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martedì 4 novembre 2014

Licenziato il dipendente che fa sesso durante l’orario di lavoro

Nella sentenza n.23378 del  3 novembre 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente sorpreso a consumare un atto sessuale durante l’orario di lavoro.

Nel caso di specie, l’azienda aveva attivato il procedimento di contestazione disciplinare nei confronti del dipendente, adibito con le mansioni di operatore presso una stazione metropolitana, che, risultato assente ingiustificato dalla propria postazione lavorativa presso il banco agenti di stazione, era stato sorpreso da un utente nel locale in uso alla ditta di pulizie in atto sessuale con una donna, circostanza che aveva indotto la cliente a sporgere denuncia alle forze dell'ordine chiamate in loco.

Per tale ragione, espletate le fasi previste per l’iter disciplinare, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa.

Chiamati a decidere sull’impugnativa del recesso, sia il Tribunale che, successivamente, la Corte di Appello di Napoli avevano rigettato il ricorso del lavoratore.

In particolare, la Corte territoriale aveva sottolineato come la realizzata violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, unitamente ad un comportamento manifestamente contrario agli interessi dell'impresa, rendessero irrilevante il rispetto o meno della garanzia di affissione del codice disciplinare prevista dall'art.7, comma 1, della Legge n.300/1970.

Il giudice dell’appello, inoltre, aveva precisato che l'istruttoria svolta aveva confermato la fondatezza dell'addebito, concretato nell’allontanamento dalla postazione di lavoro per compiere un atto contrario ai doveri del servizio e con pericolo per la sicurezza.

La sanzione irrogata, inoltre, doveva considerarsi adeguata alla condotta oggetto di contestazione, anche in considerazione del fatto  che le mansioni alle quali era adibito il ricorrente attribuivano allo stesso una particolare responsabilità per la gestione della sicurezza dell'impianto della stazione.

Contro questa sentenza il lavoratore aveva adito la Cassazione, addebitando alla Corte di Appello di avere erroneamente reinterpretato la contestazione disciplinare, con la quale gli sarebbe stata imputata la temporanea assenza dal posto di lavoro senza averne ottenuto il necessario permesso.

Tale addebito, infatti, coinciderebbe con la previsione dell'articolo 66 del Contratto Collettivo Nazionale di riferimento, che vi correla la sanzione conservativa della multa fino ad un massimo di quattro ore retribuzione.

A tale proposito, il ricorrente aveva precisato come l’allontanamento contestato fosse meramente temporaneo ed, inoltre, non vi sarebbe alcuna prova del fatto che lo stesso fosse ritornato al lavoro perché chiamato tramite interfono e non per sua spontanea volontà.

Il ricorrente aveva poi aggiunto che, quello nel quale sarebbe stato consumato l’atto sessuale, era un magazzino non accessibile all’utenza, circostanza che denoterebbe la mancata violazione della regola della riservatezza.

Con ulteriore motivo di ricorso, il lavoratore aveva lamentato anche la violazione e falsa applicazione dell'art.7 della Legge n.300/1970, ribadendo  che il comportamento sanzionato, in quanto  contemplato dal contratto collettivo, rendeva obbligatoria l'affissione del codice disciplinare.

Investita della questione, la Cassazione ha innanzitutto rilevato come il ricorrente, nel ricondurre l’addebito alla fattispecie dell'interruzione temporanea del servizio, avesse trascurato elementi che, invece, la Corte di merito aveva ritenuto decisivi,  quali la causale (voluttuaria e contraria ai doveri d’ufficio) dell'abbandono del servizio e la natura dei compiti (di vigilanza) assegnati.

Detta sottovalutazione risulta in contrasto non solo con il contenuto letterale della contestazione, che aveva riportato i diversi profili della condotta, ma anche con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di individuazione della giusta causa di recesso e del giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato e licenziamento, in ragione dei quali tale valutazione deve essere effettuata considerando l'addebito nel complesso dei suoi elementi oggettivi c soggettivi (1).

Sul punto, gli ermellini hanno quindi ribadito l’impossibilità di valorizzare uno solo degli aspetti della condotta posta in essere al fine di applicare la sanzione prevista dalla norma del contratto collettivo che prevede quell’ (unico) aspetto.

Nel caso in esame, infatti, le circostanze di fatto valorizzate dalla parte ricorrente, vale a dire, la temporaneità dell’allontanamento, l’ubicazione del magazzino, il livello di inquadramento, l’assenza di danni, l’assenza di precedenti disciplinari, sono circostanze che la Corte del merito aveva ritenuto non significative, considerata la posizione del lavoratore - unico agente presso l’impianto della stazione, con il conseguente dovere di attenzione sotto il profilo della tutela della sicurezza degli utenti - la potenzialità lesiva dell’omissione, il fatto che l’attività cui si stava dedicando era stata effettivamente rilevata da un utente sicché il magazzino era comunque raggiungibile.

Per la Suprema Corte, le suddette considerazioni  determinano anche l’infondatezza della censura relativa alla mancata affissione del codice disciplinare, atteso che la valutazione complessiva del comportamento addebitato impone di considerare realizzata una violazione dei precetti che derivano dall’obbligo generale di diligenza, senza ricorso alle specifiche previsioni del contratto collettivo.

La gravità della violazione complessivamente considerata e la sua proporzionalità alla massima sanzione espulsiva, infatti, era stata  desunta dal Tribunale in relazione alla violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà derivanti direttamente dalla legge.

Per tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha concluso disponendo il rigetto del ricorso, con conseguente condanna del lavoratore al pagamento delle spese del processo di legittimità, liquidate in  3.000,00 € per compensi professionali,  100,00 € per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Valerio Pollastrini


1)      - Cass., Sentenza n.2013 del 13 febbraio 2012, Cass., Sentenza n.22798 del 12 dicembre 2012;

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