Nella
specie, la Corte di Appello di Catania, confermando quanto disposto dal
Tribunale di primo grado, aveva rigettato il gravame proposto da una dipendente
nei confronti del datore di lavoro, avente ad oggetto l’impugnazione del
licenziamento irrigatole per giusta causa.
In
particolare, la Corte territoriale aveva maturato una simile decisione sulla
base dei seguenti elementi:
-
la prova testimoniale, nel confermare i fatti esposti dalla parte datoriale, aveva evidenziato che la lavoratrice si era resa responsabile,
mediante un accorgimento fraudolento, dell’ acquisto di un capo di
abbigliamento ad un prezzo inferiore a quello fissato nel talloncino;
-
in relazione ai fatti contestati, la sanzione del licenziamento non poteva
ritenersi sproporzionata, poiché, a prescindere dal valore lieve del danno
procurato all'azienda, era evidente la perdita di fiducia nella propria
dipendente, essendo stato accertato che quest’ultima, approfittando delle sue
mansioni di addetta al reparto abbigliamento e ai camerini di prova, aveva
intenzionalmente sostituito i talloncini segnaprezzo di due capi di
abbigliamento, al fine di acquistare uno di essi al prezzo minore, anziché a
quello originariamente segnato.
Avverso
la suddetta sentenza, la lavoratrice aveva adito la Cassazione, denunciando
vizio di motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali
e della richiesta di CTU medico legale
sulle sue condizioni di salute, con particolare riguardo alla dedotta
situazione di soggetto gravemente ipovedente.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile detta censura, in
quanto non riportando il contenuto dei capitoli di prova non ammessi, il ricorrente
aveva reso impossibile la valutazione della decisività delle circostanze dedotte,
a fronte, peraltro, della puntuale spiegazione fornita nella sentenza impugnata
in ordine alle ragioni della mancata ammissione degli stessi.
Inoltre,
la ricorrente non aveva neppure riportato il contenuto della documentazione asseritamene
prodotta e dimostrativa delle sue condizioni di salute.
Per
completezza di motivazione, gli ermellini hanno rilevato, al riguardo, che lo svolgimento dei fatti, quali accertati
e descritti nella sentenza impugnata, esclude di per sé che gli stessi possano
essere stati effetto di una ridotta capacità visiva.
Con
altro motivo di ricorso, la lavoratrice aveva poi denunciato vizio di
motivazione in ordine al riconoscimento della sussistenza della giusta causa di
licenziamento, assumendo che la Corte territoriale non avrebbe tenuto
adeguatamente conto della modesta entità del danno, dell’assenza di precedenti
disciplinari, delle sue precarie condizioni fisiche e della mancata attivazione
di un procedimento penale in relazione al fatto contestato.
Nell’escludere
il fondamento della doglianza, la Cassazione ha osservato come la motivazione
della sentenza impugnata fosse pienamente coerente con le circostanze esaminate
e, pertanto, immune da elementi di contraddittorietà.
Di
contro, le circostanze fattuali che si
assumono non considerate o sono palesemente irrilevanti ai fini de quibus o, nell’ambito della
valutazione complessiva dei fatti contestati, non assumono rilevanza decisiva
ai fini dell’esclusione della giusta causa di recesso.
Invero,
più volte la giurisprudenza di legittimità ha
avuto modo di osservare che la modesta entità del fatto può essere
ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto
in relazione all'eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del
valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti
del lavoratore e quindi alla fiducia che nello stesso può nutrire l'azienda,
essendo necessario al riguardo che i fatti addebitati rivestano il carattere di
grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, specialmente,
dell'elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia
idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento (1).
Ed
è proprio in virtù di tali principi che gli ermellini hanno condiviso la
valutazione resa dalla Corte territoriale, in quanto il dimostrato carattere
fraudolento, nella specie palesemente doloso e premeditato, della condotta
della lavoratrice è sintomatico della sua, anche prospettica, inaffidabilità e,
come tale, idoneo ad incidere in maniera grave ed irreversibile, nonostante la
modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari,
sull’elemento fiduciario.
Per
tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto
del ricorso e la conseguente condanna della lavoratrice al pagamento delle
spese processuali, liquidate in 3.100,00 € per compensi professionali, 100,00 €
per spese, oltre accessori come per
legge.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.11806/1997; Cass., Sentenza n.5633/2001;
Nessun commento:
Posta un commento