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mercoledì 29 ottobre 2014

Infortunio sul lavoro - Condotta imprudente del dipendente

Nella sentenza n.22827 del 28 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito che, una volta esclusa la violazione delle norme sulla sicurezza, il datore di lavoro non può ritenersi responsabile dell’infortunio scaturito dalla condotta imprudente del dipendente.

Nel caso di specie, un aiuto cuoca alle dipendenze di una società appaltatrice della mensa regionale di Aosta aveva convenuto in giudizio l’azienda per ad ottenere il risarcimento dei danni alla salute, alla vita di relazione e morale conseguenti all’infortunio sul lavoro subito in data 13 ottobre 1998, allorché, nell’espletamento delle proprie mansioni, era caduta dalle scale che conducevano alla cantina.

La Corte di Appello di Torino, confermando quanto disposto nella pronuncia del Tribunale di primo grado, aveva rigettato il ricorso della lavoratrice.

La Corte del merito, infatti, aveva rilevato che la domanda della ricorrente si fondava unicamente sull’assunto che il datore di lavoro non aveva fornito ai dipendenti le calzature antiscivolo e non aveva installato listelli antiscivolo sulle scale, laddove, in sede istruttoria, era stato confermato che le scale erano sufficientemente illuminate ed agevoli e che non risultavano disposizioni di legge che imponessero l’adozione di un montacarichi, né l’installazione di listelli antisdrucciolo, previsti solo per scale doppie o a pioli od in presenza di liquidi o materiali putrescenti (1).

Per tali ragioni, il giudice del gravame aveva escluso la pretesa sussistenza del nesso di causalità con l'accaduto, atteso che la lavoratrice si era infortunata mentre stava trasportando una cassa di bottiglie che le impediva la vista.

Contro questa sentenza, la donna aveva adito  la Cassazione, rilevando che l’esonero totale del datore da responsabilità sarebbe previsto solo quando la condotta del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, ovvero dell’atipicità e dell’eccezionalità.

Sul punto, la ricorrente aveva quindi osservato come non possa ritenersi abnorme il comportamento di un aiuto cuoco che trasporta bottiglie dalla cucina alla dispensa e che la mancata previsione di misure di sicurezza avrebbe necessitato di una maggiore argomentazione a sostegno dell’esonero da responsabilità della datrice di lavoro, non avendo quest’ultima mai fatto cenno ad eventuali istruzioni contrarie alla condotta tenuta dalla lavoratrice.

La ostruzione alla vista delle scale, per effetto della cassa trasportata, non escluderebbe, quindi, che la lavoratrice fosse scivolata in conseguenza della mancanza di dispositivi antisdrucciolo.

Con altro motivo di ricorso, la lavoratrice aveva lamentato violazione e falsa applicazione dell’art.2087 del codice civile, evidenziando come detta norma fondi un principio di carattere generale in tema di doveri di prevenzione imposti dall’ordinamento a carico del datore ed imponga al predetto non solo le particolari misure imposte tassativamente dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche imposte dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che si rendano necessarie per la tutela del lavoro in base all’esperienza ed alla tecnica.

Nel caso in esame, pertanto, la necessità per l’aiuto cuoco di recarsi nella dispensa avrebbe dovuto indurre il datore a dotare i gradini di apposite listarelle antisdrucciolo idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore.

La ricorrente, inoltre, aveva richiamato quanto disposto dall’art.48 del D.Lgs. n.626/1994, ai sensi del quale  il datore deve  adottare le misure organizzative necessarie o ricorrere ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori, laddove nessuna misura era stata adottata al riguardo.

In sostanza, la tesi della ricorrente aveva dedotto che non poteva ritenersi che il datore avesse fatto tutto il possibile per evitare il danno e che trasportare carichi che impedissero la visuale nello scendere le scale poteva concretizzare, di per sé, il nesso causale, non essendo tale comportamento definibile come imprevedibile, poiché connesso alle normali mansioni collegate alla qualifica ricoperta, e potendo la caduta essere evitata con l’utilizzo di un montacarichi o limitata dall’utilizzo di calzature antiscivolo e dalla predisposizione di listelle antisdrucciolo.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso  infondato.

Nella premessa, gli ermellini hanno ribadito che,  non sussistendo nella specie le condizioni per l’adozione di particolari dispositivi di sicurezza, la Corte di Torino aveva correttamente  escluso il nesso di causalità con l’accaduto, poiché la lavoratrice non era scivolata, ma la caduta era da collegare al trasporto di una cassa di bottiglie che le impediva  la vista delle scale.

A proposito della censura inerente alla presunta violazione dell’art.2087 c.c., la Suprema Corte ha rilevato come la responsabilità conseguente alla violazione di detta norma ha natura contrattuale, sicché il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio deve allegare e provare la esistenza dell’obbligazione lavorativa e del danno, cioè il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (2).

Secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (3), le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a sue imperizia, negligenza ed imprudenza, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure protettive venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e con esse, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (4).

Nel caso considerato, il giudice dell’appello aveva correttamente evidenziato che non erano state disattese le disposizioni di sicurezza quanto ai listelli antisdrucciolo, poiché, in base al DPR n.5445/1957, essi sono previsti solo per le scale doppie o a pioli e quindi di nessuna rilevanza è l’osservazione che non poteva essere escluso che la lavoratrice fosse caduta non per la mancanza di visuale ma per la mancanza dei dispositivi anzidetti, una volta accertato che il datore non dovesse ottemperare alla relativa predisposizione in relazione alla mancanza delle condizioni che ne imponessero l’adozione.

E' stato anche osservato che nessuna allegazione vi era stata in ordine alla circostanza che le scale fossero scivolose e, peraltro, anche in base al richiamato art.7 del DPR n.303/1957, doveva, ai fini del nesso causale, essere dimostrato che le scale fossero normalmente bagnate o coperte da materiali putrescenti che imponessero la collocazione nel percorso di graticolati idonei a rendere sicuro il passaggio.

In relazione all’art.48 del D.Lgs. n.626/1994, anch’esso richiamato dalle censure del ricorrente, la Cassazione ha ricordato che detta norma, nell’imporre  l’adozione, quando sia possibile, di attrezzature meccaniche per evitare la movimentazione manuale dei carichi, è diretta a tutelare le condizioni di salute del lavoratore connesse alla pesantezza dei carichi da trasportare, come si evince dal  riferimento, in particolare, ai rischi di lesioni dorso-lombare, e, pertanto, esula dall’oggetto della specifica doglianza.

Una volta esclusa l’inadempienza del datore rispetto alla predisposizione di dispositivi di sicurezza, di conseguenza, deve  ritenersi che la stessa configurabilità del comportamento abnorme non sia utilizzabile ai fini dell’esonero da responsabilità, essendo la mancanza di imputabilità del datore da ricollegare, piuttosto, alla mancanza di ogni nesso causale della caduta con la prestazione lavorativa svolta, le cui modalità non imponevano, per quanto visto, l’adozione delle cautele invocate dalla lavoratrice.

Alla stregua delle esposte considerazioni, la Suprema Corta ha rigettato il ricorso ed ha condannato la lavoratrice al pagamento delle spese processuali, liquidate in 3.000,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi, oltre accessori come per legge.

Valerio Pollastrini

 
1)      - ai sensi dell’art.7 del  D.P.R. n.303/1956;
2)      - tra le altre, Cass., Sentenza n.10529 del  23 aprile 2008;
3)      - Cass., Sentenza n.28205 del 22 dicembre 2011; Cass., Sentenza n.4656 del 25 febbraio 2011; Cass., Sentenza n.19494 del 10 settembre 2009;
4)      - Cass., Sentenza n.28205 del  22 dicembre 2011;

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