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domenica 21 settembre 2014

Le modelle non sono artiste

Nella sentenza n.1672/17/14, depositata lo scorso 11 settembre, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana ha stabilito che le top model non rivestono la qualifica di artiste.

Conseguentemente, ai compensi erogati  alle indossatrici straniere non può essere applicata, ai fini fiscali, la ritenuta del 30%,  prevista  dall'art.23 del Dpr n.600/1973 a carico dei soggetti non residenti.

Nel caso di specie, una nota casa di moda italiana, in vista della  settimana della moda di Milano, aveva acquistato da un'agenzia inglese un pacchetto di servizi per la fornitura delle modelle.

In seguito, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso a carico dell’azienda un avviso di accertamento per il mancato versamento delle ritenute a titolo d'imposta del 30% sui compensi erogati per prestazioni professionali rese da soggetti non residenti.

Dopo che la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze aveva accolto il ricorso dell’azienda, l’Agenzia delle Entrate si era rivolta alla Commissione Regionale.

Investito della questione, il Collegio dell’appello ha preliminarmente osservato la necessità di individuare la corretta qualificazione dell'attività di indossatrice.

In proposito, è stato osservato come il tratto distintivo dell'attività artistica sia quello della creatività, nonché quello dell’interpretazione, nonostante quest’ultimo elemento assuma rilevanza solamente al verificarsi di determinate condizioni.

Tornando al caso di specie, la Corte ha  escluso la sussistenza delle circostanze suddette.

L’azienda committente, infatti, rivolgendosi all’agenzia straniera, aveva contrattato solamente la prestazione di modelle genericamente indicate, senza richiedere la presenza di specifiche indossatrici.

Le  modalità del servizio, pertanto, avevano determinato il venir meno dell’infungibilità tipica della prestazione artistica, limitandosi le modelle a presentare, sia pure con scioltezza ed eleganza, dei capi di abbigliamento senza il significativo valore aggiunto derivante da apporti personali.

I compensi corrisposti all'agenzia inglese dovevano quindi essere inquadrati come reddito d'impresa.

A sostegno di questa interpretazione, si aggiunga che il corrispettivo pattuito comprendeva anche le competenze dell'agenzia per l'attività di selezione, l'organizzazione delle trasferte e le spese accessorie.

Risultando l’agenzia fornitrice priva di qualsiasi stabile organizzazione in Italia, tali redditi, pertanto,  in forza della convenzione Italia-Regno Unito, dovevano  essere tassati interamente nel Paese di residenza.



Valerio Pollastrini

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