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sabato 13 dicembre 2014

E’ trasferimento anche se la nuova sede di lavoro si trova nello stesso comune

Nella sentenza n.20600 del 30 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che le tutele in favore dei dipendenti in caso di trasferimento si applicano anche nel caso in cui la nuova sede di lavoro sia dislocata all’interno dello stesso territorio comunale.

Il caso di specie è quello che ha riguardato due  dipendenti di un supermercato,  ai quali l’azienda aveva modificato la sede lavorativa demandandoli a prestare le proprie prestazioni in un altro punto vendita sito nello stesso comune.

La Corte di Appello di Napoli, in totale riforma della sentenza del Tribunale del capoluogo campano, aveva rigettato le domande con le quali i due lavoratori avevano prospettato che detto provvedimento dell’azienda avesse configurato un’illegittima ipotesi di trasferimento.

In particolare, la Corte del merito aveva motivato la propria decisione precisando  che:

a) nella specie, è da escludere che ricorra l’ipotesi del trasferimento, che presuppone la sussistenza di due unità produttive: una di provenienza e una di destinazione;

b) infatti, in base alla giurisprudenza di legittimità, deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa;

c) inoltre, il divieto di trasferimento del lavoratore di cui all’art.2103 cod. civ. non si applica quando lo spostamento avviene nell’ambito della stessa unità produttiva;

d) nella specie, gli spostamenti sono stati disposti nell’ambito dello stesso territorio cittadino e gli interessati non hanno dimostrato la ricorrenza degli elementi utili alla qualificazione come unità produttive dei punti vendita di provenienza e di destinazione;

e) neppure i lavoratori hanno provato la maliziosa e preordinata intenzione di parte datoriale di escogitare i trasferimenti come espedienti per giustificare i licenziamenti;

f) infine, non è emerso alcun indizio da cui desumere il mancato rispetto, della parte datoriale, dei canoni di correttezza e buona fede, essendo stata provata la genuinità delle ragioni tecniche e produttive poste a base dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo di cui si tratta, essendo stata in effetti disposta la soppressione del reparto macelleria del supermercato cui sono stati addetti i ricorrenti dopo il disposto spostamento, non essendo state dimostrate nuove assunzioni nelle medesime mansioni e non avendo gli interessati dedotto e allegato alcunché in merito alla possibilità di un loro reimpiego.

Avverso questa sentenza, i lavoratori avevano proposto ricorso per Cassazione, censurando la Corte di Appello per aver escluso che i singoli supermercati gestiti dalla società potessero essere configurati come unità produttive separate.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto fondata la predetta censura, rilevando che, così come prospettato dai ricorrenti, la sentenza impugnata muove da una premessa del tutto erronea e non motivata in modo esauriente, secondo la quale, nella specie, sarebbe da escludere la configurabilità dell’ipotesi del "trasferimento" perché non vi sarebbero una unità produttiva di partenza e una unità produttiva di destinazione.

Tale assunto risulta giustificato solo apparentemente, attraverso la generica ripetizione del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa.

Infatti, la Corte partenopea non aveva spiegato le ragioni per le quali aveva ritenuto che le diverse sedi del supermercato abilitato alla vendita di alimenti,  non potessero essere considerate come autonome "unità produttive", ai fini dello spostamento dei dipendenti, pur trovandosi nel territorio del medesimo comune.

Da ciò, gli ermellini hanno desunto che la Corte del merito non aveva preso in considerazione  i consolidati e condivisi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, i quali, sulla base del principio riportato nella sentenza impugnata, hanno precisato che:

a)     al fine di stabilire la "sede di lavoro" occorre aver riguardo, piuttosto che alla dislocazione urbana degli stabilimenti e degli uffici, alla nozione di "unità produttiva", che va individuata in ogni articolazione autonoma dell’impresa, anche se composta da stabilimenti o uffici dislocati in zone diverse dello stesso Comune, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione dell’impresa, spettando al datore di lavoro di provare l’allegata esigenza tecnico-produttiva posta a base del trasferimento dei dipendenti, facendo riferimento ad una unità produttiva nel senso sopra specificato, e non genericamente ad una sede urbana di lavoro (1);

b)    ai fini del trasferimento, per unità produttiva deve intendersi l’entità aziendale che si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale. Ne consegue che deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa (2);

c)     in tema di trasferimento del lavoratore, poiché la finalità principale della norma di cui all’art.2103 cod. civ. è quella di tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere l’insieme di relazioni interpersonali che lo legano ad un determinato complesso produttivo, le tutele previste per il lavoratore trasferito rilevano anche quando lo spostamento avvenga in un ambito geografico ristretto (ad es. nello stesso territorio comunale) da una unità produttiva ad un’altra, intendendo per unità produttiva ogni articolazione autonoma dell’azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa medesima, della quale costituisca una componente organizzativa, connotata da indipendenza tecnica ed amministrativa tali che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale (3);

d)    anche se la nozione di trasferimento del lavoratore, ai sensi dell’art.2103, primo comma (ultima parte), cod. civ., implica di regola il mutamento definitivo del luogo geografico di esecuzione della prestazione, è comunque configurabile come trasferimento pure lo spostamento definitivo del luogo di lavoro da una unità produttiva all’altra anche se lo stesso non richieda il mutamento della residenza del lavoratore (4).

D’altra parte, la Corte partenopea nell’escludere apoditticamente che le sedi cittadine del supermercato in oggetto potessero essere qualificate come unità produttive autonome - cioè "idonee ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione dell’impresa" - e, quindi, nell’affermare, implicitamente, che dovessero essere considerate come "mere articolazioni aziendali, dotate di una certa autonomia amministrativa, ma destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie dell’impresa", non aveva neppure tenuto conto del consolidato e condiviso indirizzo della Cassazione secondo cui, in applicazione del principio di ragionevolezza di cui all’art.3 Cost., il giudice è tenuto ad avvalersi, come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove, che l’argomentazione di tipo presuntivo, delle massime d’esperienza (o nozioni di comune esperienza), da intendere come proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fenomeni naturali o socio-economici, sicché il mancato ricorso, da parte del giudice del merito, a dette massime, in quanto interferente sulla valutazione del fatto, è suscettibile di essere apprezzato sotto il profilo del vizio della motivazione (5).

Infine, la Suprema Corte ha  rilevato che dalla sentenza impugnata si evince che il giudice dell’appello non aveva minimamente valutato che la normativa in materia di distribuzione e vendita dei prodotti alimentari, attività svolta dal supermercato di cui si tratta, è basata, per la grande distribuzione, come quella dei supermercati, principalmente sul riferimento ai singoli punti vendita considerati come autonome strutture aziendali, al fine di rendere più efficaci i controlli previsti a tutela dei consumatori (6).

Alla luce del complessivo quadro giurisprudenziale e normativo sin qui richiamato, la Cassazione ha concluso affermando che la motivazione della sentenza impugnata nel punto in cui aveva escluso la configurabilità dei punti vendita del supermercato di cui si tratta come autonome unità produttive risulta complessivamente del tutto apodittica e priva della doverosa analisi della fattispecie.

Di qui l’accoglimento del ricorso.

Valerio Pollastrini

 
1)      - Cass., Sentenza n.6117 del 22 marzo 2005;
2)      - Cass., Sentenza n.19837 del 4 ottobre 2004; Cass., Sentenza n.11103 del 15 maggio 2006;
3)      - Cass., Sentenza n.11660 del 29 luglio 2003;
4)      - Cass., Sentenza n.22695 del 2 novembre 2011;
5)      - Cass., Sentenza n.22022 del 28 ottobre 2010; Cass., Sentenza n.24143 del 29 novembre 2010; Cass., Sentenza n.10313 del 4 ottobre 2011;
6)      - vedi, per tutte: Cass. civ., Sentenza n.17713 del 19 luglio 2013; Cass. pen., Sentenza n.28541 del 16 febbraio 2012;

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