La
pronuncia in commento è scaturita dalla condanna di un datore di lavoro per il reato di lesioni colpose gravissime,
aggravate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul
lavoro, causate ad un dipendente in seguito all’infortunio subito mentre era
adibito ad un macchinario privo della necessaria griglia di protezione.
L’imputato
si era difeso sostenendo di non essere a conoscenza dell’assunzione del lavoratore e che, comunque,
avesse trasferito ad altro soggetto aziendale, avente la qualifica di preposto,
i poteri connessi alla sicurezza sul lavoro.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha premesso che, in merito alla presunta inconsapevolezza dell’assunzione,
poiché nessuno dei dipendente risultava in possesso di una delega alle assunzioni, doveva
ritenersi che il datore di lavoro non solo fosse a conoscenza della presenza
dell’infortunato, ma che ne avesse necessariamente autorizzato lo svolgimento
dell'attività alla quale lo stesso era adibito.
In
aggiunta, gli ermellini hanno ricordato come, in base ad un consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche i terzi, quando si
trovino esposti ai rischi connessi ad un’attività lavorativa, debbano ritenersi
destinatari delle norme di prevenzione e, pertanto, qualora sia ravvisabile il nesso causale con
l'accertata violazione, non ha alcuna rilevanza se ad infortunarsi sia un lavoratore subordinato, un soggetto a
questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito
imprenditoriale.
Quanto
alla individuazione delle responsabilità soggettiva, la Cassazione ha osservato
che per attribuire ad una condotta umana una efficacia causale è necessario che
l’agente rivesta una c.d. "posizione di garanzia" e, quindi, che, in
ragione della sua prossimità con il bene da tutelare, sia titolare di poteri ed
obblighi che gli consentano di attivarsi onde evitare la lesione o messa in
pericolo del bene giuridico, la cui integrità egli deve garantire.
Tuttavia,
la condizione in base alla quale i titolari della posizione di garanzia debbano
essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi, non significa che il garante debba essere
direttamente fornito dei poteri impeditivi, ma, altresì, sarebbe sufficiente
che allo stesso siano riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi
necessari per evitare che l’evento dannoso possa essere cagionato.
Nel
caso dì specie, non vi è alcun dubbio che il ricorrente, in quanto datore di
lavoro, fosse in possesso di una posizione di garanzia che gli imponesse di
adottare, o di controllare che fossero adottate, le cautele omesse e dalle
quali era scaturito l'evento.
Sul
punto, nonostante l'imputato avesse rilevato di aver trasferito tali funzioni ad altro
soggetto, avente la qualifica di preposto, la attribuzione dei connessi poteri,
tuttavia, non aveva determinato l’assunzione da parte di questo soggetto della
qualità dì datore di lavoro, né ad esso erano sono trasferiti i relativi gli
obblighi connessi alla sicurezza.
A
tal fine, infatti sarebbe stato necessario il conferimento di una specifica
delega, circostanza che, nel caso di specie, non risultava provata.
In
materia di infortuni sul lavoro, anche la normativa previgente agli artt.16 e
17 del D.lgs. n.81/2008 garantiva la possibilità di delegare gli obblighi di
prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, con
conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo all’imprenditore,
tuttavia, il relativo atto di conferimento deve essere espresso, inequivoco e
certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie
cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che
abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l'obbligo per il datore
di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi concretamente la
delega, secondo quanto la legge prescrive.
Nel
caso in questione, però, non era emersa alcuna inequivoca delega di funzioni antinfortunistiche,
né tale delega risultava essere stata conferita di fatto.
Ne
consegue che, al momento dei fatti, il
datore di lavoro rivestisse in pieno la sua posizione di garanzia.
Per
tutte le ragioni sopra indicate, la Cassazione ha concluso con il rigetto del
ricorso.
Valerio
Pollastrini
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