, salvo specifiche previsioni contrattuali,  non comporta il diritto ad un giorno di riposo compensativo.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale di Cassino, aveva rigettato l’opposizione della ASL  avverso i decreti ingiuntivi emessi, su istanza di alcuni medici ed operatori sanitari, a titolo di differenze retributive relative ai giorni di riposo non goduto, avendo gli stessi prestato servizio di pronta reperibilità in giorni festivi.

Nel motivare la propria decisione, la Corte del merito aveva ricordato che  l'art.18 del DPR n.270/1987, richiamato dall'art.44, n.1, del CCNL del comparto sanità, così come l'art.20, n.6, del CCNL area dirigenza medica, prevedevano che, nel caso di coincidenza della pronta disponibilità con una giornata festiva, al dipendente spettasse un riposo compensativo senza riduzione dell'orario di servizio settimanale.

In virtù, della suddetta disciplina, pertanto, la Corte del merito aveva precisato che non si potesse  dubitare del diritto dei lavoratori ad ottenere la compensazione monetaria afferente la mancata fruizione del riposo compensativo nelle giornate di pronta reperibilità per cui era causa.

D'altro canto,  una diversa interpretazione  non avrebbe consentito ai dipendenti di beneficiare del previsto riposo compensativo, da ritenersi comunque irrinunciabile a noma dagli artt.36 Cost. e 2109 cc.

Avverso questa sentenza, la  ASL aveva proposto ricorso per Cassazione, e, deducendo violazione della disciplina contenuta nel Contratto Collettivo di riferimento, aveva chiesto alla Suprema Corte se la mancata fruizione del giorno di riposo compensativo potesse essere monetizzata.

Secondo quanto sostenuto dalla ricorrente,  i dipendenti non avrebbero mai chiesto di volere usufruire di un giorno di riposo compensativo.

Quale ultima censura, la Asl aveva lamentato, infine, che, secondo le richiamate norme contrattuali, la reperibilità prestata in giorno festivo non implicherebbe una prestazione lavorativa tale da confliggere con il principio dell'irrinunciabilità del diritto al riposo settimanale.

Investita della questione, la Cassazione, alla luce di uno specifico precedente della giurisprudenza  di legittimità (1), ha ritenuto fondate le predette doglianze.

Premesso che, nei casi di specie, il compenso era stato richiesto in assenza di prestazione lavorativa,  c.d. reperibilità passiva, gli ermellini hanno  rilevato che la giurisprudenza della Cassazione ha già più volte affrontato le tematiche sollevate in ricorso, osservando che la reperibilità, prevista dalla disciplina collettiva, si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell'obbligo del dipendente di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio orario di lavoro, in vista di un'eventuale prestazione.

Conseguentemente, il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso e comporta il diritto ad un particolare trattamento economico aggiuntivo stabilito dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, determinato dal giudice, mentre non comporta, salvo specifiche previsioni, il diritto ad un giorno di riposo compensativo, il cui riconoscimento, attesa la diversa incidenza sulle energie psicofisiche del lavoratore della disponibilità allo svolgimento della prestazione rispetto al lavoro effettivo, non può trarre origine dall'art.36 della Costituzione, ma la cui mancata concessione è idonea ad integrare un'ipotesi di danno non patrimoniale  da fatto illecito o da inadempimento contrattuale, che è risarcibile in caso di pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava, però, l'onere della specifica deduzione e della prova (2).

Rilevando come l’impugnata sentenza si fosse discostata dai suddetti principi, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini


1)      – Cass., Sentenza n.9316/2014;
2)      - Cfr., ex plurimis, Cass., Sentenze nn.27477/2008; 14439/2011; 14288/2011; 11727/2013;

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