Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Napoli aveva confermato la decisione con
la quale il Tribunale di primo grado aveva rigettato le opposizioni proposte da
una società avverso i decreti ingiuntivi
e l'ordinanza ingiunzione notificatigli per il pagamento di contributi e
sanzioni conseguenti ad un verbale ispettivo dei funzionari di vigilanza
dell’lNPS.
Nel
citato verbale, infatti, erano stati
contestati all’azienda, esercente l’attività di ristorazione, la omessa
registrazione di un lavoratore nei libri paga e matricola, il versamento di
contributi con riguardo al lavoro a tempo parziale asseritamente svolto dai
dipendenti, anziché a tempo pieno, ed il versamento di contributi in misura
inferiore a quella prevista dal CCNL di categoria.
La
Corte del merito, in particolare, aveva ritenuto fondate le pretese dell’Ente
Previdenziale sulla scorta delle risultanze probatorie acquisite in primo
grado, tra le quali la prova testimoniale.
Contro
questa pronuncia la società aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo
l’erroneità
della sentenza impugnata sulla base dei seguenti rilievi:
-
non
vi sarebbe stata una omissione di registrazione del lavoratore, come risulterebbe dalla prova
testimoniale, erroneamente valutata dai
giudici del merito, nonché dal verbale di conciliazione redatto dal datore di
lavoro ed il predetto dipendente davanti alla Commissione Provinciale di
Conciliazione di Napoli;
-
i
camerieri avrebbero svolto lavoro parziale e non già a tempo pieno,
diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, come si evincerebbe
dalla prova testimoniale e dai verbali di conciliazione sottoscritti dai
dipendenti, a nulla rilevando che i contratti di lavoro non fossero stati
stipulati in forma scritta, non essendo questa richiesta a pena di nullità;
-
a
seguito dell’accertamento ispettivo il datore di lavoro aveva proposto istanza di condono in data 1 luglio
1996, reiterata il 29 maggio 1997, di cui l’INPS, nel richiedere il pagamento
dei contributi, non avrebbe tenuto conto;
-
anche
le sanzioni, compresa quella una tantum, applicate in base alla Legge n.662/1996,
sarebbero illegittime ed errate, posto che, per le somme effettivamente dovute,
risulterebbero applicabili i criteri sanzionatori previsti dal condono stesso.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile.
Preliminarmente,
gli ermellini hanno precisato come il ricorso fosse privo di rubriche e non avesse
denunciato alcun vizio ex art.360 cod. proc. civ., vale a dire i motivi per i
quali la sentenza era stata impugnata.
In
particolare, non risultava se le predette censure attenessero a violazione e
falsa applicazione di norme di diritto (1), ovvero a omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio (2).
Sotto
altro profilo, la Suprema Corte ha precisato che, a norma dell’art.366, primo
comma, n. 3), cod. proc. civ., il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena
di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa.
Al
riguardo, nella giurisprudenza di legittimità si è più volte affermato, che, ai fini della
sussistenza di tale requisito, è necessario, in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica
e puntuale, tutti gli elementi utili perché la Cassazione possa avere la
completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del
processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere
ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da
acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione
censurata e i motivi delle doglianze prospettate (3).
Nella
specie la ricorrente aveva omesso del tutto di esporre detti elementi,
incorrendo, così, nel vizio sopra indicato.
In
ordine alle censure come sopra irritualmente proposte, la Corte ha tuttavia
precisato:
-
che,
con riguardo a quella concernente la non corretta valutazione delle risultanze
probatorie, la ricorrente aveva teso inammissibilmente a rimettere in
discussione, contrapponendo una propria diversa valutazione, l’apprezzamento
dei fatti e delle prove compiuto dai giudici di merito, che, secondo il costante
orientamento giurisprudenziale, è sottratto al sindacato di legittimità, dal
momento che nell’ambito di detto sindacato, non è consentito il potere di
riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare,
sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
rese dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del
proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne
l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (4);
-
che,
in ordine alle circostanze risultanti dai verbali di conciliazione stipulati
dai lavoratori con il datore di lavoro, la ricorrente aveva omesso del tutto di
considerare e contestare quanto sostenuto al riguardo dalla sentenza impugnata
che, nel richiamare i principi enunciati dalla Cassazione, aveva affermato che
la conciliazione di una controversia attinente ad un rapporto di lavoro assume
efficacia soltanto per le parti che l’hanno stipulata e non già nei confronti
dei terzi, ed in particolare nei confronti di quegli uffici o enti titolari di interessi
pubblici, come l’INPS, i quali non incontrano alcun limite probatorio
nell’accertamento giudiziale della natura e delle modalità del rapporto di
lavoro intercorso tra le parti;
-
che,
parimenti, la ricorrente aveva omesso
del tutto di considerare e di prendere posizione su quanto affermato dalla
Corte territoriale in ordine alla domanda di condono e alle sanzioni, e cioè
che il Consulente Tecnico d’Ufficio, nell’espletamento dell’incarico
affidatogli, aveva tenuto conto di detta domanda, e che, con riguardo alle
sanzioni civili, l’eventuale maggior importo versato a tale titolo, pari alla
differenza tra quanto dovuto in base alla normativa previgente e quanto
calcolato in base all’art.116, commi 8 e 17, della Legge n.388/2000,
costituisce un credito contributivo recuperabile, a domanda dell’interessato,
attraverso detrazione dalla contribuzione.
Per
tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso, con
conseguente condanna della società al pagamento delle spese del processo di
legittimità, liquidate in 5.000,00 € per compensi professionali, 100,00 € per
esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
1) - art.360, comma 1, n. 2, cod. proc. civ.;
2)
–
art.360, comma 1, n.5, cod. proc. civ., nella versione anteriore alle modifiche
introdotte dall’art.54, comma 1, lett. b), del D.L. n.83/2012, convertito, con
modificazioni, nella Legge n.134/2012;
3)
-
Cass. S.U., Sentenza n.11308 del 22 maggio 2014; Cass., Sentenza n.5660 del 9
marzo 2010; e, in precedenza, fra le altre, Cass., Sentenza n.16315 del 24
luglio 2007; Cass., Sentenza n.2097 del 31 gennaio 2007;
4)
-
cfr., fra le altre, Cass., Sentenza n.7921 del 6 aprile 2011;
Nessun commento:
Posta un commento