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venerdì 5 dicembre 2014

Pubblico impiego – Limiti alla raccolta e al trattamento dei dati sensibili del dipendente

Nella sentenza n.21107 del 7 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha tracciato i limiti entro i quali l’Ente pubblico può raccogliere e trattare ai fini disciplinari i dati sensibili dei propri dipendenti, in assenza del loro consenso.

Dopo aver ricevuto una denuncia anonima, una Provincia aveva raccolto alcune informazioni sull’inclinazione sessuale di un proprio dipendente, per accertare se lo stesso avesse effettivamente pubblicato dei posts a sfondo economico-sessuale in diversi siti di incontri.

In seguito alla verifica, il lavoratore, ritenuto colpevole di  aver leso l'immagine ed il decoro dell’Amministrazione, era stato destituito.

Il dipendente aveva quindi segnalato la condotta dell’Ente al Garante della Privacy, il quale aveva investito della questione la Cassazione.

Nella premessa, la Suprema Corte ha ricordato che l’art.18 del D.Lgs. n.196/2003, il c.d. Codice della privacy, stabilisce che il trattamento di tali è dati è consentito solo per lo svolgimento delle funzioni istituzionali del soggetto pubblico, il quale deve rispettare i presupposti ed i limiti stabiliti dal predetto codice, nonché dalla legge e dai regolamenti.

In ogni caso, l’Ente può utilizzare legittimamente i dati sensibili solo in presenza di una finalità di pubblico interesse, quali, ad esempio,  l'instaurazione di rapporti di lavoro di natura pubblica, nonché l'accertamento della responsabilità civile, contabile, amministrativa e disciplinare dei dipendenti.

A questo proposito, tuttavia, la normativa non specifica né la tipologia dei dati, né   le modalità per il loro utilizzo.  A tal fine, pertanto, occorre fare riferimento al principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale il trattamento dei dati sensibili, la cui legittimità è ancorata, in linea generale, al consenso scritto dell'interessato e all'autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, è consentito, da parte dei soggetti pubblici, anche in difetto del predetto consenso e della predetta autorizzazione, a patto che sussistano una rilevante finalità di interesse pubblico, un'espressa disposizione di legge autorizzatoria, nonché una specificazione legislativa dei tipi di dati trattabili e delle operazioni eseguibili.

Si tratta di condizioni che appaiono necessarie  proprio nel caso dell'acquisizione e del trattamento dei dati sensibili riguardanti diritti costituzionalmente garantiti, quali la salute e l'orientamento sessuale delle persone.

Tornando alla vicenda in commento, gli ermellini hanno rilevato che l'attività posta in essere dall'Amministrazione Pubblica risultava inquadrabile nella raccolta e  gestione di dati sensibili.

Sul punto, il regolamento provinciale in vigore dispone che il trattamento dei dati relativi alla vita sessuale dei dipendenti sia utilizzabile ai fini dell’adozione di un provvedimento disciplinare solo in caso di “rettificazione di attribuzione di sesso”.

Conseguentemente, la Cassazione ha ritenuto illegittima l'operazione compiuta dall’Ente, precisando che la disponibilità nella rete di alcuni dati del dipendente  non può tradursi in un assenso implicito al trattamento degli stessi per altre finalità, come quella ad oggetto.

Valerio Pollastrini

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