Nel
caso di specie, il Tribunale di Genova aveva rigettato la domanda con la quale
un dipendente aveva contestato legittimità del contratto di lavoro part-time
concluso con la società datrice di lavoro ed aveva chiesto la condanna della
medesima al risarcimento del danno per la disponibilità prestata a svolgere
servizio a richiesta dell’azienda, pur in mancanza di una precisa
predeterminazione della distribuzione dell’orario di lavoro, dal momento che
questa riguardava solo il 30% del minimo dell’orario previsto.
Successivamente,
però, la Corte di Appello del capoluogo ligure, accolta l’impugnazione proposta
dal lavoratore, aveva condannato la società
resistente al pagamento di una somma pari alla metà della differenza tra la
retribuzione spettante per un orario di lavoro a tempo pieno e quella percepita
per il periodo compreso tra il 17 novembre 1989 e l’entrata in vigore del ccnl
del 1995, che prevedeva una maggiore specificazione dell'orario di lavoro.
La
Corte del merito, in particolare, aveva affermato come, a fronte del potere
unilaterale della parte datoriale di fissare le modalità temporali della
prestazione pattuita nel regime contrattuale a tempo parziale, non potesse non
trovare adeguato compenso la disponibilità del dipendente alla chiamata dell’azienda.
Contro
questa sentenza, la società aveva
proposto ricorso per Cassazione, lamentando che, nel valutare gli effetti della
mancata prestazione dell’attività lavorativa a seguito di specifica
"chiamata" della parte datoriale, la Corte di Appello non avrebbe
considerato che l’inadempimento contrattuale imputabile al dipendente avrebbe
potuto configurarsi esclusivamente nei casi di qualificata, reiterata ed
ingiustificata mancanza di prestazione. Inoltre, secondo tale assunto
difensivo, la Corte non avrebbe valutato quest’ultima circostanza, rilevante ai
fini della decisione.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondata la doglianza predetta.
Innanzitutto,
gli ermellini hanno rilevato che la Corte del merito era pervenuta al
convincimento della rilevanza negoziale della disponibilità offerta dal
lavoratore di eseguire prestazioni "a chiamata" proprio alla stregua
della lettura delle circostanze di fatto esposte dalla difesa dell’appellata
nella memoria difensiva.
Invero,
la Corte territoriale aveva evidenziato come, in tale atto, fossero indicate le
concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa all’oggetto del
contratto, dopodiché, aveva rafforzato il proprio convincimento sull’assunzione
da parte del dipendente dell’obbligazione di rendersi disponibile anche per le
chiamate effettuate in via d’urgenza alla luce del dato letterale della norma
collettiva in esame.
Infatti,
questa prevedeva espressamente la responsabilità da inadempienza contrattuale
del lavoratore a tempo parziale che, senza sufficiente giustificazione e
ripetutamente, non effettuava la prestazione richiestagli o si rendeva di fatto
irreperibile.
Tra
l’altro, la Corte ligure si era attenuta al principio, già affermato dalla
Suprema Corte, in base al quale, a fronte del potere unilaterale del datore di
lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la
disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendosi equiparare
a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di
un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l'incidenza sulla
possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di
fatto osservato per la richiesta di lavoro "a comando", l'eventuale
quantità di lavoro predeterminata in misura fissata e la convenienza dello
stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione (1).
Per
tali ragioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.
Valerio
Pollastrini
1) - Cass., Sentenza n.24566/2009;
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