Accaduta
in Austria, la vicenda da cui è scaturita la pronuncia in commento è quella che
aveva visto una società controllante trasferire, mediante cessione di azienda, alcune attività in capo all’impresa
controllata, al fine di estendere ai
dipendenti coinvolti le condizioni di lavoro meno favorevoli previste dal
contratto collettivo applicato da quest’ultima.
In
seguito al trasferimento, infatti, l’azienda controllata aveva applicato
unilateralmente la peggiorativa regolamentazione interna dei contratti di
lavoro, con una significativa
diminuzione della retribuzione.
La
Corte, in sostanza, era stata chiamata a pronunciarsi sulla corretta
interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 3, della Direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativo al mantenimento
dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti
o di parti di imprese o di stabilimenti.
La
norma predetta prevede quanto segue: “Dopo
il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute
mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il
cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto
collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto
collettivo.
Gli Stati membri
possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché
esso non sia inferiore ad un anno”.
Al
riguardo, la Corte di Giustizia ha ricordato che la direttiva 2001/23 è
finalizzata esclusivamente al raggiungimento di un’armonizzazione parziale
della materia in oggetto, estendendo essenzialmente la tutela garantita ai
lavoratori in modo autonomo dal diritto dei vari Stati membri anche all’ipotesi
del trasferimento d’impresa. Essa, quindi, non è tesa ad instaurare un livello
di tutela uniforme nell’intera Unione secondo criteri comuni (1).
Inoltre,
l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/23 non mira a mantenere
l’applicazione di un contratto collettivo in quanto tale, ma solo delle
“condizioni di lavoro” convenute dal contratto medesimo.
In
tal senso, la direttiva impone il mantenimento delle condizioni di lavoro
convenute con un contratto collettivo, ove l’origine esatta della loro
applicazione non sia determinante.
Ne
consegue che, in linea di principio, le condizioni di lavoro convenute in un
contratto collettivo ricadono nell’articolo 3, paragrafo 3, della predetta direttiva
2001/23, indipendentemente dalla tecnica utilizzata per rendere tali condizioni
di lavoro applicabili agli interessati. Al riguardo, pertanto, è sufficiente che tali condizioni siano state
convenute da un contratto collettivo e siano effettivamente vincolanti per il
cedente ed i lavoratori trasferiti.
Pertanto,
le condizioni di lavoro fissate mediante un contratto collettivo non possono
essere ritenute escluse dalla sfera di applicazione di tale disposizione sulla
base del solo rilievo che si applicano agli interessati in forza della regola
dell’ultrattività dei contratti collettivi.
Si
tratta di una interpretazione che, nell’intento di impedire che i lavoratori
coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole,
trova conforto nei precedenti giurisprudenziali (2).
La
Corte ha proseguito osservando che la regola dell’ultrattività dei contratti
collettivi mira, nell’interesse dei lavoratori, ad evitare una brusca rottura
del quadro normativo convenzionale che disciplina il rapporto di lavoro.
Questa
interpretazione, in base alla quale il
cessionario deve essere in grado di procedere agli adeguamenti ed ai
cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività, è tesa ad assicurare un giusto equilibrio tra
gli interessi dei lavoratori e quelli del cessionario (3).
La
regola dell’ultrattività dei contratti collettivi, infatti, possiede effetti
limitati, dato che con essa vengono mantenuti unicamente gli effetti giuridici
di un contratto collettivo sui rapporti di lavoro che vi ricadevano
direttamente precedentemente alla risoluzione del contratto, fino alla
disciplina di tali rapporti di lavoro ad opera di un altro contratto collettivo
o alla conclusione di nuovi accordi individuali con i lavoratori interessati.
All’interno
di tale contesto, la Corte ha
escluso che una regola siffatta osti
alla possibilità, per il cessionario, di procedere agli adeguamenti ed ai
cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività.
Alla
luce delle suesposte considerazioni, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva
2001/23 va interpretato nel senso che costituiscono “condizioni di lavoro
convenute mediante contratto collettivo”, ai sensi di detta disposizione, le
condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo che, ai sensi del
diritto di uno Stato membro, malgrado la risoluzione del contratto medesimo,
continuano ad avere efficacia sui rapporti di lavoro che vi ricadevano
direttamente precedentemente alla risoluzione del contratto, fino alla
disciplina di tali rapporti di lavoro ad opera di un altro contratto collettivo
o alla conclusione di nuovi accordi individuali con i lavoratori interessati.
Valerio
Pollastrini
- - v., segnatamente, sentenze Collino e Chiappero, nonché Juuri, C-396/07;
- - v., in tal senso, sentenza Scattolon, C-108/10;
- - v., in tal senso, sentenza Alemo-Herron ea., C-426/11;
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