Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


giovedì 9 ottobre 2014

Svolgimento di altra attività lavorativa incompatibile con lo stato di malattia

Nella sentenza n.21093 del 07 ottobre 2014, la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sulla questione della legittimità del licenziamento irrogato ad un dipendente sorpreso a svolgere, in concomitanza con l’assenza per malattia, altra attività lavorative in favore di terzi.

Nel caso di specie il dipendente era stato licenziato dopo essere stato sorpreso a svolgere, durante la malattia, un’attività lavorativa nell’azienda di un suo familiare.

Il lavoratore aveva impugnato il recesso dinnanzi al Tribunale di Napoli che, però, ne aveva rigettato la domanda.

Contro questa sentenza, il dipendente aveva proposto appello, deducendo che il giudice del primo grado avesse ritenuto configurata la giusta causa di risoluzione del rapporto nonostante, a suo dire, l’azienda non avesse provato l'esistenza di un’altra attività svolta   dolosamente   in costanza della malattia.

Confermando quanto disposto dal Tribunale partenopeo, anche la Corte di Appello di Napoli aveva rigettato il gravame.

A questo punto, il lavoratore aveva ricorso in Cassazione, sostenendo che,  pur in costanza di malattia,  la concomitante prestazione gratuita in favore di familiari  non possa considerarsi contraria ai doveri inerenti al rapporto di lavoro.

A detta del ricorrente, infatti, la sua depressione psichica sarebbe stata  compatibile con la suddetta attività estranea al rapporto di lavoro ed anzi funzionale alla guarigione, dal momento che, nella specie, egli era stato sorpreso a svolgere piccoli lavori, quali la riparazione di un ventilatore.

Il dipendente, inoltre, aveva evidenziato che lo svolgimento di altra attività lavorativa durante l’assenza per malattia, documentata con certificato medico, possa costituire un legittimo motivo di licenziamento disciplinare solo nei casi seguenti:

-         simulazione della lamentata inabilità temporanea assoluta;
-         condotta che possa  compromettere o ritardare la  guarigione;
-         svolgimento di un'attività oggettivamente incompatibile con lo stato di malattia;
-         espletamento di prestazioni in contrasto con il divieto di concorrenza.

Investita della questione, la Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure avanzate sull’impugnata sentenza.

Gli ermellini hanno sottolineato come  la Corte del merito avesse correttamente osservato che la riparazione di elettrodomestici, oltre che  in contrasto con la denunciata patologia osteoarticolare, fosse parimenti incompatibile anche con la dedotta depressione, per via della costante focalizzazione dell'attenzione e di contatti anche antagonistici con persone non conosciute, imposti al lavoratore dall’ulteriore attività di sorveglianza "antitaccheggio" resa in favore del familiare.

La Cassazione ha poi ricordato che, nonostante sia il  datore di lavoro a dover fornire la prova, nella specie ampiamente assolta, dello svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente ammalato, tuttavia, della prova che tale diversa attività lavorativa sia compatibile con lo stato di malattia risulta gravato, invece, il lavoratore. Prova che, nella specie, non era stata per nulla fornita.

Queste, in sostanza, le ragioni che hanno indotto la Suprema Corte a disporre il rigetto del ricorso e la conseguente condanna del lavoratore al pagamento delle spese di lite, liquidate in 4.000,00 € per compensi, 100,00 € per esborsi, oltre spese generalità accessori di legge.

Valerio Pollastrini

Nessun commento:

Posta un commento