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sabato 25 ottobre 2014

Pubblico impiego privatizzato - Demansionamento – Mobbing

Nella sentenza n.22535 del 23 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha ricordato gli elementi utili ai fini della configurazione del mobbing.

Il caso di specie è giunto all’attenzione degli ermellini dopo che la Corte di Appello di Ancona aveva confermato la decisione con la quale il Tribunale del primo grado  aveva rigettato la domanda proposta da una lavoratrice nei confronti della Regione Marche e dell’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno, relativa all’accertamento della condotta mobbizzante posta in essere ai suoi danni dall’Amministrazione, che l’aveva destinata ad incarichi dequalificanti, non equivalenti a quello dirigenziale precedentemente ricoperto.

La Corte anzidetta aveva osservato:

- che la Scuola Regionale Commerciale di Ascoli Piceno cui era preposta in precedenza la ricorrente non era più operativa, essendone stata mutata la destinazione;

- che l’assegnazione della lavoratrice al coordinamento di attività corsuali presso la Scuola Regionale Professionale Alberghiera e il successivo trasferimento presso la Scuola Industriale non avevano comportato il di lei demansionamento, posto che i nuovi incarichi erano riconducibili alla qualifica funzionale di funzionario di ottavo livello, di cui la medesima era in possesso;

- che, ai sensi dell’art.3, comma 2, del CCNL Comparto delle Regioni ed Autonomie Locali del 31 marzo 1999 (1), erano esigibili dai dipendenti tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, sempre che fossero professionalmente equivalenti;

- che, peraltro, la lavoratrice, nello svolgimento delle precedenti mansioni, si era resa inadempiente all’obbligo di redazione e chiusura del conto consuntivo, nonostante fosse stata deliberata la chiusura della Scuola Regionale Commerciale;

- che l’Amministrazione, pur agendo con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato, doveva tuttavia assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità della pubblica amministrazione.

La Corte del merito, infine, aveva escluso che i superiori della ricorrente avessero tenuto nei suoi confronti condotte vessatorie.

Contro questa sentenza la dipendente aveva adito la Cassazione, deducendo l’errata valutazione compiuta dalla Corte di merito nell’escludere che l’attribuzione dei nuovi incarichi avesse determinato una dequalificazione.

La lavoratrice, infatti, aveva sostenuto che con il suo trasferimento presso la Scuola Industriale sarebbe stata privata  di ogni mansione, oltre che sottoposta ad altra dipendente di grado inferiore.

Tali circostanze, a detta della ricorrente, avrebbero configurato una dequalificazione vera e propria e sarebbero ben diverse dalla legittima assegnazione a mansioni rientranti nella declaratoria contrattuale di inquadramento.

La lavoratrice, inoltre, aveva sottolineato che l’Amministrazione aveva  disposto tali nuovi incarichi senza aver adottato un provvedimento di revoca dal precedente ruolo di direttrice della Scuola Regionale Commerciale, circostanza questa che  comporterebbe il mantenimento di tale qualifica e che renderebbe illegittimi i conferimento di detti incarichi.

Questi, in sostanza, i comportamenti che, ad avviso della ricorrente, le avevano provocato  l’insorgere di una grave sindrome depressiva, con conseguente danno da mobbing.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure mosse dalla ricorrente.

Secondo i consolidati principi formulati dalla giurisprudenza (2), per mobbing deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Ai fini della configurabilità di tale condotta sono, pertanto, rilevanti:

a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;

d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

A proposito degli elementi appena richiamati, la cui prova è a carico del lavoratore, la Cassazione ha osservato come, nella specie, gli stessi fossero rimasti assolutamente indimostrati, in quanto  la ricorrente, al di là dei dedotti provvedimenti asseritamente dequalificanti, non aveva nemmeno specificato le circostanze di luogo e di tempo in cui si sarebbero verificati i comportamenti vessatori.

Quanto alla dedotta dequalificazione, la Corte territoriale aveva poi rilevato che, a seguito della inoperatività, per effetto della mutata destinazione, della Scuola Regionale Commerciale cui era preposta in precedenza la ricorrente, costei era stata assegnata ad altri incarichi, senza che ciò avesse comportato il di lei demansionamento, posto che essi erano riconducibili alla qualifica funzionale di funzionario di ottavo livello, di cui la medesima era in possesso, e che, ai sensi della richiamata norma del Contratto Collettivo erano esigibili dai dipendenti tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, sempre che professionalmente equivalenti.

Nel maturare il proprio convincimento, la Corte del merito, inoltre, aveva applicato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di pubblico impiego privatizzato, l'art.52, comma 1, del D.Lgs. n.165 del 30 marzo 2001, che sancisce il diritto all’adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito  un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita (3).

Infine, gli ermellini hanno rilevato l’infondatezza della censura relativa alla mancata adozione del provvedimento formale di revoca del precedente incarico.

L’assegnazione di un dipendente ad un nuovo incarico, peraltro nella specie giustificata dalla mutata destinazione dell’Ente cui la ricorrente era preposta, non richiede la revoca formale del precedente incarico, essendo questa implicita nel nuovo provvedimento adottato.

Per tutte le considerazioni sin qui richiamate, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

 
1)      - che aveva recepito il D.Lgs. n.29/1993 e successive modifiche;
2)      - Cass., Sentenza n.3785 del 17 febbraio 2009; Cass., Sentenza n.898 del 17 gennaio 2014;
3)      - Cass., Sentenza n.11405 dell’11 maggio 2010; Cass., Sentenza n.11835 del 21 maggio 2009; Cass., Sentenza n.182839 del 5 agosto 2010;

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