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mercoledì 17 dicembre 2014

Part-Time: va compensata la disponibilità del dipendente alla chiamata del datore di lavoro

Nella sentenza n.23600 del 5 novembre 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di lavoro part-time, a fronte del potere unilaterale della parte datoriale di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, non può non trovare adeguato compenso la disponibilità del dipendente alla chiamata dell’azienda.

Nel caso di specie, il Tribunale di Genova aveva rigettato la domanda con la quale un dipendente aveva contestato legittimità del contratto di lavoro part-time concluso con la società datrice di lavoro ed aveva chiesto la condanna della medesima al risarcimento del danno per la disponibilità prestata a svolgere servizio a richiesta dell’azienda, pur in mancanza di una precisa predeterminazione della distribuzione dell’orario di lavoro, dal momento che questa riguardava solo il 30% del minimo dell’orario previsto.

Successivamente, però, la Corte di Appello del capoluogo ligure, accolta l’impugnazione proposta dal lavoratore, aveva  condannato la società resistente al pagamento di una somma pari alla metà della differenza tra la retribuzione spettante per un orario di lavoro a tempo pieno e quella percepita per il periodo compreso tra il 17 novembre 1989 e l’entrata in vigore del ccnl del 1995, che prevedeva una maggiore specificazione dell'orario di lavoro.

La Corte del merito, in particolare, aveva affermato come, a fronte del potere unilaterale della parte datoriale di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita nel regime contrattuale a tempo parziale, non potesse non trovare adeguato compenso la disponibilità del dipendente alla chiamata dell’azienda.

Contro questa sentenza, la  società aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che, nel valutare gli effetti della mancata prestazione dell’attività lavorativa a seguito di specifica "chiamata" della parte datoriale, la Corte di Appello non avrebbe considerato che l’inadempimento contrattuale imputabile al dipendente avrebbe potuto configurarsi esclusivamente nei casi di qualificata, reiterata ed ingiustificata mancanza di prestazione. Inoltre, secondo tale assunto difensivo, la Corte non avrebbe valutato quest’ultima circostanza, rilevante ai fini della decisione.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondata la doglianza predetta.

Innanzitutto, gli ermellini hanno rilevato che la Corte del merito era pervenuta al convincimento della rilevanza negoziale della disponibilità offerta dal lavoratore di eseguire prestazioni "a chiamata" proprio alla stregua della lettura delle circostanze di fatto esposte dalla difesa dell’appellata nella memoria difensiva.

Invero, la Corte territoriale aveva evidenziato come, in tale atto, fossero indicate le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa all’oggetto del contratto, dopodiché, aveva rafforzato il proprio convincimento sull’assunzione da parte del dipendente dell’obbligazione di rendersi disponibile anche per le chiamate effettuate in via d’urgenza alla luce del dato letterale della norma collettiva in esame.

Infatti, questa prevedeva espressamente la responsabilità da inadempienza contrattuale del lavoratore a tempo parziale che, senza sufficiente giustificazione e ripetutamente, non effettuava la prestazione richiestagli o si rendeva di fatto irreperibile.

Tra l’altro, la Corte ligure si era attenuta al principio, già affermato dalla Suprema Corte, in base al quale, a fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendosi equiparare a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l'incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro "a comando", l'eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissata e la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione (1).

Per tali ragioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini


1)      - Cass., Sentenza n.24566/2009;

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