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sabato 13 dicembre 2014

Mancato versamento delle ritenute – Il datore di lavoro è colpevole anche se c’è crisi di liquidità

Nella sentenza n.51436 dell’11 dicembre 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che la crisi di liquidità, dovuta alla mancata riscossione di un credito, non assolve il datore di lavoro dal reato connesso al mancato versamento delle ritenute fiscali dei dipendenti.

Nel caso di specie, il Tribunale di Sassari, in accoglimento del proposto riesame, aveva revocato l’Ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari con la quale era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente - fino alla concorrenza della somma di  82.788,00 € - in danno di un datore di lavoro che aveva omesso il versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione dei sostituti di imposta, entro il termine per la presentazione della relativa dichiarazione modello 770.

Avverso tale pronuncia, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari aveva ricorso per Cassazione, deducendo la violazione dell'art.45 cod. pen., che i giudici del riesame avrebbero erroneamente applicato, ritenendo che l'inadempimento fosse collegato alla mancata riscossione di crediti vantati dalla società dell'indagato nei confronti di terzi e che l'aver concordato con l'Agenzia delle Entrate un piano di rateizzazione del dovuto a distanza di tre anni fosse indice di una condotta non realizzabile se non a discapito dei dipendenti.

Il ricorrente, inoltre, aveva aggiunto che le conclusioni a cui era giunto il Tribunale sarebbero in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e che la volontarietà della scelta di non effettuare i versamenti sarebbe chiaramente desumibile dai contenuti della memoria difensiva prodotta in sede di riesame ed allegata al ricorso, dalla quale emergerebbe anche che la rateizzazione del debito con l'Agenzia delle Entrate sarebbe avvenuta non spontaneamente, bensì a seguito di avviso bonario.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.

Nella premessa, gli ermellini hanno ricordato che il reato in esame risulta consumato con il mancato versamento, per un ammontare superiore ad euro cinquantamila, delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale.

Sostanzialmente, la condotta in oggetto si traduce nella indebita appropriazione di somme altrui di cui si ha la detenzione e tale evenienza, come pure si è ricordato ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame per asserito contrasto con l'art.3 Cost. (1), rende del tutto irrilevanti eventuali difficoltà economiche impreviste, o la circostanza che non sia stata rilasciata al sostituto alcuna certificazione o quella del rilascio di certificazione mendace.

Quanto all'elemento soggettivo, inoltre, la Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare che detto reato è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva (2).

In genere, in simili casi la prova del dolo  è insita nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi.

Del resto, in passato, le Sezioni Unite avevano posto in evidenza il collegamento intercorrente tra il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute e l'erogazione degli emolumenti ai collaboratori, con la conseguenza che, quando queste ultime siano state effettuate dal sostituto d'imposta, insorge a suo carico un obbligo di accantonamento delle somme dovute all'Erario e di organizzazione, su scala annuale, delle risorse disponibili, in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.

Ciò premesso, la Cassazione ha  osservato che il Tribunale, nell’asserire l’insussistenza del fumus del reato ipotizzato, aveva ritenuto configurabile, nella fattispecie, una causa di forza maggiore, individuata in una sopravvenuta illiquidità conseguente alla mancata riscossione di crediti vantati dall'indagato verso soggetti terzi e che la volontarietà della condotta omissiva attribuitagli sarebbe stata esclusa anche dall'accordo intervenuto con l'Agenzia delle Entrate.

Tuttavia, tale assunto si pone in contrasto con i principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza.

La Suprema Corte, infatti, ha rilevato come, generalmente, la forza maggiore sia individuabile in un evento di origine naturale o umana imprevedibile o, anche se preveduto, inevitabile.

Conseguentemente, essa non è invocabile nel caso in cui l’agente stesso si sia posto in condizioni di illegittimità, ponendo in essere una condotta non conforme alla legge o alle regole generali di prudenza e diligenza (3).

Sul punto, inoltre, va ricordato che su colui che invoca l’applicazione dell'esimente incombe un onere di allegazione di elementi precisi e specifici che consentano al giudice di verificare la sussistenza della forza maggiore o del caso fortuito (4).

Con specifico riferimento alla rilevanza, ai fini dell'applicabilità dell'art.45 cod. pen., delle difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente, si è affermato che esse non possono essere ricondotte al concetto di forza maggiore, il quale, presupponendo la sussistenza di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, tanto da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non può conseguentemente ricollegarsi ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente medesimo (5).

Tali principi sono stati enunciati anche in tema di omesso versamento delle ritenute fiscali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e la questione è stata recentemente affrontata dalla giurisprudenza che, più volte (6), ha ribadito l’irrilevanza, ai fini dell‘applicabilità della forza maggiore o dello stato di necessità, le diverse ipotesi in cui si ritenga di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti per evitare licenziamenti, si sia dovuto pagare i debiti ai fornitori, pena il fallimento della società, ovvero si sia verificata la mancata riscossione di crediti vantati e documentati, spesso nei confronti dello Stato (7).

Sulla base di tutte le considerazioni sopra riportate, la Suprema Corte ha quindi affermato che il mero verificarsi di una situazione di crisi finanziaria non comporta automaticamente la sussistenza di una condizione riconducibile a quella contemplata dall'art. 45 cod. pen., assumendo rilevanza le cause e la tempistica di una tale evenienza, nonché le scelte in concreto operate dal soggetto agente.

Nondimeno, assume rilievo decisivo anche l'imprevedibilità della crisi finanziaria, a differenza di ciò che avverrebbe se la mancanza di liquidità fosse nota all'imprenditore, difettando così un necessario presupposto per la configurabilità della forza maggiore.

Si tratta, dunque, di dati fattuali non indifferenti ai fini della valutazione sulla sussistenza, in concreto, di una ipotesi di forza maggiore. Valutazione che, nella fattispecie, il Tribunale non aveva effettuato.

I giudici del riesame, invero, tenendo conto delle condizioni di difficoltà dell'impresa conseguenti alla mancata riscossione di crediti, avevano pacificamente convenuto che, a fronte di tale situazione, l'indagato avesse privilegiato la scelta di corrispondere le retribuzioni ai propri dipendenti, circostanza che lo stesso indagato aveva esplicitato negli stessi termini in una memoria difensiva prodotta in sede di riesame.

Tali evenienze, a detta della Suprema Corte, non consentivano però di porre in diretta correlazione la crisi finanziaria con l'impossibilità, determinata da forza maggiore, di effettuare o dovuti versamenti, ostando, come si è detto, all'applicazione dell'art.45 cod. pen., né permettevano di escludere comunque la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

Nel ribadire i principi dianzi ricordati, la Cassazione ha quindi concluso disponendo l’annullamento dell'ordinanza impugnata,  rinviando la causa al Tribunale di Sassari, che dovrà procedere ad un nuovo esame della controversia  attenendosi ai rilievi suddetti.

Valerio Pollastrini


1)      – Cass., Sentenza n.10120 dell’11 marzo 2011;
2)      – Cass., Sentenza n.25875 del 7 luglio 2010; Cass. SS.UU., Sentenza n.37425 del 12 settembre 2013;
3)      - v. ad es., Cass., Sentenza n.10823 del 19 marzo 2010; Cass., Sentenza n.5548 del 19 novembre 2009;
4)      - Cass., Sentenza n.20171 del 10 maggio 2013;
5)      – Cass., Sentenza n.18402 del 24 aprile 2013;
6)      – Cass., Sentenza n.15416 del 4 febbraio 2014; Cass., Sentenza n.5467 del 4 febbraio 2014; Cass., Sentenza n.37528 del 13 settembre 2013;
7)      - V. anche, in tema di crisi di liquidità, Cass., Sentenza n.39880 del 26 settembre 2014; Cass., Sentenza n.30595 dell’11 luglio 2014; Cass., Sentenza n.28549 del 3 luglio 2014; Cass., Sentenza n.24341 del 10 giugno 2014; Cass., Sentenza n.23532 del 5 giugno 2014; Cass., Sentenza n.23531 del 5 giugno 2014; Cass., Sentenza n.28459 del 29 maggio 2014; Cass., Sentenza n.19426 del 12 maggio 2014; Cass., Sentenza n.13019 del 20 marzo 2014;

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