La
vicenda in commento è giunta in cassazione dopo che il Tribunale di Udine aveva
condannato il presidente di un circolo
privato alla pena di 1.200,00 € per avere occupato una lavoratrice
notturna in assenza di preventiva visita medica di idoneità (1).
Il
Tribunale era pervenuto ad una simile decisione sulla base della documentazione
trasmessa dal Pubblico Ministero ed, in particolare, dal verbale contenente le dichiarazioni rese
agli Ispettori del Lavoro dalla donna la sera stessa dell'ispezione nel locale,
nonché le affermazioni dell'imputato.
Contro
questa sentenza, l’imputato aveva adito la Cassazione, dolendosi innanzitutto
del fatto che il giudice avesse utilizzato le dichiarazioni rese durante le
indagini preliminari da una teste mai sentita in dibattimento.
L’imputato,
inoltre, aveva denunciato il vizio di motivazione perché, in dibattimento, una
teste aveva dichiarato che nel circolo
non esistevano né orari, né dipendenti, né stipendi e che la somma di 500,00 € veniva data alla donna a titolo di
donazione da un socio e non come retribuzione.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato.
Nella
premessa, gli ermellini hanno ricordato che il verbale dell'ispettore del
lavoro non costituisce mera informativa di reato ai sensi dell'art.347 cod.
proc. pen., poiché contiene l'accertamento o la descrizione di una situazione
di fatto suscettibile di modifica nel tempo, per effetto di comportamenti umani
o di eventi naturali.
Esso,
pertanto, rientra tra gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia
giudiziaria (2) e come tale, va
inserito nel fascicolo per il dibattimento e ne va data lettura a richiesta di
parte o su iniziativa del giudice (3), essendo utilizzabile come fonte di
prova (4).
La
Suprema Corte ha poi rilevato che, in ogni caso, dalla sentenza impugnata
risultava che la colpevolezza dell'imputato era stata affermata non
esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese all'ispettore del lavoro in occasione
del controllo dalla lavoratrice, ma anche sulla scorta delle affermazioni dello
stesso imputato nella parte in cui "ha
ammesso che la ragazza in questione riceveva periodicamente una somma di danaro",
mentre invece erano state ritenute prive di riscontro probatorio le ulteriori
precisazioni (e cioè che si trattava di un contributo versato per conto di un
socio ammiratore della ragazza che non voleva figurare direttamente).
Di
conseguenza, la Cassazione ha ritenuto non meritevole di censura l’impugnata sentenza
che, con riferimento alle dichiarazioni rese sia dalla donna che dall’imputato, aveva desunto l'esistenza
tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
di cui all'art.14, comma 1, del D.Lgs. n.66/2003;
(2)
–
di cui all’art.431, lett. b), cod. proc. pen.;
(3)
-
art.511, primo comma, cod. proc. pen.;
(4)
–
Cass., Sentenza n.7083 del 26 aprile 1994;
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