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domenica 2 novembre 2014

Legittimo il licenziamento anche se il danno all’azienda è di modesta entità

Nella sentenza n.19684 del 18 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che, nonostante la  sua modesta entità sul piano economico, il danno provocato all’azienda dalla condotta fraudolenta del dipendente può costituire una giusta causa di licenziamento.

Nella specie, la Corte di Appello di Catania, confermando quanto disposto dal Tribunale di primo grado, aveva rigettato il gravame proposto da una dipendente nei confronti del  datore di lavoro,  avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento irrigatole per giusta causa.

In particolare, la Corte territoriale aveva maturato una simile decisione sulla base dei seguenti elementi:

- la prova testimoniale, nel confermare i fatti esposti dalla parte datoriale,  aveva evidenziato  che la lavoratrice si era resa responsabile, mediante un accorgimento fraudolento, dell’ acquisto di un capo di abbigliamento ad un prezzo inferiore a quello fissato nel talloncino;

- in relazione ai fatti contestati, la sanzione del licenziamento non poteva ritenersi sproporzionata, poiché, a prescindere dal valore lieve del danno procurato all'azienda, era evidente la perdita di fiducia nella propria dipendente, essendo stato accertato che quest’ultima, approfittando delle sue mansioni di addetta al reparto abbigliamento e ai camerini di prova, aveva intenzionalmente sostituito i talloncini segnaprezzo di due capi di abbigliamento, al fine di acquistare uno di essi al prezzo minore, anziché a quello originariamente segnato.

Avverso la suddetta sentenza, la lavoratrice aveva adito la Cassazione, denunciando vizio di motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali  e della richiesta di CTU medico legale sulle sue condizioni di salute, con particolare riguardo alla dedotta situazione di soggetto gravemente ipovedente.

Investita della questione, la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile detta censura, in quanto non riportando il contenuto dei capitoli di prova non ammessi, il ricorrente aveva reso impossibile la valutazione della decisività delle circostanze dedotte, a fronte, peraltro, della puntuale spiegazione fornita nella sentenza impugnata in ordine alle ragioni della mancata ammissione degli stessi.

Inoltre, la ricorrente non aveva neppure riportato  il contenuto della documentazione asseritamene prodotta e dimostrativa delle sue condizioni di salute.

Per completezza di motivazione, gli ermellini hanno rilevato,  al riguardo,  che lo svolgimento dei fatti, quali accertati e descritti nella sentenza impugnata, esclude di per sé che gli stessi possano essere stati effetto di una ridotta capacità visiva.

Con altro motivo di ricorso, la lavoratrice aveva poi denunciato vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della sussistenza della giusta causa di licenziamento, assumendo che la Corte territoriale non avrebbe tenuto adeguatamente conto della modesta entità del danno, dell’assenza di precedenti disciplinari, delle sue precarie condizioni fisiche e della mancata attivazione di un procedimento penale in relazione al fatto contestato.

Nell’escludere il fondamento della doglianza, la Cassazione ha osservato come la motivazione della sentenza impugnata fosse pienamente coerente con le circostanze esaminate e, pertanto, immune da elementi di contraddittorietà.

Di contro,  le circostanze fattuali che si assumono non considerate o sono palesemente irrilevanti ai fini de quibus o, nell’ambito della valutazione complessiva dei fatti contestati, non assumono rilevanza decisiva ai fini dell’esclusione della giusta causa di recesso.

Invero, più volte la giurisprudenza di legittimità ha  avuto modo di osservare che la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all'eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e quindi alla fiducia che nello stesso può nutrire l'azienda, essendo necessario al riguardo che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, specialmente, dell'elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento (1).

Ed è proprio in virtù di tali principi che gli ermellini hanno condiviso la valutazione resa dalla Corte territoriale, in quanto il dimostrato carattere fraudolento, nella specie palesemente doloso e premeditato, della condotta della lavoratrice è sintomatico della sua, anche prospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo ad incidere in maniera grave ed irreversibile, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari, sull’elemento fiduciario.

Per tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso e la conseguente condanna della lavoratrice al pagamento delle spese processuali, liquidate in 3.100,00 € per compensi professionali, 100,00 € per spese,  oltre accessori come per legge.

Valerio Pollastrini

 
1)      - Cass., Sentenza n.11806/1997; Cass., Sentenza n.5633/2001;

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