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giovedì 23 ottobre 2014

Circostanze che escludono l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere

Nella sentenza n.22154 del 20 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha riepilogato le condizioni in presenza della quali risulta legittimo escludere l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere subito dal lavoratore.

Il caso di specie è giusto all’attenzione degli ermellini dopo che la Corte di Appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda con la quale un lavoratore aveva chiesto la condanna dell’Inail al pagamento della rendita ex D.P.R. n.1124/1965, nonché dell’indennità per inabilità temporanea, in relazione all'infortunio in itinere subito in data 3 giugno 1998.

La Corte del merito aveva precisato che l’infortunio si era verificato poco prima delle 8.00, orario di inizio della prestazione lavorativa, allorquando il ricorrente si trovava alla guida dell’autovettura lungo il tragitto per raggiungere l’azienda.

Dalla disposta Consulenza Tecnica d’Ufficio  era stato accertato che la distanza tra l’abitazione e l’ingresso della ditta era di poco meno di un chilometro.

Si tratta di una  distanza che risultava essere coperta dal servizio di linea di trasporto pubblico, con partenze alle 7.05 ed alle 7.55 e con percorrenze del tragitto in circa tre minuti.

Ciò posto la Corte di Appello aveva ritenuto  che nella specie l’uso del mezzo proprio non fosse necessitato, atteso che il lavoratore aveva senz’altro a disposizione il servizio di linea e che, utilizzando anche la corsa delle ore 7.55, avrebbe potuto raggiungere il posto di lavoro all’orario programmato.

Inoltre, data la media età lavorativa e la mancata allegazione di problemi fisici o di salute, il ricorrente avrebbe potuto percorrere a piedi il tragitto non superiore al chilometro senza eccessivo dispendio di energie fisiche.

Contro questa sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, osservando che  l’uso del mezzo meccanico sarebbe stato giustificato dalla distanza tra abitazione e luogo di lavoro, tenuto conto che, in simili casi,  la giurisprudenza è solita indicare  la distanza minima in circa metri 600 metri.

Il ricorrente, inoltre, aveva rilevato che utilizzando il servizio di linea alle ore 7.55 sarebbe giunto alla fermata in prossimità della ditta alle 7.58, dovendo altresì percorrere più di 100 metri prima di entrare nello stabilimento, raggiungere gli spogliatoi, cambiarsi e timbrare il cartellino entro le ore 8.00, con impossibilità di rispettare l’orario di lavoro.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato.

Richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte ha ricordato che l'infortunio in itinere, subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo proprio, la distanza fra la sua abitazione e il luogo di lavoro, ai fini dell’indennizzabilità postula:

a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l'evento, nel senso che tale percorso costituisca per l'infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione;

b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda;

c) la necessità dell'uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto (1).

Gli ermellini hanno poi aggiunto che, in linea generale, per l’estensione della copertura assicurativa all’infortunio in itinere è necessario che il comportamento del lavoratore sia giustificato da un'esigenza funzionale alla prestazione lavorativa, tale da legarla indissolubilmente all'attività di locomozione, posto che il suddetto infortunio merita tutela nei limiti in cui l'assicurato non abbia aggravato, per suoi particolari motivi o esigenze personali, la condotta extralavorativa connessa alla prestazione per ragioni di tempo e di luogo, interrompendo così il collegamento che giustificava la copertura assicurativa.

In sostanza, il rischio elettivo, escludente l'indennizzabilità e che postula un maggior rigore valutativo, rispetto all'attività lavorativa diretta, implica tutto ciò che, estraneo e non attinente all'attività lavorativa, sia dovuto a scelta arbitraria del lavoratore, che abbia volutamente creato, ed affrontato, in base a ragioni ed impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente la sua attività lavorativa e per nulla connessa ad essa (2).

Di conseguenza, la valutazione dell’uso del mezzo proprio, con l’assunzione degli ingenti rischi connessi alla circolazione stradale, deve tener conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio di incidenti (3).

Sempre con riferimento ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, la Cassazione ha ribadito che la valutazione dell'inerenza del rischio all'attività lavorativa ed alle sue modalità costituisce un apprezzamento di fatto di competenza del giudice del merito (4).

Alla stregua degli esposti principi, pertanto, il motivo di ricorso articolato dall’istante non può trovare accoglimento.

La Corte distrettuale, infatti, aveva ritenuto che, nella fattispecie concreta, l’uso del mezzo proprio non fosse necessitato, in quanto il lavoratore  avrebbe potuto agevolmente disporre del servizio di linea di trasporto pubblico e,  data la media età lavorativa e la mancata allegazione di problemi fisici o di salute, avrebbe potuto percorrere comodamente a piedi il tragitto non superiore al chilometro.

Si tratta di un’argomentazione che, a detta della Suprema Corte, risulta priva di vizi logici.

Per tutte le ragioni sopra indicate, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

 
1)      - Cass., Sentenza n.7717/2004;
2)      - Cass., Sentenza n.6449/2008; Cass., Sentenza n.19047/2005;
3)      - Cass., Sentenza n.19940/2004;
4)      - Cass., Sentenza n.6725/2013; Cass., Sentenza n.22759/2011; Cass., Sentenza n.6449/1998;

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