Un
recente sondaggio della Confesercenti, condotto in collaborazione con Swg, conferma
tale visione negativa.
Solo
il 18% dei dipendenti privati italiani, infatti, ha dichiarato che sceglierà di
ricevere il Tfr in busta paga, a fronte del 67% che, invece, continuerà a far
accumulare detto emolumento nell'impresa in cui lavora.
Nella
nota a commento, l’Associazione ha osservato che i dati emersi dal sondaggio
dimostrano come, anche nel persistere della recessione, il rapporto fiduciario intercorrente tra lavoratore
ed impresa, rimane immutato.
Sul
fronte degli imprenditori, il 64% degli
intervistati ha palesato il timore di una inevitabile crisi di liquidità nel
caso in cui tutti o la maggior parte dei dipendenti scegliessero di ricevere il
Tfr su base mensile.
Si
tratta di una paura connessa alle difficoltà riscontrate dalle imprese nell'ottenere
prestiti e finanziamenti dal canale bancario, segnalati dal 66% degli
imprenditori.
La
maggior parte di coloro che hanno dichiarato di avere già scelto di usufruire
della possibilità introdotta dalla legge di stabilità ha un’età compresa tra i 35 ed i 44 anni (21%), seguiti
dai giovani fra i 18 ed i 24 (19%).
Di
contro, saranno soprattutto le persone
più vicine alla fine del rapporto lavorativo a lasciare in azienda il Tfr. Il 72% dei soggetti tra i 55 ed i 64 anni ed
il 70% di quelli la cui età risulta compresa tra i 45 ed i 54 anno hanno dichiarato che non
eserciteranno l’opzione.
In
merito alle intenzioni sull’utilizzo della quota mensile del Tfr, il 44% dei
lavoratori favorevoli all’opzione si è detto incerto su come impiegare la
liquidità in più. Solo il 17%, invece, investirà
detta somma prevalentemente verso forme di risparmio alternative.
Il
16% investirà nelle pensioni integrative, mentre il 13% utilizzerà il Tfr in busta paga per saldare
pagamenti e debiti pregressi. Si tratta, quest’ultima, di una percentuale che sale al 36% per i giovani compresi
tra i 18 e i 24 anni.
Solo
il 10%, infine, investirà l’emolumento
in commento in acquisti.
Secondo
la stima dell’Ufficio Economico della Confesercenti, a meno di variazioni dell’ultimo
momento, i dati sopra riportati si tradurranno in un effetto espansivo modesto
sulla spesa, con un incremento, a fine 2015, di 380 milioni, pari allo 0,1% dei
consumi commercializzati.
A
ciò si aggiunga che il numero ridotto di persone che opteranno per il Tfr in busta
paga potrebbe causare dei problemi anche per i conti pubblici. Il Tfr in busta
paga, infatti, sarà sottoposto a tassazione ordinaria e non al più lieve
prelievo della tassazione separata applicata all’indennità liquidata a fine carriera.
In
base ai risultati del sondaggio, infatti, si stima che il gettito Irpef
generato dalla maggiore tassazione ammonterebbe ad 1 miliardo di euro, circa
1,5 miliardi in meno di quanto previsto dalla relazione tecnica alla Legge di
Stabilità.
Tale
è risultato ottenuto confrontando i dati della Confesercenti con le stime in
eccesso del Governo, che ha quantificato il numero di dipendenti che opteranno
per il Tfr in busta paga nei seguenti valori:
-
il 40% dei lavoratori delle imprese fino a 10 dipendenti;
-
il 50% di quelle fra 10 e 50 dipendenti;
-
il 60% in quelle di dimensioni ancora maggiori.
Per
quanto riguarda, infine, le ragioni addotte da coloro che hanno dichiarato l’intenzione
di lasciare il Tfr in azienda, il 54% degli intervistati pensa che la
liquidazione serva come forma di risparmio finanziario, il 29% per integrare la
pensione, il 12% come fondo per le spese mediche o sostegno per la vecchiaia.
Solo
il 5%, invece, ritiene che il Tfr possa
servire a comprare un’abitazione per sé o per i proprio familiari.
Valerio
Pollastrini
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