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giovedì 6 novembre 2014

L’omesso versamento delle ritenute va contestato al legale rappresentante in carica al momento del fatto

Nella sentenza n.45019 del 30 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha assolto il legale rappresentante di una società dal reato connesso all’omesso versamento delle ritenute previdenziali dei dipendenti, in quanto, al momento dei fatti oggetto di contestazione, non ricopriva la predetta carica.

Il caso di specie è giunto all’attenzione degli ermellini dopo che la Corte di Appello di L'Aquila, riformando  quanto disposto dal Tribunale di Teramo,  aveva condannato un datore di lavoro alla pena di quattro mesi di reclusione, convertita in 5.060,00 € di multa, per il reato (1) di  omesso il versamento all'Inps delle ritenute previdenziali operate ai  dipendenti dalla società di cui era legale rappresentante, dal mese di agosto 2006 al mese di gennaio 2007, per un importo totale di  16.346,00 €.

Contro questa sentenza, l’imputato aveva adito la Cassazione, lamentando di aver subito l’azione penale prima di poter fruire della causa di non punibilità rappresentata dal versamento entro tre mesi degli importi dovuti (2).

Il ricorrente, inoltre, aveva precisato che il 10 febbraio 2007 aveva cessato di essere il legale rappresentante della società e, per tale ragione, aveva sostenuto la sua estraneità ai fatti oggetto di contestazione, per lo meno in relazione all’omesso versamento attinente alla mensilità del gennaio 2007, il cui adempimento era previsto entro il 16 febbraio 2007.

A ciò egli aveva aggiunto la mancata motivazione sulla sua effettiva conoscenza della contestazione, deducendo anche che non  vi sarebbe neppure prova certa del versamento delle retribuzioni, in quanto il relativo M 10 non sarebbe stato inviato dall'imputato, non avendo questi più ricoperto alcuna carica sociale.

Investita della questione, la Suprema Corte ha preliminarmente rilevato che, per quanto emerso dagli atti, il reato contestato si è estinto completamente per prescrizione in data 6 giugno 2014.

Gli ermellini hanno quindi ritenuto fondate le censure mosse dal ricorrente, tutte incentrate sulla cessazione dalla  carica di  legale rappresentante della società, avvenuta il 10 febbraio 2007.

L'imputato, infatti, era stato legale rappresentante e amministratore dell’azienda fino alla data suddetta, e, quindi, prima della maturazione del termine del 16 febbraio 2007, previsto per l'adempimento connesso all'ultima mensilità.

La Suprema Corte ha poi ricordato come l’Inps avesse notificato alla società l'avviso di contestazione il 4 marzo 2008, quando l'imputato non rivestiva più alcuna carica sociale.

Si tratta di una circostanza  che pone in dubbio la possibilità dell’imputato di fruire della causa di non punibilità del versamento del dovuto entro tre mesi (3).

Al riguardo, la motivazione della sentenza di appello non risulta effettivamente adeguata, poiché aveva omesso di considerare la questione della cessazione della carica dell'imputato nella società (4) e, parimenti, non aveva effettuato alcuna distinzione tra le mensilità ed i versamenti che dovevano essere compiuti durante la carica di amministratore ed il versamento attinente al gennaio 2007, nonché sulla notifica della relativa contestazione da parte dell’Inps.

Stante la non manifesta infondatezza delle doglianza del ricorrente, la Cassazione ha disposto l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, essendo il reato estinto per prescrizione.

Valerio Pollastrini

 
1)      - di cui agli artt.81 c.p. e 2  della Legge n.638/1983;
2)      - in violazione dell'articolo 2, commi 1-bis e 1-ter,  del D.L. n.463/1983, convertito con modifiche nella Legge n.638/1983,
3)      - di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del D.L. n.463/1983;
4)      - Cass., Sentenza n.6378 del 4 dicembre 2013-11 febbraio 2014; Cass., Sentenza n.21695 del 20 febbraio 2013;

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