Nel
caso di specie, un aiuto cuoca alle dipendenze di una società appaltatrice
della mensa regionale di Aosta aveva convenuto in giudizio l’azienda per ad
ottenere il risarcimento dei danni alla salute, alla vita di relazione e morale
conseguenti all’infortunio sul lavoro subito in data 13 ottobre 1998, allorché,
nell’espletamento delle proprie mansioni, era caduta dalle scale che
conducevano alla cantina.
La
Corte di Appello di Torino, confermando quanto disposto nella pronuncia del Tribunale
di primo grado, aveva rigettato il ricorso della lavoratrice.
La
Corte del merito, infatti, aveva rilevato che la domanda della ricorrente si
fondava unicamente sull’assunto che il datore di lavoro non aveva fornito ai
dipendenti le calzature antiscivolo e non aveva installato listelli antiscivolo
sulle scale, laddove, in sede istruttoria, era stato confermato che le scale
erano sufficientemente illuminate ed agevoli e che non risultavano disposizioni
di legge che imponessero l’adozione di un montacarichi, né l’installazione di
listelli antisdrucciolo, previsti solo per scale doppie o a pioli od in
presenza di liquidi o materiali putrescenti (1).
Per
tali ragioni, il giudice del gravame aveva escluso la pretesa sussistenza del
nesso di causalità con l'accaduto, atteso che la lavoratrice si era infortunata
mentre stava trasportando una cassa di bottiglie che le impediva la vista.
Contro
questa sentenza, la donna aveva adito la
Cassazione, rilevando che l’esonero totale del datore da responsabilità sarebbe
previsto solo quando la condotta del dipendente presenti i caratteri
dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento
lavorativo ed alle direttive ricevute, ovvero dell’atipicità e
dell’eccezionalità.
Sul
punto, la ricorrente aveva quindi osservato come non possa ritenersi abnorme il
comportamento di un aiuto cuoco che trasporta bottiglie dalla cucina alla
dispensa e che la mancata previsione di misure di sicurezza avrebbe necessitato
di una maggiore argomentazione a sostegno dell’esonero da responsabilità della
datrice di lavoro, non avendo quest’ultima mai fatto cenno ad eventuali
istruzioni contrarie alla condotta tenuta dalla lavoratrice.
La
ostruzione alla vista delle scale, per effetto della cassa trasportata, non
escluderebbe, quindi, che la lavoratrice fosse scivolata in conseguenza della
mancanza di dispositivi antisdrucciolo.
Con
altro motivo di ricorso, la lavoratrice aveva lamentato violazione e falsa
applicazione dell’art.2087 del codice civile, evidenziando come detta norma fondi
un principio di carattere generale in tema di doveri di prevenzione imposti
dall’ordinamento a carico del datore ed imponga al predetto non solo le
particolari misure imposte tassativamente dalla legge in relazione allo
specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche imposte dalla comune
prudenza, ma anche tutte le altre misure che si rendano necessarie per la
tutela del lavoro in base all’esperienza ed alla tecnica.
Nel
caso in esame, pertanto, la necessità per l’aiuto cuoco di recarsi nella dispensa
avrebbe dovuto indurre il datore a dotare i gradini di apposite listarelle
antisdrucciolo idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore.
La
ricorrente, inoltre, aveva richiamato quanto disposto dall’art.48 del D.Lgs. n.626/1994,
ai sensi del quale il datore deve adottare le misure organizzative necessarie o
ricorrere ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per
evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei
lavoratori, laddove nessuna misura era stata adottata al riguardo.
In
sostanza, la tesi della ricorrente aveva dedotto che non poteva ritenersi che
il datore avesse fatto tutto il possibile per evitare il danno e che trasportare
carichi che impedissero la visuale nello scendere le scale poteva concretizzare,
di per sé, il nesso causale, non essendo tale comportamento definibile come
imprevedibile, poiché connesso alle normali mansioni collegate alla qualifica
ricoperta, e potendo la caduta essere evitata con l’utilizzo di un montacarichi
o limitata dall’utilizzo di calzature antiscivolo e dalla predisposizione di
listelle antisdrucciolo.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato.
Nella
premessa, gli ermellini hanno ribadito che, non sussistendo nella specie le condizioni per
l’adozione di particolari dispositivi di sicurezza, la Corte di Torino aveva correttamente
escluso il nesso di causalità con
l’accaduto, poiché la lavoratrice non era scivolata, ma la caduta era da
collegare al trasporto di una cassa di bottiglie che le impediva la vista delle scale.
A
proposito della censura inerente alla presunta violazione dell’art.2087 c.c., la
Suprema Corte ha rilevato come la responsabilità conseguente alla violazione di
detta norma ha natura contrattuale, sicché il lavoratore che agisca per il
riconoscimento del danno da infortunio deve allegare e provare la esistenza
dell’obbligazione lavorativa e del danno, cioè il nesso causale di questo con la
prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da
causa a lui non imputabile, e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di
sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti
dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (2).
Secondo
i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (3), le norme
dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a
tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua
disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a sue imperizia, negligenza ed
imprudenza, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile
dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee
misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure
protettive venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo
attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore all'eventuale concorso di
colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del
medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri
dell’abnormità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle
direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo
necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del
comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del
lavoro, e con esse, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso
alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (4).
Nel
caso considerato, il giudice dell’appello aveva correttamente evidenziato che
non erano state disattese le disposizioni di sicurezza quanto ai listelli antisdrucciolo,
poiché, in base al DPR n.5445/1957, essi sono previsti solo per le scale doppie
o a pioli e quindi di nessuna rilevanza è l’osservazione che non poteva essere
escluso che la lavoratrice fosse caduta non per la mancanza di visuale ma per
la mancanza dei dispositivi anzidetti, una volta accertato che il datore non
dovesse ottemperare alla relativa predisposizione in relazione alla mancanza
delle condizioni che ne imponessero l’adozione.
E'
stato anche osservato che nessuna allegazione vi era stata in ordine alla
circostanza che le scale fossero scivolose e, peraltro, anche in base al
richiamato art.7 del DPR n.303/1957, doveva, ai fini del nesso causale, essere
dimostrato che le scale fossero normalmente bagnate o coperte da materiali
putrescenti che imponessero la collocazione nel percorso di graticolati idonei
a rendere sicuro il passaggio.
In
relazione all’art.48 del D.Lgs. n.626/1994, anch’esso richiamato dalle censure
del ricorrente, la Cassazione ha ricordato che detta norma, nell’imporre l’adozione, quando sia possibile, di
attrezzature meccaniche per evitare la movimentazione manuale dei carichi, è
diretta a tutelare le condizioni di salute del lavoratore connesse alla
pesantezza dei carichi da trasportare, come si evince dal riferimento, in particolare, ai rischi di
lesioni dorso-lombare, e, pertanto, esula dall’oggetto della specifica
doglianza.
Una
volta esclusa l’inadempienza del datore rispetto alla predisposizione di
dispositivi di sicurezza, di conseguenza, deve ritenersi che la stessa configurabilità del
comportamento abnorme non sia utilizzabile ai fini dell’esonero da responsabilità,
essendo la mancanza di imputabilità del datore da ricollegare, piuttosto, alla
mancanza di ogni nesso causale della caduta con la prestazione lavorativa
svolta, le cui modalità non imponevano, per quanto visto, l’adozione delle
cautele invocate dalla lavoratrice.
Alla
stregua delle esposte considerazioni, la Suprema Corta ha rigettato il ricorso
ed ha condannato la lavoratrice al pagamento delle spese processuali, liquidate
in 3.000,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi, oltre accessori
come per legge.
Valerio
Pollastrini
1)
-
ai sensi dell’art.7 del D.P.R. n.303/1956;
2)
-
tra le altre, Cass., Sentenza n.10529 del
23 aprile 2008;
3)
-
Cass., Sentenza n.28205 del 22 dicembre 2011; Cass., Sentenza n.4656 del 25
febbraio 2011; Cass., Sentenza n.19494 del 10 settembre 2009;
4)
-
Cass., Sentenza n.28205 del 22 dicembre
2011;
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