Il
caso di specie è giunto all’attenzione degli ermellini dopo che la Corte di Appello
di Ancona aveva confermato la decisione con la quale il Tribunale del primo
grado aveva rigettato la domanda
proposta da una lavoratrice nei confronti della Regione Marche e
dell’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno, relativa all’accertamento
della condotta mobbizzante posta in essere ai suoi danni dall’Amministrazione,
che l’aveva destinata ad incarichi dequalificanti, non equivalenti a quello
dirigenziale precedentemente ricoperto.
La
Corte anzidetta aveva osservato:
-
che la Scuola Regionale Commerciale di Ascoli Piceno cui era preposta in
precedenza la ricorrente non era più operativa, essendone stata mutata la
destinazione;
-
che l’assegnazione della lavoratrice al coordinamento di attività corsuali
presso la Scuola Regionale Professionale Alberghiera e il successivo
trasferimento presso la Scuola Industriale non avevano comportato il di lei
demansionamento, posto che i nuovi incarichi erano riconducibili alla qualifica
funzionale di funzionario di ottavo livello, di cui la medesima era in
possesso;
-
che, ai sensi dell’art.3, comma 2, del CCNL Comparto delle Regioni ed Autonomie
Locali del 31 marzo 1999 (1), erano
esigibili dai dipendenti tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria,
sempre che fossero professionalmente equivalenti;
-
che, peraltro, la lavoratrice, nello svolgimento delle precedenti mansioni, si
era resa inadempiente all’obbligo di redazione e chiusura del conto consuntivo,
nonostante fosse stata deliberata la chiusura della Scuola Regionale
Commerciale;
-
che l’Amministrazione, pur agendo con la capacità e i poteri del datore di
lavoro privato, doveva tuttavia assicurare la rispondenza al pubblico interesse
dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi di efficienza,
efficacia ed economicità della pubblica amministrazione.
La
Corte del merito, infine, aveva escluso che i superiori della ricorrente
avessero tenuto nei suoi confronti condotte vessatorie.
Contro
questa sentenza la dipendente aveva adito la Cassazione, deducendo l’errata
valutazione compiuta dalla Corte di merito nell’escludere che l’attribuzione
dei nuovi incarichi avesse determinato una dequalificazione.
La
lavoratrice, infatti, aveva sostenuto che con il suo trasferimento presso la
Scuola Industriale sarebbe stata privata
di ogni mansione, oltre che sottoposta ad altra dipendente di grado
inferiore.
Tali
circostanze, a detta della ricorrente, avrebbero configurato una dequalificazione
vera e propria e sarebbero ben diverse dalla legittima assegnazione a mansioni
rientranti nella declaratoria contrattuale di inquadramento.
La
lavoratrice, inoltre, aveva sottolineato che l’Amministrazione aveva disposto tali nuovi incarichi senza aver adottato
un provvedimento di revoca dal precedente ruolo di direttrice della Scuola
Regionale Commerciale, circostanza questa che comporterebbe il mantenimento di tale qualifica
e che renderebbe illegittimi i conferimento di detti incarichi.
Questi,
in sostanza, i comportamenti che, ad avviso della ricorrente, le avevano
provocato l’insorgere di una grave
sindrome depressiva, con conseguente danno da mobbing.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure mosse dalla
ricorrente.
Secondo
i consolidati principi formulati dalla giurisprudenza (2), per mobbing
deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico,
sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente
nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati
comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di
persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e
l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico
e del complesso della sua personalità.
Ai
fini della configurabilità di tale condotta sono, pertanto, rilevanti:
a)
la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche
leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo
miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento
vessatorio;
b)
l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
c)
il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il
pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;
d)
la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
A
proposito degli elementi appena richiamati, la cui prova è a carico del
lavoratore, la Cassazione ha osservato come, nella specie, gli stessi fossero
rimasti assolutamente indimostrati, in quanto
la ricorrente, al di là dei dedotti provvedimenti asseritamente
dequalificanti, non aveva nemmeno specificato le circostanze di luogo e di tempo
in cui si sarebbero verificati i comportamenti vessatori.
Quanto
alla dedotta dequalificazione, la Corte territoriale aveva poi rilevato che, a
seguito della inoperatività, per effetto della mutata destinazione, della
Scuola Regionale Commerciale cui era preposta in precedenza la ricorrente,
costei era stata assegnata ad altri incarichi, senza che ciò avesse comportato il
di lei demansionamento, posto che essi erano riconducibili alla qualifica
funzionale di funzionario di ottavo livello, di cui la medesima era in
possesso, e che, ai sensi della richiamata norma del Contratto Collettivo erano
esigibili dai dipendenti tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria,
sempre che professionalmente equivalenti.
Nel
maturare il proprio convincimento, la Corte del merito, inoltre, aveva
applicato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui,
in tema di pubblico impiego privatizzato, l'art.52, comma 1, del D.Lgs. n.165
del 30 marzo 2001, che sancisce il diritto all’adibizione alle mansioni per le
quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito un concetto di equivalenza
"formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva
(indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal
giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le
mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal
senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla
professionalità acquisita (3).
Infine,
gli ermellini hanno rilevato l’infondatezza della censura relativa alla mancata
adozione del provvedimento formale di revoca del precedente incarico.
L’assegnazione
di un dipendente ad un nuovo incarico, peraltro nella specie giustificata dalla
mutata destinazione dell’Ente cui la ricorrente era preposta, non richiede la
revoca formale del precedente incarico, essendo questa implicita nel nuovo
provvedimento adottato.
Per
tutte le considerazioni sin qui richiamate, la Cassazione ha concluso con il
rigetto del ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
-
che aveva recepito il D.Lgs. n.29/1993 e successive modifiche;
2)
-
Cass., Sentenza n.3785 del 17 febbraio 2009; Cass., Sentenza n.898 del 17
gennaio 2014;
3)
-
Cass., Sentenza n.11405 dell’11 maggio 2010; Cass., Sentenza n.11835 del 21
maggio 2009; Cass., Sentenza n.182839 del 5 agosto 2010;
Nessun commento:
Posta un commento