Il
caso di specie è giunto all’attenzione degli ermellini dopo che la Corte di
Appello di L'Aquila, riformando quanto
disposto dal Tribunale di Teramo, aveva
condannato un datore di lavoro alla pena di quattro mesi di reclusione,
convertita in 5.060,00 € di multa, per il reato (1) di omesso il versamento all'Inps delle ritenute
previdenziali operate ai dipendenti
dalla società di cui era legale rappresentante, dal mese di agosto 2006 al mese
di gennaio 2007, per un importo totale di 16.346,00 €.
Contro
questa sentenza, l’imputato aveva adito la Cassazione, lamentando di aver
subito l’azione penale prima di poter fruire della causa di non punibilità
rappresentata dal versamento entro tre mesi degli importi dovuti (2).
Il
ricorrente, inoltre, aveva precisato che il 10 febbraio 2007 aveva cessato di
essere il legale rappresentante della società e, per tale ragione, aveva
sostenuto la sua estraneità ai fatti oggetto di contestazione, per lo meno in
relazione all’omesso versamento attinente alla mensilità del gennaio 2007, il
cui adempimento era previsto entro il 16 febbraio 2007.
A
ciò egli aveva aggiunto la mancata motivazione sulla sua effettiva conoscenza
della contestazione, deducendo anche che non vi sarebbe neppure prova certa del versamento
delle retribuzioni, in quanto il relativo M 10 non sarebbe stato inviato
dall'imputato, non avendo questi più ricoperto alcuna carica sociale.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha preliminarmente rilevato che, per quanto emerso
dagli atti, il reato contestato si è estinto completamente per prescrizione in
data 6 giugno 2014.
Gli
ermellini hanno quindi ritenuto fondate le censure mosse dal ricorrente, tutte
incentrate sulla cessazione dalla carica
di legale rappresentante della società,
avvenuta il 10 febbraio 2007.
L'imputato,
infatti, era stato legale rappresentante e amministratore dell’azienda fino
alla data suddetta, e, quindi, prima della maturazione del termine del 16
febbraio 2007, previsto per l'adempimento connesso all'ultima mensilità.
La
Suprema Corte ha poi ricordato come l’Inps avesse notificato alla società
l'avviso di contestazione il 4 marzo 2008, quando l'imputato non rivestiva più
alcuna carica sociale.
Si
tratta di una circostanza che pone in
dubbio la possibilità dell’imputato di fruire della causa di non punibilità del
versamento del dovuto entro tre mesi (3).
Al
riguardo, la motivazione della sentenza di appello non risulta effettivamente
adeguata, poiché aveva omesso di considerare la questione della cessazione
della carica dell'imputato nella società (4) e, parimenti, non aveva effettuato
alcuna distinzione tra le mensilità ed i versamenti che dovevano essere
compiuti durante la carica di amministratore ed il versamento attinente al
gennaio 2007, nonché sulla notifica della relativa contestazione da parte
dell’Inps.
Stante
la non manifesta infondatezza delle doglianza del ricorrente, la Cassazione ha
disposto l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, essendo il
reato estinto per prescrizione.
Valerio
Pollastrini
1)
-
di cui agli artt.81 c.p. e 2 della Legge
n.638/1983;
2)
-
in violazione dell'articolo 2, commi 1-bis e 1-ter, del D.L. n.463/1983, convertito con modifiche
nella Legge n.638/1983,
3)
-
di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del D.L. n.463/1983;
4)
-
Cass., Sentenza n.6378 del 4 dicembre 2013-11 febbraio 2014; Cass., Sentenza
n.21695 del 20 febbraio 2013;
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