Dopo
aver ricevuto una denuncia anonima, una Provincia aveva raccolto alcune
informazioni sull’inclinazione sessuale di un proprio dipendente, per accertare
se lo stesso avesse effettivamente pubblicato dei posts a sfondo
economico-sessuale in diversi siti di incontri.
In
seguito alla verifica, il lavoratore, ritenuto colpevole di aver leso l'immagine ed il decoro dell’Amministrazione,
era stato destituito.
Il
dipendente aveva quindi segnalato la condotta dell’Ente al Garante della
Privacy, il quale aveva investito della questione la Cassazione.
Nella
premessa, la Suprema Corte ha ricordato che l’art.18 del D.Lgs. n.196/2003, il
c.d. Codice della privacy, stabilisce che il trattamento di tali è dati è
consentito solo per lo svolgimento delle funzioni istituzionali del soggetto
pubblico, il quale deve rispettare i presupposti ed i limiti stabiliti dal
predetto codice, nonché dalla legge e dai regolamenti.
In
ogni caso, l’Ente può utilizzare legittimamente i dati sensibili solo in
presenza di una finalità di pubblico interesse,
quali, ad esempio, l'instaurazione di
rapporti di lavoro di natura pubblica, nonché l'accertamento della
responsabilità civile, contabile, amministrativa e disciplinare dei dipendenti.
A
questo proposito, tuttavia, la normativa non specifica né la tipologia dei dati,
né le modalità per il loro utilizzo. A tal fine, pertanto, occorre fare
riferimento al principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base
al quale il trattamento dei dati sensibili, la cui legittimità è ancorata, in
linea generale, al consenso scritto dell'interessato e all'autorizzazione del
Garante per la protezione dei dati personali, è consentito, da parte dei
soggetti pubblici, anche in difetto del predetto consenso e della predetta
autorizzazione, a patto che sussistano una rilevante finalità di interesse
pubblico, un'espressa disposizione di legge autorizzatoria, nonché una
specificazione legislativa dei tipi di dati trattabili e delle operazioni eseguibili.
Si
tratta di condizioni che appaiono necessarie
proprio nel caso dell'acquisizione e del trattamento dei dati sensibili
riguardanti diritti costituzionalmente garantiti, quali la salute e l'orientamento
sessuale delle persone.
Tornando
alla vicenda in commento, gli ermellini hanno rilevato che l'attività posta in
essere dall'Amministrazione Pubblica risultava inquadrabile nella raccolta e gestione di dati sensibili.
Sul
punto, il regolamento provinciale in vigore dispone che il trattamento dei dati
relativi alla vita sessuale dei dipendenti sia utilizzabile ai fini dell’adozione
di un provvedimento disciplinare solo in caso di “rettificazione di
attribuzione di sesso”.
Conseguentemente,
la Cassazione ha ritenuto illegittima l'operazione compiuta dall’Ente,
precisando che la disponibilità nella rete di alcuni dati del dipendente non può tradursi in un assenso implicito al
trattamento degli stessi per altre finalità, come quella ad oggetto.
Valerio
Pollastrini
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