Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


mercoledì 17 dicembre 2014

Malattie professionali - Principio di equivalenza causale

Nella sentenza n.23990 dell’11 novembre 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che, nel verificare la riconducibilità di un evento morboso alle condizioni lavorative, il giudice del merito, ove alle risultanze della Ctu siano state mosse specifiche censure sul piano della validità scientifica,  è tenuto a verificare il fondamento della domanda sulla base delle proprie cognizioni, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di L'Aquila, confermando la sentenza del Tribunale di Chieti, aveva rigettato la domanda proposta dall’erede di un lavoratore deceduto, avente ad oggetto la condanna dell’Inail alla costituzione della rendita superstiti, sul presupposto dell'esistenza di un nesso  concausale tra la morte del de cuius ed un infortunio da questi subito in azienda.

In particolare, la Corte del merito aveva motivato la propria decisione in base alle risultante della disposta Ctu, che aveva escluso che la morte del dante causa della ricorrente fosse rapportabile, neanche in via minima e concausale o semplicemente accelerativa, all'epotapatia da virus C, probabilmente contratta in occasione del trattamento dell'infortunio lavorativo subito dal predetto de cuius.

Avverso questa sentenza, la donna aveva proposto ricorso per  Cassazione, lamentando che la Corte territoriale non avrebbe applicato il principio di equivalenza causale e non avrebbe, altresì, tenuto conto delle critiche, basate sulla letteratura scientifica, mosse dalle consulenze di parte alla Ctu, relativamente alla sussistenza di un nesso causale tra infezione da HCV, epatite C, epatocarcinoma e linfoma non Hodgkin in termini di elevata probabilità.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto fondata la predetta censura.

Gli ermellini hanno ricordato, infatti, il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui,  anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art.41 c.p., che dispone che  il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni,  per cui l'efficienza causale va riconosciuta ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (1).

Più volte, inoltre, la Suprema Corte ha avuto modo di rimarcare che nei giudizi in cui sia stata esperita CTU medico-psichiatrica, il giudice del merito, nell'aderire alle conclusioni dell'accertamento peritale, non può, ove all'elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto - sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici - a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare (2)

Tornando al caso di specie, la Cassazione ha osservato che la Corte del merito, a fronte delle critiche mosse alle conclusioni della CTU, nelle quali era stato evidenziato  come dai più recenti studi scientifici internazionali fosse emerso che i linfomi non Hogdkin rappresentano le manifestazioni extra epatiche correlate con maggiore sicurezza al virus dell'epatite C., si era limitata ad un mero richiamo delle conclusioni del Consulente tecnico d'ufficio.

Da una simile condotta, pertanto, erano scaturiti sia un difetto di motivazione della sentenza impugnata, che una violazione del  principio dell'equivalenza delle condizioni di cui all'art.41 c.p.

Per tali ragioni, gli ermellini hanno cassato la sentenza impugnata, rinviando la questione alla Corte di Appello di Roma.

Valerio Pollastrini

1)      - per tutte V. Cass., Sentenza n.8033 del 3 giugno 2002  e Cass., Sentenza n.15107 del 18 luglio 2005;
2)      - Cass., Sentenza n.7041 del 20 marzo 2013;

Nessun commento:

Posta un commento