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martedì 21 ottobre 2014

Escluse dal Tfr le mance ai croupier

Nella sentenza n.21928 del 25 giugno-16 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che le mance erogate agli impiegati delle sale da gioco non rientrano nella retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

Alcuni croupiers  del Casinò di Saint Vincent avevano adito il Tribunale di Aosta al fine di ottenere la condanna del datore di lavoro all'accantonamento nelle quote annuali del TFR di una somma pari al 75% delle mance da essi percepite.

Sia il Tribunale di primo grado, che la Corte di Appello di Torino, però, avevano rigettato la domanda.

I dipendenti avevano quindi  proposto ricorso per Cassazione

Investita della questione, la Cassazione ha premesso come, per la risoluzione della controversia sia necessario analizzare quanto disposto dall’art.2120 c.c. (1), a mente del quale "Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del calcolo del Tfr, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese".

Il primo problema, sul punto, è quello legato alla valutazione sulla sussistenza di una necessaria coincidenza tra gli importi che costituiscono reddito da lavoro dipendente ai sensi degli artt.46 e 48 del TUIR (2), nonché tra gli importi assoggettabili a contribuzione previdenziale, e la retribuzione che costituisce base di calcolo per il TFR.

In proposito, la Cassazione ha precisato che le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco rientrano, ai sensi dell'art.46 del D.P.R. n.917/1986, nella nozione di reddito, poiché esse trovano nell'esistenza del rapporto di lavoro subordinato il necessario presupposto per la loro percezione e, perciò, in quanto effettivamente corrisposte, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell'art.48, comma primo, del citato D.P.R., ancorché nella sola misura del 75 % delle stesse, in virtù del secondo comma del medesimo art.48.

Conseguentemente, gli ermellini hanno ritenuto  che le suddette mance rientrano, di per sé, nel concetto di reddito di lavoro dipendente anche ai fini contributivi, con la conseguente assoggettabilità a contribuzione nella misura del 75 % del loro importo, poiché il restante 25 per cento non è considerato utile a formare il reddito (3).

La soluzione adottata, peraltro, risulta supportata dall'art.48, comma 2, lettera i), del TUIR (4), che esclude dalla retribuzione imponibile le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco  direttamente o per effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all'interno dell'impresa nella misura del 25 % dell'ammontare percepito nel periodo d'imposta, così presupponendo che la misura residua del 75% debba esservi assoggettata.

Parimenti, la Corte aveva anche rilevato come l'incremento patrimoniale realizzato dalla  percezione delle mance rientri nel concetto di reddito, e che, considerata la derivazione dal rapporto di lavoro, ciò risulta necessario e sufficiente per determinarne l'assoggettabilità a prelievo fiscale.

Per la definizione della questione, pertanto, deve valorizzarsi il nesso di occasionalità necessaria, dal quale deriva il collegamento delle mance alla prestazione lavorativa, tale da integrare i presupposti previsti dal testo unico delle imposte sui redditi, senza però affrontare il problema della coincidenza o meno di tale nozione con quella presupposta dall'art.2120 c.c..

Quello espresso dalla Corte, infatti, è un ragionamento sorretto dalla disciplina che regola l'assoggettamento degli importi a prelievo fiscale,  improntata al concetto di reddito inteso come incremento della capacità economica, così come risulta dalla previsione della misura percentuale del 75% dell'assoggettamento degli importi, che solo in tale logica trova una sua giustificazione.

La sussistenza dell’assoggettabilità a contribuzione, inoltre, risulta confermata  sulla base dell'omogeneizzazione del concetto di reddito di lavoro dipendente ai fini fiscali e contributivi, operata dal D.Lgs. n.314 del 3 settembre 1997 (5).

Peraltro, non sussiste piena coincidenza tra la retribuzione imponibile ai fini previdenziali e la retribuzione effettiva, considerato che quella su cui commisurare la contribuzione è in via generale quella c.d. "minimale", prevista dall'art.1 del D.L. n.338 del 9 ottobre 1989 (6).

Sulla base di tale disposizione, infatti, la contribuzione deve essere commisurata alla retribuzione determinata dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, e ciò a prescindere dall' (eventualmente inferiore) retribuzione effettivamente dovuta o corrisposta al lavoratore e, quindi, indipendentemente dagli importi che nel caso siano effettivamente computabili nel TFR.

La determinazione della retribuzione imponibile, pertanto, risulta  ancorata alle logiche proprie del sistema previdenziale, improntato al principio solidaristico ed all'esigenza di uniformare il prelievo contributivo al fine di uniformare nei diversi settori gli importi delle pensioni.

La Cassazione ha quindi precisato che nel caso di specie è necessario avere riguardo alla nozione di retribuzione, quale tradizionalmente assunta nell'ambito del rapporto di lavoro, nella regolamentazione del quale si inserisce l’art.2120 c.c., essa va desunta dalla causa genetica e funzionale del contratto, e consiste, in base alla previsione dell'articolo 2099 c.c., in tutto quanto il dipendente riceva in cambio della sua prestazione di lavoro, e che si ponga con tale prestazione in nesso non di sola occasionalità necessaria, ma di corrispettività e quindi di derivazione eziologica.

Si tratta di una nozione nella quale, tuttavia, non rientrano  le mance dei croupiers.

Tali emolumenti, infatti, provengono da terzi estranei al rapporto, diversi dal soggetto tenuto all'erogazione del T.F.R. ed, inoltre, in quanto scaturite abitualmente  nei casi di vincita, non derivano esclusivamente dalla prestazione resa, ma dal gradimento che i clienti hanno tratto dalla fruizione complessiva dei servizi offerti dal Casinò, dal che ne consegue la ripartizione in parti uguali con il datore di lavoro.

Inoltre, le mance non presentano i necessari  requisiti dell'obbligatorietà e della determinatezza o determinabilità (7), considerato che il datore di lavoro non è tenuto in alcun modo a garantire che le stesse sussistano o raggiungano determinati minimi e che non risultano parametri di alcun tipo che consentano la prevedibilità ex ante della somma che sarà a tale titolo percepita o che la parametrino a elementi determinati.

Di contro, sempre a detta degli ermellini, a diverso avviso si potrebbe giungere solo nel caso in cui uno specifico accordo negoziale determinasse le condizioni perché tali emolumenti dovessero in tutto o in parte essere considerati integrativi della retribuzione, con i conseguenti effetti in relazione alle vicende del rapporto.

Più volte la Cassazione, pronunciandosi sulla specifica questione oggetto di causa, ha affermato che, se normalmente gli importi erogati da terzi non si pongono in funzione sinallagmatica della prestazione lavorativa, a diverso avviso si può giungere nei casi in cui le parti del contratto individuale o collettivo, svincolando l'erogazione dalla sua fonte e finalizzandola al regolamento del rapporto di lavoro, abbiano ad essa conferito funzione di coefficiente integrativo della retribuzione (8).

In conclusione, la Suprema Corte, confermando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (9), ha escluso la computabilità, ai fini del calcolo del TFR, di una quota forfettizzata delle mance dei "croupiers" di una casa da gioco.

Valerio Pollastrini

 
1)      - nel testo introdotto dall'art.1 della Legge n.297/1982;
2)      - nella numerazione ante-riforma del 2004, 49 e 51 post-riforma;
3)      – Cass., Sentenza n.6238 del 21 marzo 2006; Cass., Sentenza n.5698 del 12 marzo 2007; Cass., Sentenza n.12724 del 20 maggio 2008;
4)      - nel testo anteriore alla riforma del 2004, corrispondente all'art.51, comma 2, lettera i), del testo successivo alla riforma;
5)      - Legge Delega emanata con l'art.3, comma 19, della Legge n.662 del 23 dicembre 1996;
6)      - convertito in Legge n.389/1989, art.1 (come interpretato dall'art.2, comma 25, della Legge n.549 del 28 dicembre 1995;
7)      - Cass.,  Sentenza n.6963 del 23 marzo 2009; Cass., Sentenza  n.568 del 30 gennaio 1989; Cass., Sentenza  n.3288 del 19 maggio 1986;
8)      - Cass., Sentenza  n.9538 del 1° luglio 2002; Cass., Sentenza  n.8598 del 16 luglio 1992;
9)      – Cass., Sentenza n.8598 del 16 luglio 1992; Cass., Sentenza n.11502 del 04 novembre 1995; Cass., Sentenza n.1305 del 12 febbraio 1997;

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