Il
caso di specie è quello che ha riguardato due
dipendenti di un supermercato, ai
quali l’azienda aveva modificato la sede lavorativa demandandoli a prestare le
proprie prestazioni in un altro punto vendita sito nello stesso comune.
La
Corte di Appello di Napoli, in totale riforma della sentenza del Tribunale del
capoluogo campano, aveva rigettato le domande con le quali i due lavoratori
avevano prospettato che detto provvedimento dell’azienda avesse configurato un’illegittima
ipotesi di trasferimento.
In
particolare, la Corte del merito aveva motivato la propria decisione precisando
che:
a)
nella specie, è da escludere che ricorra l’ipotesi del trasferimento, che
presuppone la sussistenza di due unità produttive: una di provenienza e una di
destinazione;
b)
infatti, in base alla giurisprudenza di legittimità, deve escludersi la
configurabilità di un’unità produttiva in relazione alle articolazioni
aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano
destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto
ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività
produttiva della stessa;
c)
inoltre, il divieto di trasferimento del lavoratore di cui all’art.2103 cod.
civ. non si applica quando lo spostamento avviene nell’ambito della stessa
unità produttiva;
d)
nella specie, gli spostamenti sono stati disposti nell’ambito dello stesso
territorio cittadino e gli interessati non hanno dimostrato la ricorrenza degli
elementi utili alla qualificazione come unità produttive dei punti vendita di
provenienza e di destinazione;
e)
neppure i lavoratori hanno provato la maliziosa e preordinata intenzione di
parte datoriale di escogitare i trasferimenti come espedienti per giustificare
i licenziamenti;
f)
infine, non è emerso alcun indizio da cui desumere il mancato rispetto, della
parte datoriale, dei canoni di correttezza e buona fede, essendo stata provata
la genuinità delle ragioni tecniche e produttive poste a base dei licenziamenti
per giustificato motivo oggettivo di cui si tratta, essendo stata in effetti
disposta la soppressione del reparto macelleria del supermercato cui sono stati
addetti i ricorrenti dopo il disposto spostamento, non essendo state dimostrate
nuove assunzioni nelle medesime mansioni e non avendo gli interessati dedotto e
allegato alcunché in merito alla possibilità di un loro reimpiego.
Avverso
questa sentenza, i lavoratori avevano proposto ricorso per Cassazione,
censurando la Corte di Appello per aver escluso che i singoli supermercati
gestiti dalla società potessero essere configurati come unità produttive
separate.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto fondata la predetta censura,
rilevando che, così come prospettato dai ricorrenti, la sentenza impugnata
muove da una premessa del tutto erronea e non motivata in modo esauriente,
secondo la quale, nella specie, sarebbe da escludere la configurabilità
dell’ipotesi del "trasferimento" perché non vi sarebbero una unità
produttiva di partenza e una unità produttiva di destinazione.
Tale
assunto risulta giustificato solo apparentemente, attraverso la generica
ripetizione del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità,
secondo cui deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in
relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa
autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a
funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad
una frazione dell’attività produttiva della stessa.
Infatti,
la Corte partenopea non aveva spiegato le ragioni per le quali aveva ritenuto
che le diverse sedi del supermercato abilitato alla vendita di alimenti, non potessero essere considerate come autonome
"unità produttive", ai fini dello spostamento dei dipendenti, pur
trovandosi nel territorio del medesimo comune.
Da
ciò, gli ermellini hanno desunto che la Corte del merito non aveva preso in
considerazione i consolidati e condivisi
orientamenti della giurisprudenza di legittimità, i quali, sulla base del
principio riportato nella sentenza impugnata, hanno precisato che:
a)
al
fine di stabilire la "sede di lavoro" occorre aver riguardo,
piuttosto che alla dislocazione urbana degli stabilimenti e degli uffici, alla
nozione di "unità produttiva", che va individuata in ogni
articolazione autonoma dell’impresa, anche se composta da stabilimenti o uffici
dislocati in zone diverse dello stesso Comune, avente, sotto il profilo
funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte,
l’attività di produzione dell’impresa, spettando al datore di lavoro di provare
l’allegata esigenza tecnico-produttiva posta a base del trasferimento dei
dipendenti, facendo riferimento ad una unità produttiva nel senso sopra
specificato, e non genericamente ad una sede urbana di lavoro (1);
b)
ai
fini del trasferimento, per unità produttiva deve intendersi l’entità aziendale
che si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e
amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad
una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale. Ne
consegue che deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in
relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa
autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a
funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad
una frazione dell’attività produttiva della stessa (2);
c)
in
tema di trasferimento del lavoratore, poiché la finalità principale della norma
di cui all’art.2103 cod. civ. è quella di tutelare la dignità del lavoratore e
di proteggere l’insieme di relazioni interpersonali che lo legano ad un
determinato complesso produttivo, le tutele previste per il lavoratore
trasferito rilevano anche quando lo spostamento avvenga in un ambito geografico
ristretto (ad es. nello stesso territorio comunale) da una unità produttiva ad
un’altra, intendendo per unità produttiva ogni articolazione autonoma
dell’azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad
esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa medesima, della quale
costituisca una componente organizzativa, connotata da indipendenza tecnica ed
amministrativa tali che in essa si possa concludere una frazione dell’attività
produttiva aziendale (3);
d)
anche
se la nozione di trasferimento del lavoratore, ai sensi dell’art.2103, primo
comma (ultima parte), cod. civ., implica di regola il mutamento definitivo del
luogo geografico di esecuzione della prestazione, è comunque configurabile come
trasferimento pure lo spostamento definitivo del luogo di lavoro da una unità
produttiva all’altra anche se lo stesso non richieda il mutamento della
residenza del lavoratore (4).
D’altra
parte, la Corte partenopea nell’escludere apoditticamente che le sedi cittadine
del supermercato in oggetto potessero essere qualificate come unità produttive
autonome - cioè "idonee ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di
produzione dell’impresa" - e, quindi, nell’affermare, implicitamente, che dovessero
essere considerate come "mere articolazioni aziendali, dotate di una certa
autonomia amministrativa, ma destinate a scopi interamente strumentali o a
funzioni ausiliarie dell’impresa", non aveva neppure tenuto conto del
consolidato e condiviso indirizzo della Cassazione secondo cui, in applicazione
del principio di ragionevolezza di cui all’art.3 Cost., il giudice è tenuto ad
avvalersi, come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione
delle prove, che l’argomentazione di tipo presuntivo, delle massime
d’esperienza (o nozioni di comune esperienza), da intendere come proposizioni
di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fenomeni naturali o
socio-economici, sicché il mancato ricorso, da parte del giudice del merito, a dette
massime, in quanto interferente sulla valutazione del fatto, è suscettibile di
essere apprezzato sotto il profilo del vizio della motivazione (5).
Infine,
la Suprema Corte ha rilevato che dalla
sentenza impugnata si evince che il giudice dell’appello non aveva minimamente
valutato che la normativa in materia di distribuzione e vendita dei prodotti
alimentari, attività svolta dal supermercato di cui si tratta, è basata, per la
grande distribuzione, come quella dei supermercati, principalmente sul
riferimento ai singoli punti vendita considerati come autonome strutture
aziendali, al fine di rendere più efficaci i controlli previsti a tutela dei
consumatori (6).
Alla
luce del complessivo quadro giurisprudenziale e normativo sin qui richiamato,
la Cassazione ha concluso affermando che la motivazione della sentenza
impugnata nel punto in cui aveva escluso la configurabilità dei punti vendita
del supermercato di cui si tratta come autonome unità produttive risulta
complessivamente del tutto apodittica e priva della doverosa analisi della
fattispecie.
Di
qui l’accoglimento del ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.6117 del 22 marzo 2005;
2)
-
Cass., Sentenza n.19837 del 4 ottobre 2004; Cass., Sentenza n.11103 del 15
maggio 2006;
3)
-
Cass., Sentenza n.11660 del 29 luglio 2003;
4)
-
Cass., Sentenza n.22695 del 2 novembre 2011;
5)
-
Cass., Sentenza n.22022 del 28 ottobre 2010; Cass., Sentenza n.24143 del 29
novembre 2010; Cass., Sentenza n.10313 del 4 ottobre 2011;
6)
-
vedi, per tutte: Cass. civ., Sentenza n.17713 del 19 luglio 2013; Cass. pen.,
Sentenza n.28541 del 16 febbraio 2012;
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