Nel
caso di specie, il Tribunale di Sassari, in accoglimento del proposto riesame, aveva
revocato l’Ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari con la quale era
stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente - fino alla concorrenza della somma di 82.788,00 € - in danno di un datore di lavoro
che aveva omesso il versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione
dei sostituti di imposta, entro il termine per la presentazione della relativa
dichiarazione modello 770.
Avverso
tale pronuncia, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari
aveva ricorso per Cassazione, deducendo la violazione dell'art.45 cod. pen.,
che i giudici del riesame avrebbero erroneamente applicato, ritenendo che
l'inadempimento fosse collegato alla mancata riscossione di crediti vantati
dalla società dell'indagato nei confronti di terzi e che l'aver concordato con
l'Agenzia delle Entrate un piano di rateizzazione del dovuto a distanza di tre
anni fosse indice di una condotta non realizzabile se non a discapito dei
dipendenti.
Il
ricorrente, inoltre, aveva aggiunto che le conclusioni a cui era giunto il
Tribunale sarebbero in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza
di legittimità e che la volontarietà della scelta di non effettuare i
versamenti sarebbe chiaramente desumibile dai contenuti della memoria difensiva
prodotta in sede di riesame ed allegata al ricorso, dalla quale emergerebbe
anche che la rateizzazione del debito con l'Agenzia delle Entrate sarebbe
avvenuta non spontaneamente, bensì a seguito di avviso bonario.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.
Nella
premessa, gli ermellini hanno ricordato che il reato in esame risulta consumato
con il mancato versamento, per un ammontare superiore ad euro cinquantamila,
delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai
sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della
dichiarazione annuale.
Sostanzialmente,
la condotta in oggetto si traduce nella indebita appropriazione di somme altrui
di cui si ha la detenzione e tale evenienza, come pure si è ricordato ritenendo
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della
disposizione in esame per asserito contrasto con l'art.3 Cost. (1), rende del
tutto irrilevanti eventuali difficoltà economiche impreviste, o la circostanza
che non sia stata rilasciata al sostituto alcuna certificazione o quella del
rilascio di certificazione mendace.
Quanto
all'elemento soggettivo, inoltre, la Corte di legittimità ha già avuto modo di
affermare che detto reato è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la
mera consapevolezza della condotta omissiva (2).
In
genere, in simili casi la prova del dolo è insita nella duplice circostanza del
rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della
dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute
effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi.
Del
resto, in passato, le Sezioni Unite avevano posto in evidenza il collegamento
intercorrente tra il debito verso il fisco relativo al versamento delle
ritenute e l'erogazione degli emolumenti ai collaboratori, con la conseguenza
che, quando queste ultime siano state effettuate dal sostituto d'imposta,
insorge a suo carico un obbligo di accantonamento delle somme dovute all'Erario
e di organizzazione, su scala annuale, delle risorse disponibili, in modo da
poter adempiere all'obbligazione tributaria.
Ciò
premesso, la Cassazione ha osservato che
il Tribunale, nell’asserire l’insussistenza del fumus del reato ipotizzato, aveva ritenuto configurabile, nella
fattispecie, una causa di forza maggiore, individuata in una sopravvenuta
illiquidità conseguente alla mancata riscossione di crediti vantati
dall'indagato verso soggetti terzi e che la volontarietà della condotta
omissiva attribuitagli sarebbe stata esclusa anche dall'accordo intervenuto con
l'Agenzia delle Entrate.
Tuttavia,
tale assunto si pone in contrasto con i principi ripetutamente affermati dalla
giurisprudenza.
La
Suprema Corte, infatti, ha rilevato come, generalmente, la forza maggiore sia
individuabile in un evento di origine naturale o umana imprevedibile o, anche
se preveduto, inevitabile.
Conseguentemente,
essa non è invocabile nel caso in cui l’agente stesso si sia posto in
condizioni di illegittimità, ponendo in essere una condotta non conforme alla
legge o alle regole generali di prudenza e diligenza (3).
Sul
punto, inoltre, va ricordato che su colui che invoca l’applicazione
dell'esimente incombe un onere di allegazione di elementi precisi e specifici
che consentano al giudice di verificare la sussistenza della forza maggiore o
del caso fortuito (4).
Con
specifico riferimento alla rilevanza, ai fini dell'applicabilità dell'art.45
cod. pen., delle difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente, si è
affermato che esse non possono essere ricondotte al concetto di forza maggiore,
il quale, presupponendo la sussistenza di un fatto imponderabile, imprevisto ed
imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, tanto da rendere
ineluttabile il verificarsi dell'evento, non può conseguentemente ricollegarsi
ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente medesimo (5).
Tali
principi sono stati enunciati anche in tema di omesso versamento delle ritenute
fiscali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e la questione è
stata recentemente affrontata dalla giurisprudenza che, più volte (6), ha ribadito l’irrilevanza,
ai fini dell‘applicabilità della forza maggiore o dello stato di necessità, le
diverse ipotesi in cui si ritenga di privilegiare il pagamento delle retribuzioni
ai dipendenti per evitare licenziamenti, si sia dovuto pagare i debiti ai
fornitori, pena il fallimento della società, ovvero si sia verificata la
mancata riscossione di crediti vantati e documentati, spesso nei confronti
dello Stato (7).
Sulla
base di tutte le considerazioni sopra riportate, la Suprema Corte ha quindi
affermato che il mero verificarsi di una situazione di crisi finanziaria non
comporta automaticamente la sussistenza di una condizione riconducibile a
quella contemplata dall'art. 45 cod. pen., assumendo rilevanza le cause e la
tempistica di una tale evenienza, nonché le scelte in concreto operate dal soggetto
agente.
Nondimeno,
assume rilievo decisivo anche l'imprevedibilità della crisi finanziaria, a
differenza di ciò che avverrebbe se la mancanza di liquidità fosse nota
all'imprenditore, difettando così un necessario presupposto per la
configurabilità della forza maggiore.
Si
tratta, dunque, di dati fattuali non indifferenti ai fini della valutazione
sulla sussistenza, in concreto, di una ipotesi di forza maggiore. Valutazione
che, nella fattispecie, il Tribunale non aveva effettuato.
I
giudici del riesame, invero, tenendo conto delle condizioni di difficoltà
dell'impresa conseguenti alla mancata riscossione di crediti, avevano
pacificamente convenuto che, a fronte di tale situazione, l'indagato avesse
privilegiato la scelta di corrispondere le retribuzioni ai propri dipendenti,
circostanza che lo stesso indagato aveva esplicitato negli stessi termini in
una memoria difensiva prodotta in sede di riesame.
Tali
evenienze, a detta della Suprema Corte, non consentivano però di porre in
diretta correlazione la crisi finanziaria con l'impossibilità, determinata da
forza maggiore, di effettuare o dovuti versamenti, ostando, come si è detto,
all'applicazione dell'art.45 cod. pen., né permettevano di escludere comunque
la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Nel
ribadire i principi dianzi ricordati, la Cassazione ha quindi concluso
disponendo l’annullamento dell'ordinanza impugnata, rinviando la causa al Tribunale di Sassari,
che dovrà procedere ad un nuovo esame della controversia attenendosi ai rilievi suddetti.
Valerio
Pollastrini
1)
–
Cass., Sentenza n.10120 dell’11 marzo 2011;
2)
–
Cass., Sentenza n.25875 del 7 luglio 2010; Cass. SS.UU., Sentenza n.37425 del
12 settembre 2013;
3)
-
v. ad es., Cass., Sentenza n.10823 del 19 marzo 2010; Cass., Sentenza n.5548
del 19 novembre 2009;
4)
-
Cass., Sentenza n.20171 del 10 maggio 2013;
5)
–
Cass., Sentenza n.18402 del 24 aprile 2013;
6)
–
Cass., Sentenza n.15416 del 4 febbraio 2014; Cass., Sentenza n.5467 del 4
febbraio 2014; Cass., Sentenza n.37528 del 13 settembre 2013;
7)
-
V. anche, in tema di crisi di liquidità, Cass., Sentenza n.39880 del 26
settembre 2014; Cass., Sentenza n.30595 dell’11 luglio 2014; Cass., Sentenza
n.28549 del 3 luglio 2014; Cass., Sentenza n.24341 del 10 giugno 2014; Cass.,
Sentenza n.23532 del 5 giugno 2014; Cass., Sentenza n.23531 del 5 giugno 2014;
Cass., Sentenza n.28459 del 29 maggio 2014; Cass., Sentenza n.19426 del 12
maggio 2014; Cass., Sentenza n.13019 del 20 marzo 2014;
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