In
relazione al caso di specie, la Suprema Corte ha rilevato d'ufficio che la
sentenza impugnata recava della condanna degli appellati, singolarmente per il
periodo di tempo in cui avevano intrattenuto il rapporto di lavoro con la
dipendente ricorrente, al versamento dei contributi agli Enti Previdenziali, e
che il predetto Ente Previdenziale non era stato parte in causa nel giudizio in
questione, sicché la condanna ora detta deve qualificarsi come emessa nei
confronti di terzo.
Ciò
premesso, gli ermellini hanno rilevato,
in linea generale, che i contributi sono dovuti dall’azienda in ragione della
sussistenza del rapporto lavorativo e che, tuttavia, è esclusa una pronuncia di
pagamento in favore del dipendente, che, invece, ha diritto, ove ne siano
maturati i presupposti, alla costituzione della rendita ex art.13 della Legge
n.1338/1962 o all'azione di risarcimento danni ex art.2116 cod. civ. (1).
In
proposito, la Cassazione ha precisato che, peraltro, l'interesse del lavoratore
al versamento dei contributi, espressione del diritto soggettivo alla posizione
assicurativa, è indubitabile, nonostante lo stesso non si identifichi con il diritto
spettante all'Istituto Previdenziale, né possa configurarsi come una posizione
di contitolarità in tale diritto e ancor meno di solidarietà attiva (2).
Il
suddetto interesse del dipendente, in
sostanza, è connesso con il diritto di
credito dell'Istituto, sia geneticamente, perché originato dal medesimo fatto,
e cioè la costituzione del rapporto di lavoro, sia funzionalmente, in quanto attraverso
l'adempimento del debito contributivo viene a realizzarsi anche la
soddisfazione del diritto alla posizione assicurativa.
La
giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha attestato il diritto del lavoratore alla
regolarizzazione contributiva, stabilendo, nel caso di sua violazione (3), che, ove il
lavoratore abbia dato comunicazione dell'omissione contributiva del datore di
lavoro al competente Ente Previdenziale e quest'ultimo non abbia provveduto a
conseguire i contributi omessi, lo stesso Ente, in quanto obbligato,
nell'ambito del rapporto giuridico con l'interessato, alla diligente
riscossione di un credito che, ancorché proprio, vale a soddisfare il diritto
costituzionalmente protetto del lavoratore, è tenuto a provvedere alla
regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore medesimo, ove a
quest'ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita ex art.13
della Legge n.1338/1962 o all'azione di risarcimento danni ex art.2116 c. c..
La
Suprema Corte ha proseguito sottolineando che la sussistenza del suddetto
interesse del lavoratore, ed il riconoscimento della regolarizzazione della sua
posizione contributiva, confermano il riconoscimento da parte dell'ordinamento
della facoltà del dipendente di chiamare in causa l’azienda e l'Ente Previdenziale,
convenendoli entrambi in giudizio, al fine di accertare l'obbligo contributivo
della prima ed ottenerne la condanna al versamento dei contributi nei confronti
del secondo.
La
Cassazione ha quindi precisato come, per converso, resta esclusa per ragioni
processuali la possibilità per il lavoratore di agire per ottenere una condanna
del datore al pagamento dei contributi nei confronti dell'INPS che non sia
stato chiamato in causa, stante la generale esclusione dei provvedimenti nei
confronti di terzo.
Di
regola, infatti, il processo deve svolgersi tra tutti coloro che sono parti del
rapporto sostanziale dedotto, i quali hanno diritto ad interloquire sulle
questioni che li riguardano, e il provvedimento che definisce il processo
produce i suoi effetti solo nei confronti delle parti e loro aventi causa,
mentre una pronuncia in favore di terzo può essere ammessa solo in alcuni casi
eccezionali.
Conseguentemente,
la Corte ha concluso affermando che, in
caso di omissione contributiva, il lavoratore può chiedere la condanna del
datore di lavoro al pagamento dei contributi in favore dell'Ente Previdenziale
solo se quest'ultimo sia parte nel medesimo giudizio, restando esclusa in
difetto l'ammissibilità di tale pronuncia.
Valerio
Pollastrini
1)
–
Cass., Sentenza n.3491 del 14 febbraio 2014; Cass., Sentenza n. 26990 del 7
dicembre 2005;
2)
–
Cass., Sentenza n.7104 del 10 giugno 1992;
3)
–
Cass., Sentenza n.7459 del 21 maggio 2002;
Nessun commento:
Posta un commento