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martedì 21 ottobre 2014

Infortunio sul lavoro – Solo il rischio elettivo assolve il datore

Nella sentenza n.21647 del 14 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di infortunio, la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa solo se l’incidente sia stato causato da una condotta anomala ed imprevedibile assunta dal dipendente.

Il caso di specie è giunto in Cassazione dopo che la Corte di Appello di Trieste, confermando quanto disposto dal Tribunale di primo grado, aveva rigettato la domanda di regresso proposta dall’INAlL nei confronti di un’azienda,  finalizzata al recupero di quanto pagato dall’Istituto in conseguenza dell’infortunio sul lavoro subito da un dipendente.

Dalle prove raccolte, la Corte del merito aveva accertato che il dipendente era caduto dal tetto di un capannone, alto 8-10 metri, mentre era intento a riparare  il foro di un camino che era stato tolto.

Si trattava di una prestazione nella quale l’infortunato  era esperto, avendola svolta in altre occasioni e per la quale aveva ricevuto l’ordine di realizzare un camminamento sino al punto in cui intervenire.

Inoltre, era stato appurato che il punto della caduta era molto distante dai camminamenti, posti a fianco, e che nel sito non vi erano parapetti o impalcati, ma soltanto un parapetto naturale costituito dalla struttura stessa, nonché che l’evento si era verificato in una fase del tutto iniziale di approntamento dei camminamenti, nella quale non era stato ancora possibile creare la struttura su cui agganciare le cinture di sicurezza.

Lo stesso infortunato, infatti, aveva riferito di essersi incamminato dove non vi era ancora il camminamento a tavoloni nella suddetta fase di preparazione e di essersi allontanato diversi metri rispetto al punto in cui egli stesso aveva predisposto le misure di sicurezza.

Secondo la Corte del merito, pertanto, appariva con tutta evidenza che il lavoratore aveva disatteso l’ordine ricevuto di realizzare un camminamento fino al punto in cui intervenire, allontanandosi inopinatamente da dove aveva predisposto le misure di sicurezza.

Tale ultima circostanza aveva indotto il giudice dell’appello ad escludere l’applicabilità dell’azione di regresso invocata dall’INAIL, perché, a quanto emerso dagli atti, non era stato ancora possibile approntare l'ancoraggio delle cinture di sicurezza.

Avverso detta sentenza, l’azienda aveva adito la Cassazione, lamentando che il comportamento adottato dall’infortunato non poteva essere configurato come condotta anomala, esorbitante o atipica (c.d. rischio elettivo), sicché, anche se allo stesso fosse ascrivibile la colpa o un concorso di colpa, ciò non servirebbe ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, vista anche l’accertata inesistenza di precauzioni diverse dalle cinture di sicurezza.

Nel ritenere fondata detta censura, la Suprema Corte ha richiamato nella premessa il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale:

a)     le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il dipendente non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio, sia quando ometta di adottare le idonee misure proiettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione del l’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (1);

b)    in particolare, costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Tale genere di rischio risulta connotato dal simultaneo concorso dei seguenti elementi:

-         presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive;

-         direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali;

-          mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa (2).

Tornando al caso di  specie, gli ermellini hanno osservato come, sul punto, la Corte triestina, si era limitata a rilevare che:

a)     l’infortunato aveva riferito di essersi incamminato dove non vi era ancora il camminamento a tavoloni, nella suddetta fase di preparazione, e di essersi allontanato diversi metri da dove egli stesso aveva predisposto le misure di sicurezza;

b)    pertanto, con tutta evidenza, il lavoratore aveva disatteso l’ordine ricevuto di realizzare un camminamento fino al punto in cui intervenire, allontanandosi inopinatamente da dove aveva predisposto le misure di sicurezza.

Il Giudice dell’appello, tuttavia, aveva mancato di conformarsi ai principi precedentemente richiamati, visto che non aveva indicato le ragioni, né aveva specificato adeguatamente le modalità del suddetto allontanamento dal camminamento predisposto.

In sostanza, la Corte del merito  non aveva chiarito se nella condotta del dipendente fossero, in concreto, rinvenibili tutti gli elementi per configurarla come abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, circostanze idonee ad esonerare il datore di lavoro da ogni responsabilità rispetto all'infortunio, o se, invece, l’incidente si fosse verificato per colpa esclusiva o concorrente del lavoratore, situazione che non esclude detta responsabilità datoriale.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata ed ha rinviato la questione alla Corte di Appello di Venezia che, al fine di definire la controversia, dovrà attenersi ai principi sin qui espressi.

Valerio Pollastrini

 
1)      - Cass., Sentenza n.19494 del 10 settembre 2009; Cass., Sentenza n.9689 del 23 aprile 2009; Cass., Sentenza n.4656 del 25 febbraio 2011; Cass., Sentenza n.2455 del 4 febbraio 2014;
2)      - Cass., Sentenza n.21113 del 2 ottobre 2009; Cass., Sentenza n.11417 dell’8 maggio 2009; Cass., Sentenza n.9649 del 13 giugno 2012;

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