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sabato 25 ottobre 2014

Le dichiarazioni rese agli ispettori costituiscono fonte di prova in giudizio

Nella sentenza n.43807 del 21 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha ricordato che, in sede di giudizio, le dichiarazioni rese agli ispettori possono essere utilizzate come fonte di prova.

La vicenda in commento è giunta in cassazione dopo che il Tribunale di Udine aveva condannato  il presidente di un circolo privato  alla pena di  1.200,00 € per avere occupato una lavoratrice notturna in assenza di preventiva visita medica di idoneità (1).

Il Tribunale era pervenuto ad una simile decisione sulla base della documentazione trasmessa dal Pubblico Ministero ed, in particolare,  dal verbale contenente le dichiarazioni rese agli Ispettori del Lavoro dalla donna la sera stessa dell'ispezione nel locale, nonché le affermazioni dell'imputato.

Contro questa sentenza, l’imputato aveva adito la Cassazione, dolendosi innanzitutto del fatto che il giudice avesse utilizzato le dichiarazioni rese durante le indagini preliminari da una teste mai sentita in dibattimento.

L’imputato, inoltre, aveva denunciato il vizio di motivazione perché, in dibattimento, una teste  aveva dichiarato che nel circolo non esistevano né orari, né dipendenti, né stipendi e che la somma di  500,00 € veniva data alla donna a titolo di donazione da un socio e non come retribuzione.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso  infondato.

Nella premessa, gli ermellini hanno ricordato che il verbale dell'ispettore del lavoro non costituisce mera informativa di reato ai sensi dell'art.347 cod. proc. pen., poiché contiene l'accertamento o la descrizione di una situazione di fatto suscettibile di modifica nel tempo, per effetto di comportamenti umani o di eventi naturali.

Esso, pertanto, rientra tra gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria (2) e come tale, va inserito nel fascicolo per il dibattimento e ne va data lettura a richiesta di parte o su iniziativa del giudice (3), essendo utilizzabile come fonte di prova (4).

La Suprema Corte ha poi rilevato che, in ogni caso, dalla sentenza impugnata risultava che la colpevolezza dell'imputato era stata affermata non esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese all'ispettore del lavoro in occasione del controllo dalla lavoratrice, ma anche sulla scorta delle affermazioni dello stesso imputato nella parte in cui "ha ammesso che la ragazza in questione riceveva periodicamente una somma di danaro", mentre invece erano state ritenute prive di riscontro probatorio le ulteriori precisazioni (e cioè che si trattava di un contributo versato per conto di un socio ammiratore della ragazza che non voleva figurare direttamente).

Di conseguenza, la Cassazione ha ritenuto non meritevole di censura l’impugnata sentenza che, con riferimento alle dichiarazioni rese sia dalla  donna che dall’imputato, aveva desunto l'esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato.

Valerio Pollastrini

(1)   - di cui all'art.14, comma 1, del D.Lgs. n.66/2003;
(2)   – di cui all’art.431, lett. b), cod. proc. pen.;
(3)   - art.511, primo comma, cod. proc. pen.;
(4)   – Cass., Sentenza n.7083 del 26 aprile 1994;

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