Accumulare
ore di lavoro notturno e turni che, inevitabilmente, impediscono una normale
gestione della vita sociale, infatti, può
avere pesanti ripercussioni sulla mente dei dipendenti, riducendone le capacità e la prontezza, al punto che dieci
anni di lavoro in tali condizioni possono fare invecchiare di 16 anni e mezzo.
Non
solo, i dati dimostrano che, in simili casi, per tornare alla normalità sarebbe
necessario svolgere il proprio lavoro in turni diurni per almeno cinque anni.
L’analisi
in commento è stata svolta dall’Università gallese di Swansea e dall’ateneo di
Tolosa, attraverso il monitoraggio di oltre 3mila lavoratori. Dai test, in
particolare, sono emersi dei risultati che potrebbero essere importanti anche
nella demenza e nei disturbi del sonno.
L’organismo
umano, infatti, è dotato di un orologio interno programmato per rendere attivo
il corpo durante il giorno e che riserva
alla notte il riposo.
Conseguentemente,
lavorare durante le ore in cui il soggetto dovrebbe dormire potrebbe avere
serie ripercussioni su memoria, velocità di pensiero e capacità cognitiva.
Quelle
appena riportate sono caratteristiche destinate a ridursi naturalmente con l'avanzare dell'età,
tuttavia, l’analisi mette in luce come lavorare in base a turni antisociali
acceleri questo processo, al punto che le
persone con 10 anni di turni alle spalle mostrano performance tipiche di
persone più vecchie di sei anni e mezzo.
Fortunatamente,
detta accelerazione può essere arrestata interrompendo il lavoro notturno, anche
se, a tal fine, servono almeno 5 anni.
Quella
sollevata dal team di ricercatori, non è una problematica di facile
risoluzione, attesa l’inevitabilità del ricorso ai turni notturni, imposti dai
cicli produttivi aziendali.
Sul
punto, gli esperti precisano che per mitigare gli effetti predetti le aziende
sono chiamate a progettare al meglio gli orari di lavoro, istituendo tra gli
ordinari controlli medici a cui vengono solitamente sottoposti i dipendenti,
alcuni test di performance.
Valerio
Pollastrini
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