Con
ricorso al Pretore di Ascoli Piceno, una società aveva convenuto in giudizio un
suo ex dipendente per la restituzione di un appartamento concessogli in uso per
il più agevole svolgimento delle mansioni assegnategli.
Nel
costituirsi in giudizio, il lavoratore aveva proposto domanda riconvenzionale
con la quale aveva richiesto che venisse accertata la responsabilità datoriale nella
subita lesione personale permanente scaturita da un’ipoacusia da trauma
acustico cronico.
Il
Tribunale di Ascoli Piceno, accogliendo la domanda del dipendente, aveva condannato
il datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e morale in ragione di
complessivi 96.521,60 €, oltre agli
interessi come in motivazione.
Nell’impugnare
la sentenza di primo grado, il datore di lavoro aveva contestato sia le
risultanze della C.t.u. che le testimonianze assunte, in base alle quali il
giudice avrebbe ritenuto accertata la
sua responsabilità per l'ipoacusia
accusata dal dipendente.
In
subordine, il ricorrente aveva sostenuto che dalla lesione complessiva dell'attitudine
al lavoro dovesse essere scorporata la quota di danno prodotta da causa extra
lavorativa.
La
Corte di Appello di Ancona, tuttavia, aveva respinto il gravame.
A
questo punto, il datore di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo
che la sentenza impugnata avesse basato principalmente la sua decisione sul
contenuto di un documento, nella fattispecie costituito dalla relazione al
Procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno esibita dal lavoratore in sede di
consulenza, risalente ad epoca anteriore
all'inizio della causa.
Tale
censura è stata ritenuta infondata dalla Suprema Corte, che, in proposito, ha
precisato come il giudice dell’appello non si fosse basato unicamente su detto
documento, quanto, piuttosto, sulle valutazioni del C.t.u..
Contestando
l’operato del C.t.u. che, sempre a detta del ricorrente, avrebbe basato le
proprie risultante su quanto riferitogli dal dipendente, il datore di lavoro
aveva poi chiesto alla Cassazione se il giudice di appello potesse porre, quale
base della decisione, fatti riferiti dal periziando nel corso di una Consulenza
tecnica, contrastanti con quelli specificamente affermati dallo stesso
periziando nella memoria costitutiva a fondamento della formulata domanda
risarcitoria.
Il
ricorrente, inoltre, aveva lamentato che la sentenza impugnata avrebbe
accertato la sua responsabilità risarcitoria per una ipoacusia di natura
neurosensoriale, nonostante il lavoratore non avesse fornito la prova della derivazione
causale della stessa dall'ambiente di lavoro.
Anche
tali censure sono state ritenute infondate, in quanto, dall’istruttoria, era emerso
che il C.t.u. aveva maturato il proprio convincimento, non soltanto sulle dichiarazioni del lavoratore, ma anche sulla
sua accertata esposizione ad ambiente rumoroso, pari sostanzialmente al limite
di 90 db, previsto dal D.Lgs n.277\1991 quale soglia di intollerabilità del
rumore, e dopo aver acclarato un danno uditivo, non ricollegabile ad origini
extra professionali.
La
rumorosità dell'ambiente di lavoro, inoltre, risultava confermata da un esame audiometrico eseguito
presso la A.s.l.; dalle testimonianze escusse, nonché dalla presenza nei luoghi
di lavoro di cuffie, del cui utilizzo il datore di lavoro era tenuto ad
effettuare debito controllo (1).
Per
tutte le ragioni sin qui esposte, la Cassazione ha concluso rigettando il
ricorso, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento delle spese
per il processo di legittimità, liquidate in 4.000,00 € per compensi, 100,00 €
per esborsi, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.7772\1998; Cass., Sentenza n.3576\1986;
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