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giovedì 23 ottobre 2014

Per la corretta qualificazione del rapporto le circostanze fattuali prevalgono sulla forma

Nella sentenza n.22289 del 21 ottobre 2014,  la Corte di Cassazione ha ribadito che, al di là del nomen iuris attribuito al contratto di lavoro, la subordinazione  può essere riscontrata nelle effettive modalità di esecuzione della prestazione.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva accolto la domanda con la quale un lavoratore aveva chiesto l’accertamento della natura subordinata del rapporto rubricato formalmente come autonomo.

La Corte di Appello, tuttavia, aveva disposto in favore del lavoratore il diritto a percepire il compenso relativo ad un rapporto di lavoro a progetto.

Dalle risultanze dell’istruttoria, infatti, la Corte del merito aveva escluso che il lavoratore fosse riuscito a provare la sussistenza di un rapporto diverso da quello di consulenza professionale parasubordinata e, pertanto, aveva escluso la pretesa natura subordinata del contratto.

Contro questa sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, lamentando che la Corte di Appello avrebbe escluso la subordinazione attribuendo erroneamente valore decisivo al nomen iuris del contratto intercorso tra le parti, ignorando  la mancata indicazione nel contratto a progetto del relativo programma di lavoro e non considerando le risultanze processuali sulle effettive caratteristiche della prestazione lavorativa, così come emerse dalle deposizioni testimoniali che, se tenute in debito conto, avrebbero condotto ad una diversa pronunzia in ordine alla configurazione giuridica dello stesso rapporto.

In particolare, il ricorrente aveva sostenuto che, in considerazione delle attività intellettuali ad oggetto del rapporto in esame, la Corte territoriale, ai fini di una corretta applicazione dell’art.2094 c.c., avrebbe dovuto  considerare i c.d. elementi sussidiari o complementari della subordinazione, da valutare complessivamente.

Investita della questione, gli ermellini hanno ritenuto fondate le censure mosse dal ricorrente, precisando che il giudice dell’appello aveva escluso la dipendenza del lavoratore attraverso la semplice constatazione del nomen iuris del contratto intervenuto tra le parti, senza tener conto che tale elemento rappresenta  solamente uno degli elementi di valutazione per qualificarne la natura, dovendosi, invece, inquadrare giuridicamente il rapporto stesso sulla base delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa.

Sul punto, la Cassazione ha ricordato che, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, la volontà delle parti ed il nomen iuris non costituiscono fattori assorbenti.

A tal fine, infatti, assume una rilevanza decisiva  il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto, elemento necessario per l'accertamento di una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione del rapporto e diretta a modificare singole clausole contrattuali e, talora, la stessa natura del rapporto inizialmente prevista.

Si tratta di un principio ignorato nella specie dalla Corte del merito che, nel riferirsi al progetto di lavoro, aveva evidenziato che lo stesso appariva sufficientemente enunciato nel contratto sottoscritto dalle parti, nel quale il corrispettivo risultava congruamente commisurato.

Gli ermellini, però, hanno precisato che, anche nel contratto di lavoro a progetto (1), il nomen iuris non può assumere un valore preminente rispetto alla disamina di un eventuale diverso comportamento tenuto dalle parti successivamente alla conclusione del contratto.

A questo proposito, la Suprema Corte ha ricordato  che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo e che l'elemento  che contraddistingue il primo dal secondo è costituito dall’assoggettamento del prestatore ai poteri organizzativo, direttivo e disciplinare  del datore di lavoro.

In relazione alle difficoltà che sovente si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, occorre osservare che la giurisprudenza di legittimità è solita avvalersi di criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale, ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito.

Queste, in sostanza, le ragioni che hanno indotto la Suprema Corte a cassare la sentenza impugnata e a disporre il rinvio del procedimento alla Corte di Appello, la cui nuova valutazione dovrà tener conto dei principi sopra richiamati e di tutte le istruttorie non valutate.

Valerio Pollastrini

1)      – di cui all’art.61 del D.Lgs. n.276 del 10 settembre 2003;

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