Il
caso di specie è scaturito dall’esclusione
di una donna albanese, regolarmente soggiornante in Italia ed invalida, da un
concorso pubblico per l’assunzione al Ministero dell’economia e delle finanze, indetto
nel 2011, prima della richiamata Legge Europea.
La
straniera aveva quindi impugnato le norme allora vigenti, ritenendole
discriminatorie.
Investita
della questione, la Cassazione ha confermato le sentenze con le quali sia il Tribunale
che la Corte di Appello avevano respinto le rimostranze della donna.
In
particolare, la Suprema Corte ha osservato come per l’accesso al lavoro, a
differenza di quanto previsto nell’ambito delle prestazioni assistenziali, il
legislatore dispone di una più ampia possibilità di contemperare le opposte
esigenze costituzionalmente rilevanti.
Con
tale affermazione gli ermellini hanno inteso chiarire che, nonostante nel
lavoro privato operi il principio di parità di trattamento tra cittadini
italiani, comunitari ed extracomunitari, per ciò che attiene al pubblico
impiego, invece, è necessario operare una valutazione in merito alla particolarità
della funzione svolta alle dipendenze dello Stato.
Secondo
la Cassazione la menzionata differenza tra i due diversi settori giustifica, tutt’ora, la preferenza per i cittadini
italiani e per quelli comunitari.
In
chiusura, la Suprema Corte ha ricordato come, da ultimo, la Legge Europea del
2013 abbia chiarito che i cittadini extracomunitari ora ammessi al pubblico
impiego siano solamente quelli in possesso di un permesso di soggiorno a lungo
periodo, nonché i rifugiati politici o i titolari di protezione sussidiaria.
Valerio
Pollastrini
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