Il
caso di specie è quello che ha riguardato il dipendente che, nel 2003, era
stato vittima di un infortunio sul
lavoro con effetti invalidanti permanenti in misura del 22%, che gli avevano
comportato anche stati di confusione, specie in situazioni di stress e di
elevata rumorosità ambientale.
In
occasione del trasferimento di azienda dalla società in liquidazione (poi fallita), il lavoratore aveva
sottoscritto il 24 luglio 2007 un verbale contenente la rinuncia al passaggio
alle dipendenze della cessionaria, ai sensi dell’art. 2112 c.c..
In
realtà, tale accordo era stato sottoscritto senza rispettare la volontà precedentemente espressa dal
dipendente, che aveva chiesto alla cessionaria
di acquisire la responsabilità solidale per il proprio credito risarcitorio da infortunio.
Per
questa ragione il lavoratore aveva impugnato il predetto accordo, sostenendo di
essere stato indotto in errore sul suo contenuto, atteso il suo stato di
incapacità di intendere e di volere, nonché di averlo sottoscritto sotto la pressione psicologica di esponenti
della cedente e di colleghi.
Sulla
base di tali allegazioni, pertanto, aveva convenuto in giudizio le due aziende,
chiedendo l’annullamento del verbale
sottoscritto per le ragioni esposte e il riconoscimento del diritto al passaggio
alle dipendenze della cessionaria.
Tuttavia,
sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello di Torino ne avevano
rigettato la domanda.
In
base al tenore dell’accordo di trasferimento (passaggio di 900 dipendenti alla
data del 16 luglio 2007, posticipata al 27 dello stesso mese e perfezionamento
dell’assunzione previa sottoscrizione di verbale di conciliazione in sede
sindacale, contenente rinuncia alla solidarietà della cessionaria per i debiti
pregressi), la Corte territoriale aveva escluso l’esistenza di un diritto del
lavoratore al passaggio alle dipendenze
della cessionaria nel caso di eventuale annullamento del verbale di conciliazione.
Contro
questa sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, lamentando che la
Corte territoriale, equivocando su quanto stabilito nel verbale di
conciliazione personalmente sottoscritto e nell’accordo sindacale redatto in occasione del trasferimento d’azienda, avrebbe
erroneamente ritenuto possibile la deroga alla continuità lavorativa dell’art.
2112 c.c. in realtà non prevista, se non limitatamente al numero massimo di 118
dipendenti da collocare in mobilità per il raggiungimento del diritto al
trattamento pensionistico entro il 1° gennaio 2014 ed avrebbe, altresì, esclusa
la prosecuzione del rapporto per i dipendenti ricusanti l’assunzione alle
dipendenze della cessionaria alle condizioni previste nell’accordo.
Investita
della questione, la Cassazione ha ricordato nella premessa come tra le due
aziende fosse intervenuta una cessione di ramo d’azienda con trasferimento
parziale di 900 lavoratori.
Gli
ermellini hanno quindi richiamato la normativa di riferimento, che nel regolare
la vendita di aziende in esercizio nell’amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in stato di insolvenza, prevede, nell’ambito delle consultazioni
relative al trasferimento stabilite dall’art.47 della Legge n.428/1990, la
possibilità di accordo tra le parti per un trasferimento solo parziale dei
lavoratori alle dipendenze dell’acquirente e l’esclusione, salva diversa convenzione,
della responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle
aziende cedute, anteriori al trasferimento.
L’art.47
citato, inoltre, stabilisce, per i trasferimenti riguardanti imprese in amministrazione
straordinaria, l’applicabilità dell’art.2112 c.c. "nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo" tra le
parti e l’esclusione della sua applicazione "ai lavoratori il cui rapporto continua con l’acquirente ... salvo che
dall’accordo risultino condizioni di miglior favore".
Detta
la derogabilità, laddove prevista, anche peggiorativa del trattamento dei
lavoratori, in base a tale ultima disposizione, in deroga all’art. 2112 c.c.,
si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali, quando venga
trasferita l’azienda di un’impresa insolvente, e si legittima con la garanzia
della conclusione di un accordo collettivo idoneo a costituire norma
derogatoria della fattispecie (1).
Appare
evidente, pertanto, come, in simili casi, la priorità di tutela dal piano del
singolo lavoratore ceda il passo all’interesse
collettivo al perseguimento dell’agevolazione della circolazione dell’azienda
quale strumento di salvaguardia della massima occupazione, in una condizione di
obiettiva crisi imprenditoriale, anche al prezzo del sacrificio di alcuni
diritti garantiti dall’art.2112 c.c., pur sempre in un ambito tutelato di
consultazione sindacale.
Ciò,
in sostanza, è proprio quanto avvenuto
nel caso di specie, come documentato dai verbali di accordo citati, oggetto di
attento e corretto esame dalla Corte torinese e di cui aveva dato conto anche
il ricorrente.
Da
essi risulta, ai fini qui d’interesse, il passaggio di 900 dipendenti alle
dipendenze della cessionaria a far data dal 16 luglio 2007, con mantenimento
per il personale residuo del trattamento CLGS ai sensi dell’art.3 della Legge n.223/1991 e alla mobilità (2) al termine del
periodo di CLGS, con puntualizzazione della regolamentazione di detto passaggio
e dell’esclusione della prosecuzione del rapporto con l’acquirente nel coevo
accordo tra la cedente e Unioni industriali provinciali con le Organizzazioni Sindacali
nazionali ed espressa esclusione di prosecuzione del rapporto di lavoro, previa
sottoscrizione individuale di apposito verbale di conciliazione, per i dipendenti
che avessero rifiutato l’assunzione presso la cessionaria alle condizioni
previste dal predetto accordo.
Tra
queste condizioni, era prevista la rinuncia alla solidarietà della società
cessionaria per le obbligazioni anteriori al trasferimento, in deroga
all’art.2112, secondo comma c.c.: ciò che il ricorrente aveva rifiutato, senza porre
alcuna legittima doglianza in ordine
alla violazione delle norme denunciate.
Sicché,
in applicazione dell’art. 384, primo comma c.p.c., la Suprema Corte ha
enunciato il seguente principio di diritto: "Nell’ipotesi di cessione d’azienda, ai sensi degli artt.63 del D.Lgs. n.270/1999
e 47 della Legge n.428/1990, con trasferimento parziale dei lavoratori
dipendenti al cessionario, la rinuncia alla sua solidarietà per le obbligazioni
anteriori ad esso quale condizione per la prosecuzione del rapporto di lavoro
con il cessionario, oggetto di previsione dell’accordo concluso ai sensi
dell’art.47 della Legge n.428/1990, costituisce deroga consentita all’art. 2112
c.c.”.
La
Suprema Corte ha poi ritenuto inammissibile la censura sollevata dal ricorrente
sul mancato annullamento del verbale di conciliazione sindacale, sottoscritto
in stato di incapacità naturale o per induzione in errore essenziale.
Per
tutte le considerazioni sin qui riportate, la Cassazione ha concluso rigettando
il ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.19282 del 22 settembre 2011; Cass., Sentenza n.5929 del 5
marzo 2008;
2)
-
c.d. "lunga" in relazione al D.M. Lavoro e Previdenza Sociale del 18
giugno 2006;
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