Il
caso di specie trae origine dalla sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo
aveva dichiarato la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione
dal servizio per dieci giorni, con privazione della retribuzione, comminata ad
un dipendente che si era rifiutato di rispettare l'orario di servizio,
presentandosi al lavoro mezz'ora dopo
l'ora fissata per l'inizio della prestazione.
Tuttavia,
il Giudice del primo grado aveva condannato l’azienda a corrispondere al
ricorrente la somma corrispondente alla parte di retribuzione trattenuta, in
quanto il lavoratore si era sempre trattenuto mezz'ora oltre l'orario per
recuperare il ritardo nell’inizio della prestazione giornaliera.
In
parziale riforma della sentenza del Tribunale, la Corte di Appello di Brescia, aveva
condannato il dipendente a restituire all’azienda la somma predetta, osservando che il recupero
della prestazione non valesse a riconoscergli il diritto alla relativa
retribuzione, stante l’inutilizzabilità del lavoro svolto oltre l’orario prestabilito.
La
Corte territoriale, inoltre, aveva chiarito che l’illecito inerente
all’inosservanza dell’orario di lavoro non richiederebbe l’affissione del
codice disciplinare, in quanto riguarderebbe lo stesso rapporto sinallagmatico
delle prestazioni delle parti.
Contro
questa sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, contestando l’affermata
inutilità del codice disciplinare ai fini della legittimità della sanzione.
Il
ricorrente aveva poi lamentato la violazione del suo diritto di difesa, in
quanto, nell’ambito del procedimento disciplinare a suo carico, l’azienda aveva
disposto la sua convocazione presso una sede diversa da quella abituale di
esecuzione della prestazione.
Infine,
il ricorrente aveva contestato la dedotta inutilizzabilità della prestazione svolta
oltre l’orario di lavoro, dalla quale era scaturita la sua condanna alla restituzione
della relativa retribuzione.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha premesso che, in tutti i casi nei quali il
comportamento sanzionabile sia immediatamente percepibile dal lavoratore come
illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale,
non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in
quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica
predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte
del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.
Nel
caso in esame, pur non assumendo rilevanza penale, sul piano civilistico l’illiceità
della condotta sanzionata appariva evidente,
in quanto la mancata effettuazione della prestazione interrompe il vincolo
sinallagmatico che caratterizza il rapporto di lavoro.
Per
tale ragione, la Cassazione ha osservato come un comportamento disciplinarmente rilevante
contrario a principi civilistici fondamentali, quali quello della
sinallagmaticità delle prestazioni, non richieda la pubblicazione del codice
disciplinare.
In
merito all’audizione del ricorrente, predisposta dall’azienda, nell’ambito del
procedimento disciplinare, in luogo diverso da quello di abituale esecuzione
delle prestazioni, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza del diritto del
lavoratore ad essere ascoltato presso il luogo ove svolge la propria mansione o
nel corso dell’orario di lavoro.
In
conclusione gli ermellini hanno poi confermato che l’osservanza dell’orario di lavoro
prefissato costituisce un obbligo del lavoratore disciplinarmente sanzionabile.
L’utilizzabilità
della prestazione in un determinato orario, infatti, consegue
all’organizzazione produttiva dell’azienda e, dunque, non può essere modificata
unilateralmente dal dipendente, pertanto, il datore di lavoro aveva
correttamente sottratto dalla retribuzione l’ammontare relativo al lavoro non
effettuato nei termini prestabiliti, a nulla rilevando il recupero al di fuori
dell’orario prefissato.
Per
tutte le ragioni sopra indicate, la Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha
condannato il lavoratore al pagamento delle spese del processo di legittimità,
liquidate in 1.500,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi, oltre
accessori di legge e spese generali del quindici per cento.
Valerio
Pollastrini
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