Nel
caso di specie, un agente si era rivolto
al giudice del lavoro sostenendo di aver svolto per conto del committente un’attività
di natura subordinata.
Il
Tribunale di Pisa, riconosciuta la sussistenza del vincolo di subordinazione nel
rapporto intercorso tra le parti, aveva condannato l’azienda a risarcire il danno
subito dal lavoratore licenziato, con conseguente onere di reintegrazione.
Successivamente,
la Corte di Appello di Firenze aveva respinto il gravame della società,
precisando che, sulla base di quanto emerso dall’istruttoria, l’attività
prevalente svolta dal lavoratore fosse stata quella di informazione
medico-scientifica e non di agente di commercio.
Contro
questa sentenza, l’azienda aveva adito la Cassazione, contestando il procedimento
logico con il quale il giudice dell’Appello, rilevandone la corrispondenza con
la fattispecie disciplinata dal contratto collettivo nazionale di riferimento, aveva ritenuto implicitamente che il rapporto
avente ad oggetto la prestazione dell’informatore scientifico dovesse essere
ricondotto necessariamente ad un rapporto di tipo subordinato.
A
detta del ricorrente, in sostanza, la Corte del merito avrebbe omesso di
considerare che l’espletamento dell’attività di promozione delle vendite presso
le farmacie fosse un preciso obbligo assunto dall’agente.
L’azienda,
inoltre, aveva dedotto che il carattere autonomo della prestazione lavorativa
non fosse incompatibile con la soggezione della stessa a determinati controlli
o direttive da parte del committente, il quale aveva retribuito l’agente sempre
con delle provvigioni.
Infine,
la ricorrente aveva chiesto alla Cassazione di accertare se il rapporto tra
un’azienda farmaceutica ed un informatore scientifico, regolato con un
contratto di agenzia con plurimandato, caratterizzato dal pagamento di compensi
a provvigioni, da assenza di rimborso spese, dall’insussistenza di orari di
lavoro e di obbligo di giustificare le assenze, dalla libertà di scelta di
itinerari e medici da visitare e da previsione di relazioni periodiche sull’attività
svolta, sia di natura autonoma o, di contro, subordinato.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure mosse dalla
ricorrente.
Nel
formulare il quesito di diritto, infatti, l’azienda si era limitata a porre in
risalto quelle caratteristiche del rapporto che, a suo giudizio, avrebbero
dovuto attestare la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo, senza
spiegare, però, le ragioni per le quali i giudici del merito avrebbero errato nell’attribuire, invece,
rilievo all’attività prevalente di informatore medico-scientifico svolta dal
lavoratore ai fini della qualificazione del rapporto.
Gli
ermellini hanno quindi proseguito osservando come, all’esito delle prove orali,
i giudici d’appello avessero accertato
che, contrariamente alla formale qualificazione del rapporto di agenzia, l’attività prevalente richiesta al lavoratore
fosse, alla stregua di quanto previsto
dal contratto collettivo nazionale per l’industria chimica, quella
dell’informatore dipendente di azienda farmaceutica, a nulla rilevando il
limitato margine di autonomia di cui il medesimo godeva nel decidere di
ampliare la lista dei sanitari da visitare rispetto a quella predisposta dal
datore di lavoro.
Sempre
la Corte del merito, inoltre, aveva evidenziato
altri aspetti del rapporto che ne
avevano consentito la corretta qualificazione nell’alveo della subordinazione.
Il
lavoratore, infatti, era tenuto a rendere conto del proprio operato periodicamente
ad un capo-area, circostanza che, unitamente
al tipo di compenso erogato, avevano palesato il suo stabile inserimento
nell’impresa.
In
base a tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha concluso con il
rigetto del ricorso.
Valerio
Pollastrini
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