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giovedì 6 novembre 2014

Alcune considerazioni sul Tfr in busta paga

Tra tutte le misure inserite  nella Legge di Stabilità 2015, quella  accolta con maggiore perplessità appare, senza alcun dubbio, la possibilità per i dipendenti di ricevere il TFR in busta paga.

Ai giudizi discordanti, diffusi in questi giorni sia dalla dottrina che dagli addetti ai lavori, si è aggiunto quello espresso dalla Banca d’Italia che, da ultimo, ha affermato che la scelta del lavoratore di percepire una parte del TFR in busta paga graverebbe sulle future pensioni, penalizzando, soprattutto,  i contribuenti più giovani.

Per sgombrare il campo da possibili apriorismi, va premesso che il Tfr in busta paga può dirsi efficace solo se idoneo a stimolare l’economia attraverso un incremento dei consumi.

Si tratta di una condizione che, ad oggi, non può certo ritenersi di sicura realizzazione, mentre ciò che appaiono certi sono gli   svantaggi per i lavoratori.

Quanto appena detto, sembra emergere dalle prime analisi, che hanno evidenziato come solo la porzione  dei dipendenti del settore privato compresa tra il 5% ed il 16% potrebbe decidere di spendere in consumi il flusso annuale del Tfr, facendo registrare un aumento del Pil tra lo 0,1% e lo 0,2%.

La vera questione, in sostanza, è se il Tfr in busta paga sia in grado di rilanciare l’economia italiana, attesa la difficoltà di infondere ottimismo alle famiglie, rese sempre più incerte sulle aspettative del proprio futuro dalla crisi economica in corso.

Se, sul fronte delle imprese, il problema  degli oneri aggiuntivi derivanti dalla liquidazione anticipata delle quote di Tfr potrebbe essere facilmente risolto attraverso il coinvolgimento delle istituzioni bancarie, per quanto riguarda le famiglie, la misura in commento, oltre ad aggravarne gli oneri fiscali, farebbe venir meno uno dei pochi strumenti atti a sostenere il loro risparmio.

Quelle sin qui riprodotte, sono delle considerazione sulle quali si spera che il legislatore vorrà riflettere prima di introdurre una norma che stravolgerebbe l’impianto giuslavoristico del nostro Paese.

Valerio Pollastrini

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