Il
caso di specie è quello scaturito dal licenziamento di un dirigente, ritenuto
responsabile dell’errata etichettatura di un prodotto, presentato come lino ma,
in realtà, composto da un tessuto di qualità inferiore.
La
Corte di Appello di Venezia, confermando la pronuncia emessa dal Tribunale di
Treviso, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento per difetto della procedura di cui all’art.7
dello Statuto dei Lavoratori, ed aveva riconosciuto al dipendente l’indennità
supplementare, ma non anche il risarcimento del danno per l’asserito carattere
ingiurioso del recesso.
Contro
questa sentenza, il dirigente aveva adito la Cassazione, dolendosi del fatto
che l’impugnata sentenza aveva negato il carattere ingiurioso del
licenziamento, omettendo di indagare ulteriormente sui veri motivi che erano
all’origine del pretestuoso recesso intimato dalla società.
A
tal fine, sempre secondo il lavoratore, la Corte territoriale avrebbe dovuto
valorizzare i molteplici elementi dai quali, nell’istruttoria, sarebbe emerso
che da diversi mesi l’azienda avrebbe
voluto interrompere il rapporto e che, dunque, la condotta oggetto della
contestazione disciplinare sarebbe stata strumentalmente utilizzata per
licenziarlo, atteso, inoltre, che altri due dirigenti, pur avendo maggiori responsabilità
per l’accaduto, erano stati sanzionati in maniera più lieve.
In
sostanza, tali elementi, in quanto utili a dimostrare la pretestuosità del
licenziamento, avrebbero dovuto indurre i giudici di merito a riconoscerne
anche il carattere ingiurioso.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure mosse dal
ricorrente.
Nella
premessa, gli ermellini hanno ricordato che l’azienda aveva attribuito al
ricorrente una violazione degli obblighi previsti dalle disposizioni vigenti in
materia di etichettatura dei prodotti tessili, ma l’addebito - per quanto
infondato, strumentale e/o pretestuoso - non costituisce fatto di per sé
ingiurioso, non potendosi considerare tale ogni ipotizzata giusta causa di
recesso rivelatasi, poi, insussistente.
Invero,
secondo costante giurisprudenza di legittimità (1), per dar luogo ad un danno
risarcibile, il licenziamento di un dirigente deve concretarsi - per la forma o
per le modalità del suo esercizio e per le conseguenze morali e sociali che ne
siano derivate - in un atto ingiurioso, ossia lesivo della dignità e dell’onore
del lavoratore licenziato, connotazione che non s’identifica con la mera
mancanza di giustificazione del recesso.
In
altre parole, il carattere ingiurioso del licenziamento, che deve essere
provato da chi lo deduce, deriva unicamente dalla forma in cui esso venga
espresso o dalla pubblicità o da altre modalità con cui sia stato adottato,
idonee a ledere l’integrità psico-fisica del lavoratore.
Solo
in tali evenienze, dunque, il danno da licenziamento ingiurioso eccede quello
risarcibile a seguito di recesso meramente ingiustificato, strumentale o
pretestuoso.
A
titolo esemplificativo, va considerato ingiurioso il licenziamento cui
l’azienda dia indebita e non necessaria pubblicità, che si accompagni a non
necessarie considerazioni sulle qualità personali e/o professionali del
lavoratore e/o che gli attribuisca condotte dolose e/o infamanti secondo il
comune sentire, non anche quello che ne evochi (per quanto infondatamente) un
contegno meramente colposo.
Tornando
al caso di specie, la Cassazione ha escluso che dalla pretestuosità del
licenziamento potesse desumersi il carattere ingiurioso dello stesso, in quanto
pretestuosità ed ingiuriosità sono concetti non coincidenti, né necessariamente
concorrenti.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.15496/2008; Cass., Sentenza n.7479/2003; Cass., Sentenza n.5850/1997;
Cass., Sentenza n.6375/1987;
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