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lunedì 15 settembre 2014

Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa

Nella sentenza n.C-328/13 dell’11 settembre 2014, la Corte di Giustizia Ue ha ricordato che, in caso di trasferimento d’azienda, il cessionario ha l’obbligo di mantenere le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo sino all’entrata in vigore di un altro contratto collettivo.

Accaduta in Austria, la vicenda da cui è scaturita la pronuncia in commento è quella che aveva visto una società controllante trasferire,  mediante cessione di azienda,  alcune attività in capo all’impresa controllata,  al fine di estendere ai dipendenti coinvolti le condizioni di lavoro meno favorevoli previste dal contratto collettivo applicato da quest’ultima.

In seguito al trasferimento, infatti, l’azienda controllata aveva applicato unilateralmente la peggiorativa regolamentazione interna dei contratti di lavoro, con una  significativa diminuzione della retribuzione.

La Corte, in sostanza, era stata chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 3, della Direttiva 2001/23/CE  del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativo al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.

La norma predetta prevede quanto segue: “Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.

Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno”.

Al riguardo, la Corte di Giustizia ha ricordato che la direttiva 2001/23 è finalizzata esclusivamente al raggiungimento di un’armonizzazione parziale della materia in oggetto, estendendo essenzialmente la tutela garantita ai lavoratori in modo autonomo dal diritto dei vari Stati membri anche all’ipotesi del trasferimento d’impresa. Essa, quindi, non è tesa ad instaurare un livello di tutela uniforme nell’intera Unione secondo criteri comuni (1).

Inoltre, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 non mira a mantenere l’applicazione di un contratto collettivo in quanto tale, ma solo delle “condizioni di lavoro” convenute dal contratto medesimo.

In tal senso, la direttiva impone il mantenimento delle condizioni di lavoro convenute con un contratto collettivo, ove l’origine esatta della loro applicazione non sia determinante.

Ne consegue che, in linea di principio, le condizioni di lavoro convenute in un contratto collettivo ricadono nell’articolo 3, paragrafo 3, della predetta direttiva 2001/23, indipendentemente dalla tecnica utilizzata per rendere tali condizioni di lavoro applicabili agli interessati. Al riguardo, pertanto,  è sufficiente che tali condizioni siano state convenute da un contratto collettivo e siano effettivamente vincolanti per il cedente ed i lavoratori trasferiti.

Pertanto, le condizioni di lavoro fissate mediante un contratto collettivo non possono essere ritenute escluse dalla sfera di applicazione di tale disposizione sulla base del solo rilievo che si applicano agli interessati in forza della regola dell’ultrattività dei contratti collettivi.

Si tratta di una interpretazione che, nell’intento di impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole, trova conforto nei precedenti giurisprudenziali (2).

La Corte ha proseguito osservando che la regola dell’ultrattività dei contratti collettivi mira, nell’interesse dei lavoratori, ad evitare una brusca rottura del quadro normativo convenzionale che disciplina il rapporto di lavoro.

Questa interpretazione, in base alla quale  il cessionario deve essere in grado di procedere agli adeguamenti ed ai cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività,  è tesa ad assicurare un giusto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli del cessionario (3).

La regola dell’ultrattività dei contratti collettivi, infatti, possiede effetti limitati, dato che con essa vengono mantenuti unicamente gli effetti giuridici di un contratto collettivo sui rapporti di lavoro che vi ricadevano direttamente precedentemente alla risoluzione del contratto, fino alla disciplina di tali rapporti di lavoro ad opera di un altro contratto collettivo o alla conclusione di nuovi accordi individuali con i lavoratori interessati.

All’interno di  tale contesto, la Corte ha escluso  che una regola siffatta osti alla possibilità, per il cessionario, di procedere agli adeguamenti ed ai cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività. 

Alla luce delle suesposte considerazioni, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 va interpretato nel senso che costituiscono “condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo”, ai sensi di detta disposizione, le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo che, ai sensi del diritto di uno Stato membro, malgrado la risoluzione del contratto medesimo, continuano ad avere efficacia sui rapporti di lavoro che vi ricadevano direttamente precedentemente alla risoluzione del contratto, fino alla disciplina di tali rapporti di lavoro ad opera di un altro contratto collettivo o alla conclusione di nuovi accordi individuali con i lavoratori interessati.

 

Valerio Pollastrini



  1. - v., segnatamente, sentenze Collino e Chiappero,  nonché Juuri, C-396/07;
  2. - v., in tal senso, sentenza Scattolon, C-108/10;
  3. - v., in tal senso, sentenza Alemo-Herron ea., C-426/11;

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