Detta
prova, in sostanza, esclusa la rilevanza della mera possibilità di una
concentrazione di fibre qualificata, risulta perfezionata solamente in presenza di un elevato grado probabilistico.
Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Bologna, riformando la pronuncia del
Tribunale, aveva riconosciuto il diritto del lavoratore ad usufruire dei
benefici di cui all’art.13, comma 8, della Legge n.257/1992 ed aveva condannato
l’Inps ad applicare l’accredito contributivo determinato moltiplicando per il
coefficiente 1,5 il periodo lavorativo intercorrente tra il 29 gennaio 1963 ed
il 6 luglio 1976.
Attraverso
le risultanze della disposta Consulenza Tecnica, la Corte territoriale aveva accertato
che, nell’indicato periodo ultradecennale, l’operaio, addetto al reparto
filatura di un’azienda produttrice di filati sintetici, era stato esposto
all’amianto in misura superiore al c.d. “valore soglia” indicato nel Decreto Legislativo n.277/1991.
Avverso
tale pronuncia, l’Istituto aveva proposto ricorso per Cassazione, rilevando come
sia la predetta Consulenza Tecnica che i successivi chiarimenti resi dal perito
avessero evidenziato che, nonostante l’esposizione patita dal lavoratore fosse
stata sicuramente possibile e probabilmente superiore al livello di 100 fibre
litro, avevano valutato tale livello probabilistico
come di “significatività contenuta”, stimata nella misura del 51/54% e, quindi,
ben distante da quell’elevato grado di probabilità in base al quale potrebbe
dirsi raggiunta la prova dell’esposizione qualificata all’amianto.
Richiamando
le ragioni precedentemente esposte in
analoga controversia, la Suprema Corte ha ritenuto la doglianza fondata (1).
Innanzitutto,
gli ermellini hanno ricordato che, in linea generale, il fatto costitutivo del
diritto ad usufruire dei benefici di cui all’art.13, comma 8, della Legge n.257/1992,
non si identifica con la mera durata
ultradecennale di una attività lavorativa svolta in un luogo in cui sia presente l’amianto, bensì attraverso l’esposizione del dipendente al rischio di
ammalarsi a causa dell’inspirazione decennale
di fibre di amianto presenti in quantità
superiore ai valori limite prescritti dal Decreto Legislativo n.277/1991.
Di
conseguenza, un accertamento giudiziale
che evidenzi la semplice durata di quell’attività senza attestarne il rischio
effettivo, omettendo così l’apprezzamento di una esposizione “qualificata”,
non è sufficiente ai fini del riconoscimento del diritto al beneficio
contributivo.
Secondo
l’orientamento predominante espresso dalla giurisprudenza di legittimità, la
prova, che grava sul lavoratore, dell’esposizione all’amianto in misura
superiore alle soglie previste dalla legge deve essere valutata in termini di
ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera
possibilità di una concentrazione di fibre qualificata, questa può essere
ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità (2).
Al
termine di questa premessa, gli ermellini hanno osservato come, sconfessando
l’opinione espressa dal giudice del primo grado, la Corte territoriale avesse
ritenuto raggiunta la prova dell’esposizione qualificata in virtù della
Consulenza Tecnica di Ufficio.
La
relazione peritale aveva specificato che, per tutto il periodo considerato, l’esposizione
del lavoratore doveva ritenersi sicuramente possibile e probabilmente superiore
al livello delle 100 fibre annuo, tuttavia, tale livello di probabilità, date
le condizioni specifiche delineate, appariva di significatività contenuta.
Il
perito aveva ulteriormente specificato che l’esposizione concretizzatasi in
termini di concentrazione ambientale stimata media, fibre/cc-ambiente, fosse
pertanto possibile e probabile, anche se tale probabilità positiva appariva
quantificabile in termini di contenuta positiva significatività (51 – 54%).
Detto
ciò, la Cassazione ha ritenuto insufficiente la motivazione espressa dai
giudici di appello in ordine all’accertamento di un fatto decisivo per il
giudizio, mediante l’adesione alle risultanze della Consulenza Tecnica citata, atteso che la censurata motivazione non era
stata in grado di spiegare come un giudizio probabilistico di “contenuta significatività”,
stimato in poco più del 50%, potesse tradursi in quel grado di “elevata
probabilità”, qualificato come necessario dalla giurisprudenza di legittimità sopra
espressa.
Per
tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.4579/2012;
2)
-
Cass., Sentenza n.19456/2007; Cass., Sentenza n.10390/2009; Cass., Sentenza n.4579/2012;
Cass., Sentenza n.16119/2005; Cass.,
Sentenza n.4898/2010;
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