Il
nostro Paese, infatti, spende per le prestazioni pensionistiche il 30% degli
800 miliardi del totale della spesa pubblica.
Per
la sola previdenza, l’Italia ha speso nel 2013 circa 254 miliardi, pari al 16,3% del Pil, con un incremento, rispetto al
2011 del 4,5%, corrispondente ad 11 miliardi.
La
lettura dei dati risulta ancor più preoccupante se si considera che in questo
periodo, connaturato dalla riduzione del Pil nazionale, nessun capitolo di
spesa è aumentato come quella per l’erogazione delle pensioni.
Risalendo
a 10 anni orsono, le statistiche dell'Istat evidenziano che il costo del sistema previdenziale è salito di
oltre 50 miliardi.
Si
tratta di una corsa apparentemente inarrestabile, visto che le stime, risalenti
al periodo precedente all’ulteriore peggioramento delle generali condizioni macro-economiche,
lasciavano presagire, per il periodo 2014-2018, un aumento della spesa
pensionistica di oltre 6 miliardi all’anno, con un tasso di incremento medio
del 2,5% l'anno.
Secondo
il Fondo Monetario Internazionale, il taglio delle auto blu e delle spese della
politica e dei ministeri a nulla varrebbe se non accompagnato dalla riduzione dei costi per le pensioni.
L’Istituzione
europea indica tra le criticità del welfare italiano l'aumento del numero di
pensionati e pre-pensionati e la riduzione della forza lavoro.
Tuttavia,
i fattori che maggiormente contribuiscono al dissesto sono quelli delle baby-pensioni, delle pensioni di
anzianità, nonché quello delle pensioni
pubbliche, mediamente più ricche del 40% rispetto alle prestazioni riservate ai
dipendenti privati.
Valerio
Pollastrini
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