Il
caso di specie è quello del Comandante del Corpo di Polizia Provinciale di
Prato, assunto, in un primo momento, con
contratto a termine di sei mesi, comprensivo del patto di prova di quindici
giorni, per sostituire il titolare assente.
Successivamente,
la Provincia aveva assunto lo stesso lavoratore con un contratto a tempo
indeterminato nel quale era stata apposta la clausola del patto di prova di sei
mesi.
Nel
rispetto della decorrenza prevista nella clausola predetta, la Provincia di
Prato aveva risolto il rapporto per mancato superamento della prova.
Il
dipendente aveva quindi impugnato il recesso, chiedendo la reintegrazione nel
posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno pari alle retribuzioni
perdute.
Tuttavia,
sia il Tribunale di Prato che, successivamente, la Corte di Appello di Firenze
avevano rigettato il ricorso del lavoratore.
In
particolare, la Corte del merito aveva accertato l’effettiva necessità per la
Provincia di verificare le qualità professionali, nonché la personalità complessiva
del lavoratore.
A
questo proposito, il giudice dell’appello aveva osservato che il patto di prova
apposto al primo contratto a tempo determinato, stipulato per sostituire il
titolare assente, era tutt’altra cosa rispetto a quello connesso al secondo
rapporto, previsto obbligatoriamente dall’art.14 del CCNL del Comparto Regioni
ed Autonomie Locali.
Nel
primo contratto, infatti, l’apposizione del termine risultava giustificato con
la sola necessità di sopperire all’emergenza derivante dalla sostituzione della
vincitrice del concorso, temporaneamente impedita. Inoltre, alla scadenza del
rapporto, l’Amministrazione non aveva espresso alcuna valutazione in merito all’esperimento
del periodo di prova e, pertanto, detta prova quindi non era stato possibile
accertare se questa fosse stata superata.
Ciò
detto, la Corte del merito aveva ricordato che, successivamente,
l'Amministrazione non avrebbe potuto sottrarsi all’assunzione a tempo
indeterminato, essendo questa obbligatoria, a prescindere dal precedente
rapporto a tempo determinato e dal relativo patto di prova, posto che detta
assunzione risultava imposta per legge, dovendo l’Amministrazione scorrere la
graduatoria del concorso per Comandante del Corpo di Polizia Provinciale, nel
quale il ricorrente si era classificato al secondo posto, una volta che il
primo in graduatoria aveva rinunciato all’incarico.
In
applicazione del Contratto Collettivo applicato, inoltre, la seconda assunzione
comportava necessariamente l’apposizione nel contratto del patto di prova.
Contro
questa sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, deducendo che, avendo
svolto, con il primo contratto a tempo determinato, le funzioni di Comandante
del Corpo di Polizia Provinciale di Prato per la durata di sei mesi, non sarebbe
stato necessario reiterare il periodo di
prova anche nel secondo rapporto a tempo indeterminato, avente ad oggetto lo
stesso profilo professionale e le medesime mansioni.
In
sostanza, il ricorrente aveva contestato all’impugnata sentenza la ritenuta
inidoneità del primo periodo lavorativo ai fini dell’esperimento della prova.
Il
lavoratore aveva quindi contestato la legittimità della reiterazione del patto
di prova, sostenendo che, tale clausola sarebbe finalizzata alla verifica delle
qualità professionali e del comportamento del lavoratore, circostanze queste
che l’Amministrazione aveva avuto modo di accertare ampiamente per effetto
dello svolgimento, con esito positivo, delle stesse mansioni per un congruo
lasso di tempo.
Il
ricorrente aveva poi rilevato che l’art.14-bis del CCNL Regioni ed Autonomie
Locali consente l’esonero del periodo di prova per i dipendenti che lo abbiano
già superato nella medesima qualifica e profilo professionale presso altra
Amministrazione Pubblica. Da ciò discenderebbe che, a maggior ragione, tale
esonero dovrebbe ritenersi operante quando il dipendente abbia effettivamente
svolto il periodo di prova nella stessa Amministrazione dalla quale venga poi
assunto, avendo questa già avuto modo di verificarne le qualità professionali.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato.
Secondo
la giurisprudenza di legittimità, la causa del patto di prova va individuata
nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in
quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di
lavoro che il dipendente possono verificare la reciproca convenienza del
contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest'ultimo, a sua
volta, valutando l'entità della prestazione richiestagli e le condizioni di
svolgimento del rapporto (1).
La
stessa Cassazione, inoltre, ha più volte precisato che il patto di prova in due
contratti successivamente stipulati tra le parti è ammissibile, qualora
risponda alle suddette finalità, potendo intervenire nel tempo molteplici
fattori, attinenti non soltanto alle capacità professionali, ma anche alle
abitudini di vita o a problemi di salute (2).
Gli
ermellini hanno poi ricordato come in una fattispecie sostanzialmente analoga
alla presente la Suprema Corte avesse affermato che in materia di rapporti di
lavoro pubblico nel settore sanitario, disciplinati a seguito della
privatizzazione dalla contrattazione collettiva nazionale, anche in deroga a
previsioni di legge o regolamento, la previsione del CCNL del comparto sanità
del primo settembre 1995, secondo cui il dipendente assunto a tempo
indeterminato è soggetto ad un periodo di prova, consente l'esecuzione della
prova anche nel caso di assunzione di un lavoratore che in precedenza aveva
stipulato un contratto a termine, ancorché avesse superato la relativa prova,
avendo le parti ritenuto utile e comunque funzionale all'interesse pubblico
l'espletamento della prova in vista della costituzione di un rapporto a tempo
indeterminato (3).
Parimenti
acclarato, inoltre, che la valutazione circa l'opportunità e/o necessità della
verifica delle qualità professionali e della personalità complessiva del
lavoratore, già accertate dal datore di lavoro, costituisce un apprezzamento di
fatto non censurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (4).
Tornando
al caso di specie, la Cassazione ha precisato che la Corte del merito, ponendo
in evidenza l’effettiva necessità per l'Amministrazione di verificare le
qualità professionali, nonché il comportamento e la personalità del lavoratore,
aveva correttamente applicato i suddetti
principi, atteso che :
-
il primo periodo di prova, di quindici giorni, riguardava un rapporto a
termine ed era funzionale alla ben più
modesta portata dell’atto negoziale voluto dalle parti, dato che il
posto di Comandante era stato già assegnato al vincitore del concorso,
temporaneamente assente;
-
vi era dunque una diversità non solo
temporale, ma anche qualitativa del periodo di prova apposto ai due contratti;
-
il patto di prova di quindici giorni
apposto al primo contratto era insufficiente al fine di accertare le reali
capacità organizzative, propositive, di direzione e coordinamento del
ricorrente;
-
alla fine del contratto a termine,
dovendo l’Amministrazione scorrere la graduatoria del concorso in cui il
ricorrente si era classificato al secondo posto, costituiva un atto dovuto la
sua assunzione (5) senza che il
superamento del breve periodo di prova precedente - trascorso il quale il
rapporto si avviò alla naturale scadenza - potesse precludere
all’Amministrazione l’apposizione di un nuovo patto di prova, questa volta ben
più consistente, peraltro consentito dall’art. 14 bis del contratto collettivo
del Comparto;
-
che era da escludere la natura in qualche modo ritorsiva della valutazione
negativa del periodo di prova operata dall’Amministrazione, quale asserita
conseguenza della fruizione, da parte del ricorrente, subito dopo la stipula
del contratto a tempo indeterminato, di un periodo di congedo straordinario per
motivi di studio, della durata di circa diciotto mesi, essendo tale valutazione
conseguente ai pareri negativi di tutti gli organi all’uopo preposti (direttore
generale, dirigente tecnico, dirigente del settore affari generali, direttore
del servizio personale ed organizzazione) ;
-
che, pertanto, la reiterazione del patto di prova non poteva considerarsi
illegittima.
In
conclusione, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha condannato il
lavoratore al pagamento delle spese del processo di legittimità, liquidate in
3.500,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi, oltre spese
generali ed accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.15960 del 29 luglio 2005; Cass., Sentenza n.17767 del 30
luglio 2009;
2)
-
Cass., Sentenza n.1741 del 18 febbraio 1995; Cass., Sentenza n.15960/2005;
Cass., Sentenza n.17767/2009; Cass., Sentenza n.10440 del 22 giugno 2012;
3)
-
Cass., Sentenza n.24409 del 2 ottobre 2008;
4)
-
Cass., Sentenza n.10440/2012; Cassazione, Sentenza n.17767/2009; Cass.,
Sentenza n.1741/1995;
5)
–
Ai sensi dell’art.6, comma 21, della Legge n.127/1997, allora vigente;
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